La rivolta dei giovani precari francesi
Un nuovo Sessantotto?
La rivolta dei giovani precari francesi indica che il
processo di "precarizzazione" del lavoro in Europa è giunto a un punto di svolta.
Si tratta di un processo iniziato negli anni Ottanta con
le cosiddette rivoluzioni neoliberiste. E che ha radici nell'economicismo
angloamericano ("l'economia innanzitutto"). Dal momento che questo
pensiero considera il lavoro un puro e semplice fattore di produzione. La
maggiore libertà di cui discutono accesamente i liberisti implica una crescente
libertà d'impresa. E la libertà d'impresa, a sua volta, impone assoluta
autonomia decisionale: l' imprenditore deve disporre liberamente (nei limiti
imposti dai codici) dei fattori produttivi: capitale (macchine, materie prime,
ecc.), natura (terreni coltivabili, miniere, pozzi petroliferi, ecc.) e appunto
lavoro (materiale, intellettuale, specializzato e così via).
Il lavoro umano viene così posto sullo stesso piano della
materia morta, inanimata. Che, secondo certo liberalismo economico, si trasformerebbe
in materia viva, animata soltanto grazie al soffio vitale del
dio-imprenditore. Il lavoro, insomma, non sarebbe altro che un fattore che deve
garantire, come gli altri fattori, produttività crescente. Dal punto di vista economico.
Pertanto quel che sotto l'aspetto sociologico è
"precario" (come condizione di provvisorietà, incertezza, instabilità
nel rapporto di lavoro), sotto l'aspetto economico-imprenditoriale è
"mobile"(come condizione di un lavoro, quello umano, che può essere
mosso, spostato, trasferito, secondo le esigenze dell'impresa).
Ora, protestare contro la precarizzazione economicista
del lavoro come fanno i giovani francesi, indica che la mobilità dei fattori
non può essere spinta oltre un certo limite. La ricerca capitalistica della
produttività non può (e non deve) fagocitare l'intera "sostanza"
umana di cui è "fatta" la società. L'uomo, come insegnano gli
antropologi culturali, ha una grande capacità di adattamento (plasticità), la
cui finalità è però la sua conservazione e non autodistruzione... E i giovani
francesi hanno fiutato il pericolo di una deriva "antropologicamente"
distruttiva. E prima di altri (perfino degli stessi sindacati) hanno
"sentito", e sulla propria pelle, che è in gioco la riproduzione
sociale, se non fisica, di una intera generazione, e di conseguenza della
futura società nel suo insieme.
E ciò significa che si è giunti a una svolta. Dal momento
che sussiste la possibilità che politici e imprese possano fare marcia
indietro. E se così fosse la "retromarcia" francese (il ritiro di una
legge che, tra le altre cose, prevede per i giovani fino a 26 anni assunti da
imprese sopra i 20 dipendenti, il licenziamento senza giustificato motivo nei
primi due anni) , potrebbe costituire un ottimo esempio anche per tutti gli
altri paesi minacciati da una incombente precarizzazione del lavoro (non solo
giovanile). E magari una "riflessione" anche in Italia sulla Legge
30.
Il che proverebbe anche la difficoltà di trasferire e
applicare il modello economico-sociale angloamericano in Europa.
Non è invece il caso di parlare in un nuovo Sessantotto
studentesco. La situazione economico-sociale è totalmente diversa. All'epoca
primeggiavano (e si confrontavano) due modelli politici, sociali, economici
differenti (quello euro-americano e quello socialista, cinese e sovietico.
Mentre oggi ne è restato uno solo, quello statunitense. Il che indica che
mancano alternative geopolitiche e sociali concrete. Inoltre, nel Sessantotto
gli studenti come gruppo sociale miravano a sostituire, come parte dirigente,
lo stesso movimento sindacale: agivano. Oggi
invece si battono, certo giustamente, ma solo per sopravvivere alla
precarizzazione: reagiscono. Infine, la protesta studentesca
del Sessantotto esplose alla fine di un periodo di grande sviluppo, mentre oggi
l'incendio francese divampa in una società sull'orlo del
"desviluppo".
Di qui la necessità di evitare facili ed erronei
raffronti e mitizazzioni. Lasciamoli a giornali e televisioni sempre affamati
di rivoluzioni in diretta.
La "Sorbona brucia"? Forse. Ma non è
assolutamente il caso di farsi venire il torcicollo.
Carlo Gambescia
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