Beppe Grillo & Co.
Toh, chi si rivede!
I fascio-populisti
1. La libbra di carne
Ogni qualvolta ci capita di inciampare nel linguaggio truculento e demagogico di Grillo & Co. proviamo una sensazione di déja vu ideologico. La nota dominante, anche nei discorsi dei colonnelli, degli attivisti e degli elettori, è la voglia di azione (*). Si celebra il culto del romanticismo politico e dell' odio verso la "normalità" borghese: culto, come vedremo, che viene da lontano, da quella specie di cloaca culturale culturale, sorta di collettore fognario di tutti i peggiori umori antimoderni che fu quel mix di antiparlamentarismo, antiliberalismo, e più in generale di irrazionalismo politico, che caratterizzò la fine dell' Ottocento. Quindi ben prima dei fascismi novecenteschi, che, a loro volta,. seppero ben pescare voti a sinistra, tra gli anticapitalisti, attirando anche ex dirigenti comunisti, socialisti e del sindacato.
Sul piano dell' antropologia politica, il populismo contemporaneo condivide con le correnti (cosiddette) nazional-rivoluzionarie tra le due guerre mondiali, l'azionismo, la celebrazione dell'azione per l'azione: un meccanismo sociologico dove il popolo, nonostante le evocazioni retoriche, in realtà rappresenta una marionetta, il mezzo per conquistare il potere, invitandolo a vomitare, su chi lo detiene democraticamente, tutta la rabbia dei propri fallimenti, intellettuali, economici, sociali e politici. Il populismo, insomma, come religione o meglio oppiaceo dei falliti o aspiranti tali e non importa se capi, attivisti, simpatizzanti ed elettori. Perché, tutti insieme esigono, finalmente, la famigerata libbra di carne dal cuore della democrazia liberale: il Parlamento. Costi quel che costi.
2. L'ultimo treno dei frustrati sociali
Per metterla sul piano della psicologia sociale: il populismo, concettualmente, è l' ultimo treno dei frustrati sociali e dei disoccupati intellettuali, rosi dall' invidia, in una società dai molti mezzi, dove la paura di perdere qualcosa o di non potere possedere quello che ha l'altro, sembra prevalere su ogni altra considerazione positiva del lavoro e della ricchezza acquistata (attraverso il lavoro): il populista invidia il risultato, trascurando la fatica e l' impegno, spesso anche il talento e genio che vi sono dietro; il populista sta alla società dei consumi, come il brigante alla società servile; il populista alla diseguaglianza creativa vuole sostituire l' infecondo egualitarismo straccione, magari infiorandone romanticamente le dure catene, inneggiando alle virtù di Sparta contro Atene, ovviamente personificate da capi e capetti (più uguali degli altri, of course). Pensiamo, sul piano cognitivo, a una riduttiva visione dell’uomo e della vita, contraddistinta da quella fuga verso
l’irrazionale e la "poesia" politica, che, antropologicamente ( e sistematicamente), si oppone al razionalismo e alla "prosa" delle regole e del merito.
3. La società dei perfetti
Un azionismo fascistoide che una volta impostosi, non può però non fare i conti con la realtà. Che si vendica sempre. Perché la realtà non è dettata da quell' azione per l'azione che si traduce spesso nel temerario promettere tutto a tutti, bensì da regole, procedure, e prudenza nel promettere, valutando il merito. Per dirla in chiave sociologica: l' istituzione è la norma, il movimento l'eccezione. Perché l'uomo ha necessità di certezze (istituzionali). E anche dopo una "rivoluzione", pretende di passare subito all'incasso. Di qui, davanti ai primi contrasti, il rischio del ricorso alla forza, per imporre le "proprie" di regole. Altrimenti come andare avanti con la "Rivoluzione"? Del resto il popolo preme, e qualcosa bisogna pur dare, premiando però per primi i fedelissimi. Quindi, in un'ipotetica società populista, le gerarchie politiche e sociali, tenderebbero comunque a riformarsi, non sul merito, bensì sulla fedeltà all' "idea", non tanto di un bene comune (idea di per sé, già non facilmente realizzabile), ma del bene "secondo" il popolo, come nel caso italiano, pentastellato, la cui purezza morale, come si sente ripetere, sarebbe fuori discussione... Cosa aggiungere? Siamo dinanzi al trionfo dello spirito settario: della società dei perfetti, il peggiore dei totalitarismi.
4. La via verso la schiavitù
Il populismo, per riprendere Hayek, è la moderna via verso la schiavitù. Del resto storicamente, non c'è nulla di peggio, quanto a corruzione, della "routinizzazione" delle dittature del popolo, come provano i totalitarismi novecenteschi, impregnati di populismo. Altro che le Tangentopoli nostrane... E gli avversari? Morte, prigione, esilio. O, per reazione, contro-dittature, guardia bianca, fucilazioni. Si legga Nolte, studioso della "guerra civile europea" (1917-1945), a proposito dell'infernale gioco sociale al rialzo tra fascismo e comunismo, tutto imperniato sulla difesa del "vero" popolo. Morale (sociologica) della favola: piaccia o meno, il popolo è pericoloso, va preso a piccole dosi, per così dire. E soprattutto mai eccitare troppo il bestione... "Arte" in cui il populismo pare fin troppo versato.
Ma c'è dell'altro. Storicamente - quindi andando oltre il dato antropologico - la brodaglia populista in cui è immersa la
nostra agitatissima cultura politica sembra riflettere, in modo addirittura ciclico, quella "rivolta contro il formalismo” che
caratterizzò l’onda lunga dell’ irrazionalismo politico del tardo XIX secolo. Parliamo di un terremoto culturale che sostituì alle libere individualità, come "forma" delle cose, il
popolo come "sostanza", ponendolo al centro del culto para-religioso di un "tutto" organico, calato dall'alto: la nazione, meglio se armata e contro qualcuno (altro che il tutto sommato mite spirito liberale della patria...). Un atteggiamento populista che dopo aver appestato il clima
politico fine Ottocento, confluì politicamente, dopo la Prima Guerra Mondiale, nel fascismo e nel
nazionalsocialismo. Pertanto, per così dire, la prima volta andò male, molto male. Ma molti sembrano aver dimenticato...
5. Il fascio-populismo
Oggi si resta stupiti dalla ricorrenza di certi
stereotipi politico-culturali che innervarono la svolta totalitaria degli anni tra
le due guerre mondiali. Pensiamo
all’odio gratuito verso le élites, al soldatesco disprezzo per i meccanismi parlamentari, alla critica (e superamento) delle categorie di destra e sinistra, all' irragionevole critica dell’economia di mercato, alla celebrazione della società chiusa, ripiegata su se stessa, con a capo un pugno di presunti superuomini depositari delle virtù rurali e militari della nazione. Non
è una battuta o un'esagerazione: il "chilometro zero", apparentemente innocuo, maleodora di socialismo nazionale. Ci riporta
al populismo pre-bellico di un Corradini e al fascismo soreliano del Mussolini della "Battaglia del Grano", campagna politica che invece impoverì il suolo italiano. Perciò il termine giusto per definire gli epigoni contemporanei dell'autarchismo tra le due guerre è quello di fascio-populismo. Dal momento che l'antropologia politica è la stessa, come del resto gli stereotipi ideologici evocati, prima dai populisti, poi dai fascisti.
6. La lezione di Kunnas
Gli esempi da fare sarebbero numerosi. E per noi sarebbe fin troppo facile. Lasciamo perciò il piacere della scoperta ai lettori. Ai quali, tuttavia, consigliamo la preventiva lettura del denso e
istruttivo libro di Tarmo
Kunnas, La tentazione fascista.
Una pubblicazione al di sopra di ogni sospetto, assai apprezzata
da palati storiografici difficili, come ad esempio Renzo De Felice. Capitolo dopo capitolo, tornano tutti
quei luoghi comuni, della destra fascistoide e irrazionalista di matrice populista: dal culto per l’azione alla
negazione del progresso, dal razzismo all’antimaterialismo morale,
dall’antiegualitarismo all’organicismo comunitario. Come allora, siamo dinanzi all' ammasso dei cervelli: si pensi ai Social, dove di nuovo si evocano marce su Roma, purghe, liste di proscrizione, capri espiatori, complotti, superamento della dialettica politica. Per farla breve: si propugna la distruzione dell'avversario tramutato in nemico assoluto. Quindi niente mediazioni: il Parlamento come occasionale e opportunistico (quando conviene, per arraffare il potere) "succedaneo" della vera democrazia: quella plebiscitaria. Insomma, l'esatto contrario della democrazia liberale.
7. Il rifiuto della storia
Si dirà, tra il dire e il fare... E poi, i fascisti veri? Meloni e Salvini? I fascisti di nome e di fatto? Anche da quelli dovremmo guardarci? Certo. In effetti, la famiglia politica (populista) è la stessa, tuttavia la credibilità elettorale del M5S è decisamente superiore. Per ora, ovviamente. Quel che è grave, in assoluto, è che sembrano tornare a galla, trasversalmente, i rottami concettuali del cosiddetto "non conformismo" tra le due guerre mondiali, allora animato da personaggi imbevuti di populismo, che finirono, gonfi di odio, nelle braccia di Hitler. Quanto a Trump - e cìò valga per gli improvvisati trumpisti italiani, generalmente di destra - l'America non ha conosciuto il fascismo. Trump, imprenditore puro (tutt'altro che un comico fallito), è un'altra storia, made in Usa, dove il populismo è sempre stato tenuto a freno dall'individualismo e da una visione non statolatrica del sociale: l'esatto contrario della esperienza europea fin dall'Ottocento (Tocqueville docet).
Purtroppo in Italia (e in Europa), si gioca con il fuoco. La gente comune mostra di non conoscere la storia, di negarla, o peggio ancora, se con background di sinistra (come provano gli studi sui flussi elettorali verso i partiti populisti e in particolare verso Cinque Stelle), sembra rosa da un' inestinguibile invidia sociale, di segno puramente negativo (quella del tagliare le teste per rendere tutti alti uguali). Inoltre, i Social agiscono da moltiplicatori, apparentemente neutrali, dell’ignoranza e della brutalità politica (per ora annunciata). Sicché le persone, credendo in chissà quale esperienza nuova, addirittura palingenetica, si lasciano abbindolare dai ferrivecchi ideologici dell'azionismo fascista, che tornano a danzare, e in massa, al suono del vecchio clarino populista di Grillo.
8. Il grande inganno
Un film già visto, purtroppo. Tutti schierati, naturalmente, a cominciare dal "non partito" di Grillo, in difesa, come ad esempio nel caso del referendum, di una Costituzione di
cui si finge di ignorare la natura antifascista e universalista, glissando, tra l’altro, su un fatto fondamentale: che la Seconda Guerra Mondiale fu il distillato velenoso di quello
stesso nazional-fascismo che oggi certi figuri (come Salvini e Meloni) invocano, sotto altro nome, come panacea di tutti i mali. Non solo però: si pensi alla diffusione, anche a sinistra e tra i pentastellati in particolare, del termine sovranismo e delle (ridicole) distinzioni di lana caprina, per mascherare il volto arcigno del nazionalismo d'antan .
In realtà, alle origini di quel “Mai
più guerra tra di noi” che
è alla base del progetto di unità europea, c’erano e ci sono i milioni di morti provocati dalla
follia, politicamente ipermotoria, del nazifascismo, frutto avvelenato dell'albero populista. E non la “bancocrazia”,
come asseriscono i populisti di oggi, grillini per primi. echeggiando - quando si dice il caso... - lo stilema fascista della "Lotta del Sangue contro l’Oro" (e ancora prima dei populisti di fine Ottocento).
I fascio-populisti, a cominciare da Grillo, dovrebbero
vergognarsi di ciò che dicono. Due
volte. Perché, oltre a
ingannare i cittadini, ingannano se stessi. Ma tant’è…