C’è una tendenza, mai scomparsa, a rimpiangere la lira. Una specie di dato metapolitico. La nostalgia rimanda non tanto al suo valore economico, quanto a ciò che rappresentava: una moneta “nostra”, tangibile, familiare.
La memoria monetaria si intreccia con quella collettiva e finisce per trasformarsi in mito un poco fascista.: la lira come emblema di un’Italia più ordinata, più concreta, più seria. Capito? dio, patria, famiglia e lira… Sogni che possono tramutarsi in incubi politici.
Anche perché i numeri raccontano un’altra storia.
Per fare un esempio terra terra, nel 1978, un cappuccino costava circa 250 lire, un cornetto 150–200 lire: totale 400–450 lire, 50 centesimi di euro, per capirsi. Nel 2002, ventiquattro anni dopo, con l’arrivo dell’euro come moneta liquida, la stessa colazione costava 1,50 euro, pari a 2.900 lire. Oggi, nel 2025, ventitré anni dopo, la paghi mediamente 2,80 euro, cioè circa 5.400 lire.
Dunque, in quasi mezzo secolo, il prezzo è cresciuto di circa dodici volte. Ma nello stesso periodo il livello generale dei prezzi è aumentato di circa dieci volte, mentre i salari reali — pur stagnanti nell’ultimo ventennio — erano molto più bassi negli anni Settanta.
In altre parole, non era la lira a essere forte, ma la capacità di mitizzazione del passato dell’essere umano, in particolare se italiano e di simpatie nazional-fasciste, per dirla con Salvatorelli.
Altri numeri. Nel 1978, lo stipendio medio di un operaio era di 250.000 lire al mese. Oggi l’equivalente, in potere d’acquisto, supera i 1.200 euro, cioè circa 2,3 milioni di lire. Se si divide lo stipendio per il costo di una colazione, si scopre che l'ordine delle grandezze è più o meno simile.
La “catastrofe dell’euro” non esiste: come detto, esiste il ricordo, spesso infedele, di un’epoca di cui piace credere fosse tutto più semplice. Forse perché da boomers, si era più giovani e belli e le cifre erano più piccole e graziose (*).
La nostalgia monetaria, dunque, è un fatto sociologico prima che economico. Diremmo addirittura metapolitico. Rivela la difficoltà antropologica di adattarsi all’astrazione della modernità, del denaro come segno simbolico e oggettivo, secondo l’insegnamento del grande Simmel.
Tradotto: l’euro non è più la moneta che si tocca e si accumula nel salvadanaio: è simbolo e sistema, una convenzione complessa che funziona solo dentro reti fiduciarie globali. La perdita non è materiale, ma immaginaria: riguarda il passaggio da un’economia visibile a una invisibile, da un mondo di oggetti a un mondo di segni.
C’è poi un aspetto geopolitico (per usare un termine purtroppo tornato di moda), raramente affrontato con serietà: la vulnerabilità dell’Italia se davvero decidesse di uscire dall’euro.
Un ritorno alla lira significherebbe esporre il Paese a una tempesta perfetta: immediata svalutazione della nuova moneta, aumento del costo delle importazioni e del debito pubblico denominato in euro, fuga di capitali, inflazione incontrollata.
In assenza dello “scudo” rappresentato dall’area euro, il nostro Paese tornerebbe ad avere una moneta debole in un contesto di mercati forti, come negli anni Settanta e Ottanta, ma senza più il margine di crescita industriale che allora permetteva di assorbire gli shock valutari.
Il vero problema italiano, non è l’euro, ma la bassa produttività (**).
Infine, se si uscisse dall’euro, la credibilità internazionale dell’Italia ne risulterebbe gravemente compromessa: tassi d’interesse più alti, aumento del debito, contrazione dei risparmi, minore attrattività per gli investimenti. In breve, una sovranità monetaria senza potenza economica: l’indipendenza apparente che si paga con la dipendenza reale.
Concludendo, la nostalgia della lira non parla di economia, ma di società: di come gli italiani faticano ad accettare la complessità, confondono memoria e mito, e cedono al fascino di simboli tangibili che rassicurano ma ingannano. L’euro non è un nemico, la lira non è mai stata un paradiso: ciò che resta è un desiderio di semplicità, di concretezza, di sicurezza perduta, desideri che, se politicizzati, diventano terreno fertile per fantasie autoritarie.
In altre parole, la nostalgia monetaria non è mai innocua: è una fessura nella storia, pronta a trasformare il ricordo in inganno, il mito in pericolo.
Carlo Gambescia
(*) Gli esempi sono frutto di nostre elaborazioni su fonti economiche affidabili: https://www.istat.it/wp-content/uploads/2025/02/REPORT_SES_2022_ENG.pdf?utm_source=chatgpt.com (ISTAT); https://fred.stlouisfed.org/series/FPCPITOTLZGITA?utm_source=chatgpt.com# (FRED); https://www.worlddata.info/europe/italy/inflation-rates.php?utm_source=chatgpt.com (WORLDDATA.INFO). Infine, a proposito di tazzine di caffè, pur con alcune imprecisioni, diciamo per eccesso (ma simpatia assicurata) si ceda qui: https://www.youtube.com/watch?v=10Fh7EjmOKE .
(**) Per una analisi approfondita della questione si legga qui: https://lavoce.info/archives/105243/la-crescita-italiana-che-non-ce/?utm_source=chatgpt.com .

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