venerdì 5 gennaio 2007


Le dimissioni di Nicola Rossi.
Quando l'economista 
liberal si arrabbia...




Le "dimissioni" (chiamiamole così) di Nicola Rossi, economista liberal diessino, già vicino a D’Alema, possono essere lette sia in chiave interna (diatribe di organigramma), sia in chiave esterna, riguardo all’enorme peso che ormai ha assunto il pensiero liberista all’interno della sinistra di governo. E più in generale della sinistra, non solo italiana. Quest’ultimo aspetto è indubbiamente molto interessante. Ed è quello che qui affronteremo.
In primo luogo, il liberal di sinistra (ma sarebbe più esatto chiamarlo liberista), si batte per un un’idea di eguaglianza, tipicamente liberale: l’eguaglianza formale dei punti di partenza. Sul fatto che questa idea non significhi praticamente nulla, se non la concessione di alcune briciole, cadute per sbaglio dalla tavola imbandita dei ricchi, è di dominio pubblico. Almeno tra chi si rifiuta di “bere” le verità ufficiali. Indubbiamente, non è neppure facile, realizzare l’eguaglianza sostanziale. Ma una sinistra vera, dovrebbe guardare in questa direzione, e non in quella opposta.
In secondo luogo, il liberal di sinistra, ha sposato l’idea che il mercato sia un’entità perfettamente in grado di riprodursi e di redistribuire a tutti, e in modo automatico, ricchezza e benessere, secondo i criteri di eguaglianza formale di cui sopra. In questo senso, il liberal respinge qualsiasi forma di intervento pubblico nell’economia, perché, come si legge, fonte di sprechi e irrazionalità varie. In realtà, una sinistra vera, dovrebbe vedere nello Stato (certo, senza esagerazioni di tipo statolatrico) uno strumento per intervenire dove il mercato fallisce. Si pensi alla sanità e alla pubblica istruzione. Settori che non possono essere assolutamente privatizzati, pena il rischio di scivolare in una situazione iperliberista di tipo americano. Dove chi è povero, viene emarginato, perché privo di risorse per “pagarsi” una sanità e un’istruzione, all’altezza dei proprio bisogni. Oppure condannato a chiedere, e ricevere, la carità…
In terzo luogo, le idee di cui sopra, sono oggi dominanti, grazie al ruolo svolto da una terza idea, quello del controllo della spesa pubblica a ogni costo. Idea condivisa dal liberal di sinistra. Mentre, in realtà, una sinistra vera, dovrebbe almeno discriminare tra la spesa pubblica utile ( si pensi alle infrastrutture sociali) e inutile (gli sprechi veri e propri, ad esempio alla sovrabbondanza di personale, o la sua cattiva distribuzione e carenza in alcuni settori pubblici; si pensi, ad esempio alla sanità).
La strategia generale è quella di far passare queste idee, presentandole come una lotta alle corporazione sociali. Ora, le corporazioni esistono. Ma perché prendersela con i tassisti e invece premiare con rottamazioni e sgravi fiscali le “corporazioni” monopolistiche come la Fiat?
La spiegazione più facile - e cattiva - è che l’economista liberal dal momento che scrive o interviene sui quotidiani posseduti dalle grandi corporazioni, non possa (o non voglia) compromettersi. La seconda, più profonda e di tipo psico-sociologico, è che l’economista liberal, ormai, si sia totalmente convertito alla “religione capitalistica”.
In questo caso le dimissioni di Nicola Rossi avrebbero motivazioni di tipo religioso… E la pressione esercitata dai liberisti sulla sinistra sarebbe perciò di tipo fideistico-religioso. Una pressione fortissima, alla quale, proprio perché concerne un "atto di fede" nel mercato capitalistico, non è facile resistere e replicare, puntando su argomenti razionali.
Tuttavia la forza della ragione resta la sola e vera arma, soprattutto per chi oggi scelga di opporsi e resistere alla sempre più insostenibile pesantezza “religiosa” del liberismo.
Perciò coraggio! E razionalità.

Carlo Gambescia

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