mercoledì 7 febbraio 2007

I libri della settimana: H.J. Berman, Diritto e rivoluzione, il Mulino (Euro 25,00); S. Einsentadt, Sulla modernità, Rubbettino (Euro 28,00) .



http://www.store.rubbettinoeditore.it/catalogsearch/result/?q=eisenstadt                                         https://www.mulino.it/isbn/9788815110701                   


Oswald Spengler, il grando morfologo delle civiltà, nel Tramonto dell’Occidente (1918-1922) si pone domande radicali: perché nascono, si sviluppano e muoiono le culture? Si interroga su quella malattia morale che corrode dall’interno ogni civiltà. Un male che i popoli contraggono, appena viene meno l’idea di un destino comune. E culmina, a suo parere, nel declino geopolitico.
Di sicuro, si tratta di una filosofia della storia, poco gradita ai sostenitori del progresso lineare. Ai quali i tramonti non piacciono, perché convinti che sulla storia umana il sole continuerà a brillare alto per sempre. Ma purtroppo per loro - ecco la lezione di Spengler - le civiltà seguono un destino, certo millenario, che però ricorda quello del corso solare: alba, zenit e tramonto.
Vi è però un punto sul quale, pur nella sua grandezza, Spengler, non si interroga a fondo. E probabilmente - a nostro modestissimo parere - perché la sua visione chiusa, e talvolta determinista delle civiltà storiche, non prende in sufficiente considerazione le possibilità di trasformazione, non tanto delle civiltà in quanto tali, ma di certe sue particolari istituzioni. Perciò spesso alla “decadenza”, come hanno mostrato anche gli studi di Sorokin. non fa seguito la completa dissoluzione, ma la trasformazione, e spesso, la rinascita, sotto altre vesti, di alcune sue componenti culturali. Ad esempio, si pensi al destino del diritto romano, che ha segnato la cultura giuridica, non solo dell’Occidente, ma anche di altri popoli. Oppure, agli aspetti molto particolari che la modernità occidentale ha assunto, una volta recepita da altre culture, come quelle giapponese, indiana, cinese.
Su questi aspetti, come dire, “integrativi” della grande sintesi spengleriana, consigliamo due libri particolarmente interessanti. Complessi ma intriganti. Vediamo quali.
Il primo si intitola Diritto e rivoluzione. Le origini della tradizione giuridica occidentale (il Mulino, Bologna 2006, pp. 581, euro 25,00, www.ilmulino.it ). E ne è autore Harold J. Berman, professore emerito alla Harvard Law School. Il suo approccio è di tipo sociologico e storico. Ma anche di grande ricchezza intellettuale. Scrive Berman: “Parte del diritto romano sopravvisse, infatti, nel diritto popolare germanico, e quel che è più importante, nel diritto della Chiesa; anche una parte delle filosofia greca sopravvisse, ancora nella Chiesa; la Bibbia ebraica, naturalmente rimase in vita come Vecchio Testamento… In questa prospettiva non è che l’Occidente sia la Grecia, Roma e Israele, ma ci si riferisce ai popoli dell’Europa occidentale, che guardano ai testi greci, romani ed ebraici in cerca di ispirazione e li trasformano in un modo che avrebbe stupefatto i loro stessi autori”. In certo senso il diritto - e dunque anche quello romano - è nato e rinato più volte, mostrando così di essere creazione e rivoluzione al tempo steso. Ecco perché, aggiunge Berman, “un popolo che vive in una società in un determinato periodo” ha “la convinzione che la società stia in realtà crescendo o sviluppandosi decadendo e morendo”. Insomma, sotto la cenere delle morti e rinascite, cova sempre il fuoco dello spirito vitale dei popoli .
Il secondo testo consigliato è Sulla modernità (Rubbettino, Soveria Mannelli 2006, pp. 420, euro 28,00, www.rubbettino.it ). Ne è autore Samuel Eisenstadt, uno studioso di sociologia delle civiltà comparate, che attualmente è professore emerito nella Hebrew University di Gerusalemme. Il testo si avvale tra l’altro di una notevole prefazione di Luciano Pellicani, altro eminente studioso di sociologia storica. Ebbene, Eisenstadt ci accompagna per mano tra le “molteplici modernità”. E mostra come sia grande la capacità del moderno di incarnarsi in altre culture e di dare così vita a “tradizioni” moderne, ma “altre”. Ma lasciamo la parola all’autore: “ Una delle più importanti implicazioni del termine ‘molteplici modernità’ è che la modernità e l’occidentalizzazione non sono la stessa cosa: i modelli occidentali di modernità non sono le sole autentiche ‘modernità’, sebbene godano di una storica precedenza e continuino ad essere un punto di riferimento basilare per le altre”. Il che è provato dalla capacità indiana e giapponese di conciliare tradizione e modernità, in forme inconsuete, ma tutto sommato di successo. Al punto di creare società vivacissime, ma che non sono copie del “modello occidentale”. Oppure, al contrario, si pensi alle difficoltà cinesi, dinanzi alla complicata sintesi in corso d’opera tra giacobinismo occidentale, penetrato in Cina attraverso il comunismo e libertà economiche e di consumo di derivazione statunitense. “Non è la fine della storia” quella che stiano oggi vivendo, nota Eisenstadt, ma il frutto di una caratteristica tipica della modernità: quella dell’ “autocorrezione”, come capacità “di affrontare problemi non ancora immaginati nel suo programma originale”. E così di rimettersi così in gioco.
Probabilmente, uno Spengler redivivo, non sarebbe del tutto d’accordo. Ma apprezzerebbe il vigore e il coraggio di queste tesi. Al morfologo tedesco piacevano le sfide (per una rapida ma accurata sintesi del suo pensiero si veda O. Spengler, Morfologia economica, a cura di Luciano Arcella, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2005, http://www.libreriaeuropa.it/ ).
In conclusione, i tramonti sono suggestivi, ma non è detto, che ogni volta, come abbiamo visto, si debba ricominciare da capo. Bisogna avere pazienza, diremmo tenacia, e soprattutto essere capaci di riuscire a “scorgere l’alba dentro l’imbrunire”, come poeticamente notava uno spengleriano, molto particolare, come Franco Battiato. E in sostanza, questa, è la lezione di Berman e Einsenstadt. E non è poco.
Carlo Gambescia

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