È inutile nasconderlo: la destra vince, e non si tratta di una destra qualunque. Le elezioni regionali lo confermano: come ieri in Calabria, la destra unita – quella “melonizzata”, con Lega e Forza Italia, partiti che seguono più che guidare ideologicamente – raccoglie consensi a tappeto. Non lasciamoci ingannare dai numeri: è un blocco che convince nonostante polemiche, scandali e incertezze economiche. Anzi, forse proprio grazie a quel tono muscolare e rancoroso che la sinistra sembra incapace di replicare. Ma resta la domanda fondamentale: perché succede? E possiamo spiegare il fenomeno al di là della semplice tattica elettorale?
In primo luogo, la libertà di parola e di pensiero sembra non interessare più alla maggioranza dei cittadini. Un elettore su due non vota — l’affluenza alle ultime regionali attesta il dato — e chi vota spesso vota contro, e con rabbia. vedendo nell’avversario un nemico da distruggere. Inoltre, per molti, la libertà coincide con la possibilità di farsi i propri affari: mangiare, divertirsi, lamentarsi, e basta. La libertà politica – quella che implica responsabilità, ragionamento, partecipazione, rischio – è percepita come una seccatura. La “libertà dell’inerzia”, direbbe un Tocqueville redivivo. Nelle memorie di Carlo Rosselli, confinato a Ustica, citiamo a memoria, l’antifascista per gli isolani, pescatori derelitti, era un signore, perché solo i benestanti potevano occuparsi di politica… Quindi, ieri come oggi, la politica è vista o come un lusso o come una seccatura.
In secondo luogo, il bisogno di autorità. In Italia è sempre esistito, ma oggi ha assunto forme di massa. Non si sogna il duce, ma si desidera un potere forte, ordinatore, che protegga da tutto: tasse, migranti, caos, perfino dalla complessità. Secondo Demos & Pi (2024), il 58 % degli italiani ritiene “utile avere un leader forte che non debba preoccuparsi troppo del Parlamento” (*). È la logica dello scambio: obbedienza in cambio di sicurezza. Si ritorna al Leviatano di Hobbes.
Lo Stato come padre severo ma presente. E onnipotente. Infine cosa da non dimenticare: anche la sinistra soffre dello stesso male, promettendo tutele e bonus invece di libertà e responsabilità. Così, la domanda politica si riduce a: “Quanto aiuto posso ricevere?”, non “Quanta libertà posso esercitare?”.
In terzo luogo, la rivoluzione digitale ha trasformato la politica in una rissa permanente. I social non hanno ampliato la democrazia, l’hanno deformata. Non si lotta più per governare, ma per impossessarsi simbolicamente dello Stato, a colpi di post, tweet e di patriottismo d’accatto. La destra ha occupato lo spazio dell’identità, la sinistra si è rifugiata nel linguaggio dei codici e delle sensibilità. Partita persa. Tradotto: la sinistra perde perché ha smesso di parlare una lingua che la maggioranza capisce — preferendo usare “codici” (termini specializzati, idee astratte, sensibilità identitarie etc.) invece di affrontare problemi concreti con parole semplici. E chi è “fuori” dal circuito culturale della sinistra spesso non capisce, o si sente escluso. Per cui la sinistra ha perso consensi, influenza, efficacia. Il che però non significa che debba scimmiottare il populismo della destra. La sinistra deve farsi liberale.
E qui veniamo al quarto punto. Alla radice più profonda del nostro male: l’assenza di una cultura liberale diffusa. L’Italia non ha mai interiorizzato l’idea di libertà come fondamento della vita comune: non come virtù civile, nel senso del rispetto e della convivenza, né come principio civico, legato alla responsabilità verso la cosa pubblica e le istituzioni. È rimasta un’abitudine di pochi, non un sentimento collettivo. Un recente sondaggio IPSOS mostrava che meno del 20% degli italiani associa la parola “libertà” a “responsabilità civica”: per il 44 % significa “vivere senza vincoli” (**). Il risultato è uno statalismo di fondo, condiviso da tutti. Una forma di individualismo protetto, tipo "Voglio farmi i miei affari ma con il paracadute dell stato". Un individualismo spurio, da vigliacchi, che nulla ha a che vedere con l’ eroico individualismo liberale. Sicché, statalismo per statalismo, vince quello più aggressivo, quello di destra – che promette ordine, disciplina, confini, identità… Tutte parole d’ordine che riempiono il vuoto lasciato dalla libertà.
Non sorprende, quindi, che in tanti continuino a dire che “Mussolini fece anche cose buone”. È la frase più sincera dell’Italia profonda: non ama il fascismo, ma non ama nemmeno la libertà.
Ecco perché il consenso alla destra non è un incidente, ma la prosecuzione della nostra storia con altri mezzi. Per ora parlamentari.
Carlo Gambescia
(*) Qui: Demos & Pi — “Democrazia e voglia di leader ‘forte’ ”
https://www.demos.it/rapporto.php .
(**) IPSOS, Italia 2025: Futura Fuggente (“Flair Collection”).
Ricerca di opinione pubblica che esplora i grandi temi del presente —
valori, identità, fiducia, libertà — offrendo un quadro aggiornato e
significativo delle tendenze socio-culturali italiane.Ottima. Per il passo citato, si veda qui: https://www.ipsos.com/sites/default/files/ct/news/documents/2025-03/Flair_2025-libro_COMPLETO_.pdf (pp. 23-24).


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