mercoledì 19 ottobre 2016

Rapporto Caritas 2016
Si fa presto a dire "lotta alla povertà"...


Leggevamo alcuni giorni fa i dati della Caritas  sulla povertà.  Mah…  A parte le questioni tecniche legate alle misurazioni ( basta uno scarto reddituale  o di un parametro  e i poveri aumentano o diminuiscono a piacere),  al sociologo cosa si chiede? Neutralità affettiva. E i sociologi della Caritas sono obiettivi? No, perché l’analista deve considerare la povertà, come un fenomeno naturale, non un male da combattere o una guerra da vincere. Insomma, basta con queste dichiarazioni di intenti!  Non se ne può più!  Parliamo di dati e cifre che, regolarmente, come per  l' "esclusione sociale"  (altro termine ancora più impreciso di "povertà")  sono  dati in pasto  ai leoni e alle volpi della politica, che  rilanciano, creando messianiche aspettative  e sdegno a comando.                 
Che cosa significa fenomeno naturale? Che la povertà in tutte le società è un fenomeno legato alla stratificazione sociale e  che riflette la distribuzione naturale dei talenti, della fortuna e del potere. Pertanto inevitabilmente c’è sempre  ( e ci sarà sempre) chi sale e chi scende. Di riflesso, la povertà è un fenomeno  naturale, come del resto  la ricchezza. Quindi parlare di guerra alla povertà è ridicolo:  è come parlare di guerra alla  pioggia, alla neve eccetera, eccetera. 
Ovviamente, ci si può riparare dalla pioggia, dalla neve e  perciò anche dalla povertà. Si possono distribuire cappotti, impermeabili, ombrelli. Nessuno lo nega. E le nostre, fortunatamente,  sono società ricche e quindi possono permettersi, mediante la leva fiscale di mantenere e aiutare  un certo numero di poveri. Ma parlare di guerra (di qualcosa che si possa vincere un giorno),  come abbiamo detto,  è pura fantasociologia.
Sotto l'aspetto dell' "aiuto",  esistono storicamente e sociologicamente tre modelli, quello del welfare state, quello totalitario, quello confraternitario-religioso.  Nel primo si cede un poco di libertà economica (per alcuni fin troppa) in cambio di  sicurezza;  nel secondo si scambia la sicurezza con la libertà tout court;  nel terzo si baratta  la libertà di fede con la sicurezza.  Tuttavia, senza libertà economica la società  va a picco, senza libertà tout court si trasforma nell’anonima conformisti, senza libertà di fede muore l’intelligenza. Pertanto ogni modello   ha un costo preciso.
Naturalmente esistono forme intermedie. Dove fermarsi però, dal punto di vista della pressione fiscale? E soprattutto, chi deve intervenire? Lo stato, i privati, la chiesa? Infine, siamo sicuri che l’eliminazione di qualsiasi rischio, anche quello di cadere in povertà, favorisca l’iniziativa e l’impegno dei singoli? Insomma, si fa presto a parlare di  "lotta alla povertà".
Ecco i  problemi che  il sociologo dovrebbe porsi, invece  di parlare come un attivista politico qualunque di "lotta alla povertà"…


Carlo Gambescia           

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