mercoledì 31 luglio 2019

A proposito di liberalismo e società aperta
Corrado Ocone "liberale per Salvini"?


Stimo  Corrado Ocone ( a sinistra nella foto) .  E lo leggo sempre con interesse.  Ignoro però  se  Sofia Ventura,  già vicina  sebbene  per l’espace d’un matin  alla finiana fondazione Fare Futuro, nel suo articolo su  “L’ Espresso”,   abbia  proprio evocato la figura di  Ocone  a proposito dei “liberali immaginari  per Salvini”.    
      
I quesiti trasversali alla Camilleri non mi appassionano.  Devo però  dire  che neppure la risposta di Ocone, per così dire presuntiva, uscita  su “Formiche” mi ha convinto (*).  
Intanto, perché anch’io sono  un liberale passato per Fini (scrivevo  sul “Secolo d’Italia”  targato Perina e Lanna), e, per inciso,  non posso non ribadire, per conoscenza diretta,  che quella destra,  al di là dei destini individuali dei direttori dell’epoca,  di liberale aveva poco o nulla. Fu una pioggerellina estiva subito evaporata a terra.  Oggi, basta sfogliare il  "Secolo” per notare che si fa la lezione a Salvini.  Ma, attenzione, dal punto di vista della purezza neofascista. Insomma, indietro tutta.  
E qui vengo al Capitano che invece  non ha  un passato neofascista.  Però,  ecco  ciò che sfugge a Ocone,   Salvini si nutre ( e nutre i sodali)   di  una concezione  della politica di tipo populista. Che è l’esatto contrario della  visione liberale, comunque la si intenda (come sfida, intellettuale o meno). E non solo, come vedremo più avanti.  
Il  Salvini-Pensiero  oppone  all’individuo,  da un punto di vista maggioritario e sovranista, l’idea olista di nazione sociale.  Per  il Capitano il popolo sovrano ha sempre la meglio, o comunque deve avere la meglio,   sull’individuo.

A questo lato ideologico vanno sommate alcune qualità  caratteristiche dell’uomo:  il rozzo pragmatismo, il  fiuto plebeo per il ventre del popolo, una capacità non comune di cavalcare i media.
Un mix di olismo e di candida brutalità  che, seppure in sedicesimo ( per ora),   non può non ricordare un altro dannoso Cesare del secolo scorso. In camicia nera.
Insomma, l’antropologia salviniana, soprattutto come possibile e diffuso  modello sociale di riferimento,  è veramente minacciosa. Non solo per le istituzioni politiche della liberal-democrazia, come sembra  sostenere  Sofia Ventura,  ma per la società aperta in quanto tale.  
Metodologicamente parlando,   l’antropologia salviniana  si fonda sul criterio dell’infalsificabilità, per dirla con Popper.  O se si preferisce, per citare  Cassirer, sul pensiero mitico.   Salvini è  il classico profeta armato, per ora in fieri,   della società chiusa.
Pertanto, pur concordando con Ocone, sulle questioni dell’avalutatitività  e del necessario perseguimento della verità effettuale,  ritengo che  Salvini  e il suo modo di fare politica, siano totalmente estranei   alla società aperta.
Società aperta, per capirsi,  nel senso di Popper e Hayek.   
Di conseguenza, l’attendismo epistemologico, proposto da Ocone, può risultare  nocivo. Perché   in gioco c’è  il  destino - ripetiamo - della società aperta.  In discussione è il sistema.   Quindi  non il solo ruolo dei liberali, ma di tutte le culture politiche intra-sistemiche:  riformiste come conservatrici. Con le quali il sovranismo populista non ha nulla in comune.     
Di conseguenza,  la sfida non è tra  i liberali  di scuole o “idealtipi” diversi,  ma tra la società aperta e i suoi nemici, per evocare il titolo di un’opera seminale. 
Di qui  la necessità, non solo di non restare a guardare ma di schierarsi contro Salvini.  Certo, a situazioni nuove è sempre necessario  rispondere con  ricette nuove,  in nome di un sano realismo, come sostiene Ocone. Concordo perciò sul bisogno  di capire  senza dover sposare le truculente tesi di Salvini. Credo sia questa la posizione autentica di Ocone.
Però qui  di veramente  nuovo, e quindi da capire, c’è solo  un rinnovato  tentativo di cancellare la società aperta.
Per dirla in sociologhese, il sovranismo populista punta a distruggere l’antropologia sociale della moderna convivenza politica, civile, economica e culturale.             
Certo, la compagnia di alcuni anti-salviniani  può non piacere, come del resto  il concetto di militanza  rimanda alla sventurata tradizione dello sghembo costruttivismo azionista ( e non solo).  Però dall’altra parte, non si scherza:   si tira la volata a Putin,  Dugin e al peggiore tradizionalismo politico e sociale.
Che  cosa c'è ancora da capire?           

Carlo Gambescia   
  



martedì 30 luglio 2019

Riflessioni
L’importanza delle regole




Nel film La meglio gioventù, (2003),  film post-comunista comunque interessante,  uno dei protagonisti,  Matteo Carati, il bravissimo Alessio Boni,  alla domanda del perché si è arruolato in polizia, risponde: “ Cerco delle regole”.  
Matteo Carati  si suicida,  una morte  che suona come un atto di accusa  verso  istituzioni  che applicano  le  regole in modo contrastante e  rapsodico.  Proprio come quei carabinieri che  nell’interrogatorio di un indagato,  il giovane americano imputato dell’omicidio di un collega,   hanno violato  più di una regola… 

Matteo Carati è una  figura cinematografica,  ma il rigore del personaggio  ha valore reale ed esemplare.
Si pensi alla inquietante reazione di  molti commentatori, soprattutto a destra,  che hanno parlato di  cattivo addestramento a proposito del carabiniere, presente all’interrogatorio,  che si presume abbia  passato la  foto del ragazzo bendato ai giornali.
Perché un bravo carabiniere, prima di essere tale,  non è  un cittadino?  Che magari si è arruolato perché “cerca delle regole” nell’Arma,  proprio come Matteo  Carati?  E che  non trovandole, sdegnato,  invece di suicidarsi, si rivolge  ai  giornali?  Deve essere per forza un traditore e un venduto?  E poi,  comunque sia,  ciò che conta è che la verità sia venuta a galla.
Certa destra,  quando pensa  ad alta voce, spesso in fretta quindi stupidamente,   ricorda i ragionamenti dei generali  argentini, e dei loro sgherri.   Che  obbligavano, pena la prigione se non peggio,  i piloti degli aerei della morte, piloti messi a disposizione dall’aeronautica, a tacere su ciò che stava accadendo, appellandosi a un  frainteso  amor di patria.   

Alcuni  piloti  disubbidirono e parlarono.  E grazie al loro coraggio quella pagina vergognosa oggi è nei libri di storia. Proprio per ricordare l’importanze delle regole. 
Un altro aspetto inquietante  della destra con la bava alla bocca  è l’accusa,  rivolta  a chiunque provi a contestare  il comportamento dei carabinieri,   di sminuire  la figura della vittima, il vice brigadiere Cerciello Rega. 
Che dire?  Siamo davanti al  fallace  argumentum ad hominem: chiunque osi  criticare le forze dell’ordine viene subito bollato come anarchico insurrezionalista. E quindi diviene, lì per lì,  non credibile.
Si tratta dello stesso pseudo-ragionamento dei generali argentini verso i piloti  che “tradivano”… Evidentemente, per certa destra  Videla resta un ottimo esempio di grandi capacità di comando (sorvolando, ovviamente, sulla disastrosa  gestione della  guerra per le  Falkland…).  
A proposito, che cosa sono queste famose  regole? In Occidente, in particolare nell’Europa continentale, rispondono al nome di stato di diritto,  un’istituzione  rivolta  a tutelare, tramite la legge, i cittadini dagli abusi dei pubblici poteri. Ci sono, ad esempio,  “regole” che impediscono alle forze dell’ordine di mettere in atto    comportamenti lesivi dei diritti dell’uomo e del cittadino  che vanno, per l’appunto,    dal  bendare o imbavagliare gli indagati al  gettarli  in volo  da diecimila  metri.
Qualcuno potrebbe pensare  che un  conto è  bendare  un ragazzo,  un altro spingerlo giù da un aereo.  No, sono “regole”  Forma. E nello stato di diritto, la forma è sostanza. 
Mai dimenticarlo. In particolare,  chiunque indossi un uniforme           

Carlo Gambescia     
       

lunedì 29 luglio 2019

La foto  del ragazzo  americano bendato
Qui l’unica benda è quella davanti agli occhi degli italiani


Nell’iconografia politica dell’Occidente la Giustizia viene rappresentata con una benda davanti agli occhi, per simboleggiarne l’imparzialità.  Per contro la figura del  prigioniero  bendato rinvia a un immaginario di umiliazione e abbrutimento.

Basta fare un giro su Google immagini, impostando i due termini "prigioniero bendato", per ritrovare migliaia di foto “dedicate”. Accanto a ogni  prigioniero, di guardia,  si ritrovano soldati  americani, iracheni, israeliani, russi, cinesi, eccetera. La  “bendatura” è una tecnica di tortura, ai primi stadi, per estorcere confessioni,  diffusa da Oriente a Occidente. 
Ovviamente, la diffusione di una tecnica per disorientare fisicamente e demoralizzare il prigioniero, particolarmente gradita a militari e polizie militari, non può  incidere  sul giudizio  negativo dal punto di vista dello stato di diritto, meritoria  invenzione dell’Occidente, e del rispetto della dignità delle persone. Soprattutto, quando  si parli di  indagati, come nel caso dei giovani  americani accusati dell'omicidio del carabiniere.  Anche perché, dal punto di vista dello stato di diritto, una confessione estorta con la violenza non ha  nessun valore legale.
Certo, realisticamente,  esiste il cosiddetto stato di eccezione, ad esempio lo stato di  guerra, dove  necessariamente, alcune libertà non possono non essere sospese. Primum vivere, autoconservarsi innanzitutto, resta la regola principale a cui si attengono i macro-attori politici, davanti al nemico in armi che li indica apertamente come tali.  Insomma, in certe situazioni  estreme,  si può togliere la benda giustizia e metterla al prigioniero o indagato che sia. Si chiama etica della responsabilità.

Ora, però,  per venire alla foto diffusa ieri, lo scatto rivela   un  trattamento,  verso un indagato,   privo di qualsiasi ragione fattuale e giuridica.  Ripetiamo:  la  bendatura del giovane americano, presunto colpevole di omicidio  non può avere  alcuna ragione di essere, né legale, né morale, né umana.   Risulta evidente  la sproporzione colossale tra la misura presa e il contesto in cui sono avvenuti i fatti.  
A meno che sul contesto - ecco il punto, in  negativo -  non abbia  agito quella sindrome da accerchiamento (dai “clandestini”,  dalle “mafie” di terra e di mare, dai “burocrati di Bruxelles”, “dai nemici dell’Italia", eccetera), che sta distruggendo il dibattito pubblico italiano per fare la fortuna di Salvini e delle destre che vedono nemici assoluti ovunque.  Di conseguenza,  i carabinieri,  si sarebbero sentiti autorizzati, in  una situazione creduta come di guerra,  a comportarsi secondo tecniche - semplificando -  di tipo anti-insurrezionale.  
Il  che non vale come giustificazione. Perché questa brutta storia, oltre a fare il giro del mondo e  metterci in cattiva luce  dinanzi all’opinione pubblica americana,  indica una cosa gravissima:  come l’isteria politica si sia ormai impadronita dell’Italia. Ne  scrivevamo ieri (*).

Un altro indicatore negativo  è rappresentato dalle reazioni alla foto. Sui giornali e sui social sta   imperversando  il gossip politico, complottista  dell’ “ A chi giovi” e delle chiacchiere roventi su una presunta  “manovra” segreta per distogliere l’attenzione dall’uccisione del carabiniere.  
Il sofisma, dietro queste fantasie, è quello del post hoc ergo propter hoc (dopo di questo quindi a causa di questo).  In tal modo,   si   spezza   la catena causale, che invece, come sappiamo, riconduce la vicenda della bendatura al clima isterico instaurato da Salvini e dalle destre,  per accreditare che cosa?   La pseudo-idea,  limitandosi agli ultimi  due eventi (arresto e foto), che se un evento  è  seguito da un altro (post hoc), allora il primo deve essere causa del secondo (ergo propter hoc).  Tradotto:   che l’arresto, intervenuto prima della foto,  sia la causa della diffusione della foto.  Però quando ai nostri fantasiosi  interlocutori si chiede il perché, ci si  sente  rispondere  con fantasticherie politiche sui vantaggi, tutti da provare,  di cui avrebbe goduto questo o quello, vantaggi inevitabilmente  incasellati in  una visione complottistica della storia, dove -  ci si risponde illudendosi di far quadrare il cerchio - c'è sempre qualcuno che tirerebbe le fila, eccetera, eccetera.  La storia è un complotto? Dio esiste?

Sono argomenti né veri né falsi. Dunque indeterminati.  Infalsificabili. Riguardano  le credenze individuali.  Che però, una volta sviluppatesi in collettive, si trasformano in forze devastanti, soprattutto se usate come base pseudo-teorica,  per sollevare dubbi e seminare -  volenti o nolenti -  il curaro dell'isteria dove l'isteria già fiorisce rigogliosa  e dove  nessuno è in grado di comprendere la sottilissima  distinzione -  ammesso e non concesso che esista -  tra congiure e teoria del complotto.
Insomma, quel che può valere all'interno di un raffinato circolo di studiosi, abituati  a spaccare il capello in quattro, perde qualsiasi senso all'interno della società di massa, dove si ragiona per stereotipi. E figurarsi nell'universo social. Di qui le grandi responsabilità del cosiddetto giornalismo investigativo  nel non superare i limiti tra informazione e pensiero mitico.  Ma questa  è un'altra storia.
In questo modo però, tirando le fila del nostro  discorso,  si  sorvola, neppure elegantemente,  sul clima isterico che ormai regna in Italia. Che è  la causa delle cause. Perché  senza l’odio e il veleno sparsi da Salvini e dalle destre nessuno avrebbe bendato il ragazzo, nessuno avrebbe diffuso la foto.  Purtroppo  la benda davanti agli occhi sembrano averla  gli italiani. E si chiama  isteria politica.
Così siamo messi. Altro che teoria del complotto.


Carlo Gambescia




                                          

domenica 28 luglio 2019

Il carabiniere ucciso a Roma, le reazioni
Prove tecniche di autodistruzione




ABC News  informa gli americani che Salvini ha dichiarato che  i due ragazzi  coinvolti nella morte del vice brigadiere Mario  Cerciello Rega “la pagheranno cara”… («Salvini had said before the official announcement of the teens' arrests and confessions that they would make the culprits "pay dearly," according to The Associated Press»)  (1) . 

Al momento non si conosce bene la dinamica dei fatti, l’unica cosa certa è che uno  dei giovani, per sua ammissione, ha pugnalato a morte il carabiniere.  Si attende ora che la giustizia faccia il suo corso, accertando  fatti e responsabilità.
Tutto sommato,  ABC News,  un pezzo di storia dell’informazione americana, ha mostrato grande sobrietà nel riferire i fatti. Necessaria, come si insegna,  soprattutto a caldo.  Ovviamente, non poteva non riportare le dichiarazioni, come al solito incaute, del Ministro dell'Interno italiano.  Dichiarazioni, insomma, non di un cittadino qualunque.     
E qui veniamo al punto.  Perché  definire poco sobrie  le reazioni dei media e dei social  italiani è un eufemismo.  La parola giusta è isteria. Per giunta collettiva. Nel senso che l'isteria si impadronisce di qualsiasi tesi, non importa se pro o contro, perché l'obiettivo  è la distruzione del discorso pubblico. Si tratta di un fenomeno  sociologicamente interessante  per capire quanto sia elevato - purtroppo -   il tasso italiano di autodistruttività.
Nelle polarizzazioni degenerative il fattore predominante è la diffusione conflittuale.  Il problema delle origini di una notizia  è secondario.  Sotto questo aspetto il sociologo usa i verbi impersonali: si dice, si fa, si racconta. Quel che ha valore dal punto di vista sociologico  è l' effetto di ricaduta dell' informazione.  Tanto più  dannoso quanto più il discorso pubblico è inquinato dall'isteria     
Per tornare sul punto,  dapprima, quando ancora non si conosceva  la nazionalità  dei ragazzi, si  è subito addebitato   l’omicidio a immigrati nordafricani, evocando, ora più che mai,   la necessità di chiudere le frontiere per salvare la vita dei carabinieri italiani. Molto nobile...
In seconda battuta, appena  scoperta la nazionalità americana dei presunti colpevoli, si è data subito la stura ai peggiori rigurgiti dell’antiamericanismo, usando però un peloso americanismo. Per capirsi: negli Usa li gaserebbero, mentre in  Italia prigione a vita e “lavori forzati”(qualcuno avvisi Salvini che l’ordinamento italiano non li prevede) . Altrettanto nobile...    
Diciamo la verità: uno spettacolo indecoroso, politico, umano e giornalistico.  Oggi,  per dirla fuori dai denti,  lo sport preferito dagli italiani è tirarsi gigantesche palle di merda, costi quel costi.   Diciamo che in questo modo  non si  piange la memoria di un carabiniere, né si celebra lo stato di diritto. E quel che è peggio, ripetiamo, si fa pessima informazione    
Una vera  vergogna alla quale non  si è sottratta in nome dell’antico odio verso le divise,  certa sinistra rancorosa, diffusa soprattutto sui social.  
E qui pensiamo alla professoressa dell’ “uno di meno” a proposito del povero carabiniere  morto accoltellato. E liquidato, tra l’altro, come un cretino... Dicono,  si sia scusata.  Però a frittata fatta. Giusto in tempo per consentire  a un lupo mannaro massmediatico come Belpietro di infangare tutta la sinistra, scrivendo il solito editoriale in stile Attila (2).         
28 luglio 2019.  Prove tecniche di autodistruzione.  
C’è altro da aggiungere?   

Carlo Gambescia

               
                          

sabato 27 luglio 2019

Riflessioni  
La Luna è lontana


Il 20 luglio del 1969 l’uomo  approdò sulla Luna. Approdare sembra il termine giusto, nel senso di giungere in porto. La conquista è altra cosa.  E infatti  dopo cinquant’anni ancora si ragiona, e neppure con tanto slancio,   su cosa  fare   di un pianeta inospitale, l’unico satellite della Terra.
Cinquant’anni dopo  la scoperta dell’America, l’Oceano Atlantico  era percorso in lungo e largo  da navi spagnole. La conquista, soprattutto dell’emisfero Sud  era quasi cosa fatta.  Altro spirito, altri tempi.

La  conquista   dell’ America avviene  all’inizio della modernità,  la pseudo-conquista della Luna, cade nell’ultimo trentennio ( o quasi) del Novecento, agli  inizi la post-modernità, almeno secondo alcuni filosofi.  
La dotazione tecnica, scientifica ed economica  dell’Occidente nel 1969 era  colossale, quella della Spagna e dell’Europa del 1492  di tipo appena post-feudale,  a dir poco spartana. Qual è il fattore, semplificando,   che segna la differenza tra Isabella di Castiglia e la Nasa?  Il fattore Ulisse.
Per quanto mitizzata nell’immaginario dell’Occidente, la figura di  Ulisse  - oggi post-modernamente ridotta al  “fascino della scoperta” -  rappresenta  proprio quel che Dante, uomo del medioevo, pur con una sua nobiltà, condannava: la negazione del limite, in tutti sensi, umani e culturali.  Ulisse non stava al suo posto, sfidava le leggi divine e  umane.  Ecco ciò che gli rimproverava Dante.
Negli anni  Sessanta del Novecento,  contemporaneamente ai progetti di  “conquista della Luna”,  si sviluppò  una nuova  cultura del limite.  Il Primo  rapporto Mit sui limiti dello sviluppo,  punto di partenza del catastrofismo ecologista oggi dominante,  risale al 1972, tre anni  dopo l’allunaggio. 

Dante, se ci si  passa il parallelo, in qualche modo  si vendicava di Ulisse,  traendo nuova  linfa  non da una metafisica religiosa,  ma dalla  metafisica  ambientalista.
Se in Dante l’uomo è un’entità creaturale sottoposta  a Dio e ai suoi emissari terreni, per i profeti dell’ ecologismo, l’uomo diventa  una animale come tutti gli altri, anzi più pericoloso degli altri, sottoposto  a una natura deificata e intoccabile, confinato  in un  un ruolo periferico.
Via gli ideali di grandezza e di progresso. Via la forza trasformatrice della modernità.  Via la potente volontà dell'uomo  di sottomettere la natura  a un disegno ambizioso e solenne.  
Sul piano filosofico, come precursore della cultura del limite, in quanto  nemico di Ulisse,  può essere indicato Heidegger:  il filosofo che non disdegnò Hitler, altro amante della natura ma nemico dell'uomo.  Heidegger  teorizzò  un uomo gettato nel flusso della vita,  teso a  sopravvivere a se stesso o a vivere per la morte,  immergendosi nella natura,  a distanza di sicurezza dalla “civiltà della tecnica”.
Heidegger in un breve scritto, Aletheia (in Saggi e discorsi),  descrive Ulisse  piangente e prigioniero del senso di colpa. Una vittima di se stesso. Che vorrebbe riparare alla distruzione di Troia.  Ulisse come pentito:  una ben triste figura.
Ed è questa la cultura che oggi prevale:  del pentimento post-modernista,  del limite  e  della paura  di ciò che Popper  chiama la logica della scoperta scientifica: il sale   dell’Occidente.
Sì, la Luna è  lontana. Oggi più che mai.   Dove sei Ulisse?

Carlo Gambescia

                                                    

venerdì 26 luglio 2019

Meglio corrotti che pedofili…
Come oscurare “Moscopoli”



Oggi sul  “Corriere della Sera” Fiorenza Sarzanini smonta la tesi  ufficiale di Salvini e della Lega, che nessuno sapeva cosa  facesse a  Mosca  il faccendiere Savoini (come da Dizionario: Faccendiere, “intrigante, mediatore  di affari spec. poco onesti o addirittura illeciti”).   Alcune  mail  provano che Savoini era in Russia su invito del Viminale. 
Dieci anni fa, pensiamo alle durissime campagne politico-mediatiche contro Berlusconi, per carità motivate,  Salvini si sarebbe dimesso e il governo caduto.  Come mai dieci anni dopo è ancora a cavallo?  
Lasciamo stare, per ora,  il sospetto di  alto tradimento,  che pur aleggia  intorno a una brutta storia di scambio di intelligenze politiche (come si evince dalle registrazioni)  tra emissari italiani e russi che non erano al Metropol per caso (come prova la Sarzanini). Concentriamoci invece su una questione fondamentale:  il depistaggio mediatico orchestrato da giornali e  social  di destra. Si è praticamente creato dal nulla un caso Bibbiano, trasformando una storia di presunti  intrallazzi amministrativi  in una campagna, per dirla in modo brutale, contro la sinistra pedofila.  
Tradotto: oggi comanda il Politicamente Corretto di Destra.  Ecco la differenza rispetto a dieci anni fa.

Passi (si fa per dire)  per la Rai, ormai consegnata al governo giallo-verde, ma non per  il circuito  Mediaset, che ha subito vampirizzato Bibbiano, ufficializzando  l’approccio  social  in stile “PDofili”,   pur di oscurare una storia che “Repubblica”,  unica voce autenticamente dissonante,  ha denominato, per l'inconfondibile olezzo di spie e tangenti,  "Moscopoli". 
Questa compatezza   - come del resto quella di segno contrario ai tempi di Berlusconi -  fa veramente  paura. Ridotto all'osso, il ragionamento, sotteso alla potente e diffamatoria   campagna  contro la sinistra dipinta come un banda di  pedofili,  risulta essere il seguente: meglio corrotti che froci (per usare un termine caro alla destra).
Che poi, su  Bibbiano  non sia  emersa alcuna pistola fumante pedofila  non aveva e non ha alcuna importanza,  ciò che contava e conta  è  opporre  a  un argomento forte  (“Moscopoli”) un argomento ancora più forte, una specie di arma atomica (“PDofili).  Perché per la  “brava gente”   che vota Salvini o si appresta votarlo il messaggio propagandistico che deve passare è  questo:  che il Pd ruba  i bambini alle famiglie povere, ma “normali” per affidarli alle famiglie gay, ovviamente “anormali”.  Non importa che un fatto  sia vero, l'importante è  che la gente lo creda tale.  Dopo di che diventa vero a tutti gli effetti. Cento anni fa il nemico, inventato a tavolino,  era la "Lobby Ebraica", oggi la "Lobby LGBT".   

Probabilmente, qualcuno di quei bambini sarà stato pure affidato a coppie omosessuali. E allora?   L’accostamento antiscientifico tra pedofilia e omosessualità  è l’arma prediletta del mondo reazionario, grazie agli stessi che credono che il  cancro si possa curare con il bicarbonato...  Ieri  questa gente credeva ai Protocolli dei Savi di Sion, oggi, per così dire,  ai Protocolli di  Dolce & Gabbana...
Purtroppo,  la campagna disinformativa, almeno per  ora, sembra  riuscita,  perché    la  “PedoBibbiano”   ha oscurato “Moscopoli”.
Sempre che l’articolo della Sarzanini,   non riesca a   risvegliare  i sani spiriti illuministi e liberali  del giornalismo italiano e frantumare in mille pezzi il muro di gomma del Politicamente Corretto di Destra.  
Cosa, al momento,  difficile.  Però,  mai dire mai.   


Carlo Gambescia                     

giovedì 25 luglio 2019

Geopolitica dell’Unione europea
Boris Johnson?
L'ultimo dei nostri problemi



Boris Johnson, di cui tutti conoscono il grossolano stile personale e politico,  promette  di uscire in autunno dall’Unione Europea,costi quel costi.  Ci riuscirà?  Difficile dire.   
In realtà, il punto un altro: il vero nodo europeo va oltre la permanenza di una  euroscettica Gran Bretagna addirittura dai tempi di Napoleone. L'autentica questione  che abbiamo davanti  rinvia più concretamente   alla resistenza dell’Asse franco-tedesco. Quanto durerà ancora?  

Se  in Francia vincessero i lepenisti e in Germania una coalizione molto spostata a destra, come accaduto  in Austria e  Italia  sarebbe una sventura:  la fine dell’Unione europea  e  di quella meraviglia storica  che si chiama moneta unica.  Per ora, tuttavia, l’Asse regge.  Per ora, nonostante  i rubli di Putin. Incrociamo le dita.
Chiunque conosca, anche da un punto di vista non  specialistico, i grandi schemi  geopolitici  e in particolare  il valore dei concetti di Heartland e Rimland, non può non preoccuparsi per quanto sta accadendo.  E di conseguenza, se ci si passa l'espressione, non può non fare tifo per l'Asse franco-tedesco, liquidato invece dagli  imbecilli della stampa di destra italiana come un trappolone...
I grandi teorici della geopolitica liberal-democratica,  da Mackinder a Spykman, da  Brzezinski e Huntington,  hanno tutti  evidenziato la pericolosità dell’unificazione dell’Heartland (il cuore eurasiatico) con il Rimland (le nazioni ai confini orientali europei, inclusa l'Europa occidentale)  sotto il tallone euroasiatico.

Sul punto  rinviamo al magnifico libro di Zbigniew Brzezinski, La grande scacchiera (Longanesi), dove si evidenzia  la pericolosità di una strategia del genere a guida  russa.  Si avrebbe  un  blocco dei commerci prodotto  dall’autosufficienza geopolitica ed economica eurasiatica con il  conseguente isolamento  degli Stati Uniti, circondati e limitati all’emisfero occidentale. Inutile ricordare, che si tratta della stesso progetto concepito da Hitler (  e  Stalin): due nemici della liberal-democrazia.  Ci ritroveremmo  con l' Europa , ridotta a villaggio vacanze, a gigantesco Club Med,  una  specie di   appendice turistica  euroasiatica.

Pertanto,  l’ascesa delle  destre razziste, nazionaliste e  antiliberali, che come in Italia celebrano addirittura l’idea eurasiatica, accogliendo  fanatici sostenitori del progetto  come Dugin,  ne rappresenta la pericolosa  e antidemocratica  testa di ponte politica.
Trump, le cui scelte e decisioni sono dettate da uno sciocco autismo nazionalistico,  non si rende conto di lavorare in modo beffardo a danno degli Stati Uniti: vuole l’America più grande, rischia di rimpiccolirla, isolandola dalla grandi correnti geopolitiche. Vuole il bene, ottiene il male.  Per  dirla brutalmente, Trump, geopoliticamente parlando,  ha un cervello di gallina.

I nostalgici del pre-1945 potrebbero invece  ironicamente osservare che  per l’Europa non cambierebbe nulla.  Un semplice  mutamento di “padrone”: dagli Stati Uniti alla Russia. Con la Cina sulla sfondo, ultimo lembo (si fa per dire)  di terra  eurasiatica.  

In realtà, al di là dell’importanza di sottolineare il comune  patrimonio di ideali,  storia e interessi economici al libero commercio di uomini e idee,  che pure unisce l’Occidente europeo a quello Americano,  l’ Europa,  una volta separata dagli Stati Uniti e una volta caduto l’Asse franco-tedesco, tornerebbe a dividersi in tanti piccoli e rissosi frammenti nazionali. In attesa, per tornare al punto,  dell' unificatore eurasiatico con il filo spinato.  Con il quale l’Europa  non ha  nulla in comune: né storia,  né ideali,  né interessi autarchici.

Dicevamo dell’importanza dell’Asse franco-tedesco: se una delle due potenze europee si avvicinasse troppo alla Russia, il gioco geopolitico di Mosca diverrebbe  più facile. Di qui  l’importanza, ad esempio,   di sostenere le sanzioni alla Russia,  di   appoggiare l’Ucraina e le  Repubbliche baltiche,  di non defilarsi dalla politica medio-orientale. E soprattutto di contrastare i sovranisimi europei. 
Brzezinski scorge  nell’Europa occidentale, realisticamente, una testa di ponte americana,  una spina nel fianco prima dell’Unione Sovietica, poi della Russia di Putin. Non solo questo però. Brzezinski, guardando più lontano vede nell'Europa un attore politico capace di  difendere  l’ordine liberale e democratico, nonché, in prospettiva di favorire l' allargamento dei confini a Est.  Se,  essere considerati una testa di ponte può apparire spiacevole,  svolgere invece  il ruolo  di  katéchon  liberal-democratico  non può non apparire una missione esaltante.    Come in fondo   fu contro Hitler. Una pagina eroica della storia europea. Si tratta di recuperare quello spirito. Certo,  cosa non facile.
Comunque sia, appare chiaro che  siamo davanti a una strategia complessa dove, per l’Europa,   Boris Johnson rappresenta l’ultimo dei problemi. 
Carlo Gambescia



                                 

mercoledì 24 luglio 2019

Il tour razzista  di Salvini a Bibbiano
A proposito di orchi…



Se  proprio vogliamo parlare di Orchi, chi fu più orco di Mussolini, così caro alla memoria delle destre?  Il  "Duce"  che mandò a morire  decine di migliaia di giovani (le classi del '19, del '20, del '21) in una guerra scatenata per dividersi con Hitler (altro orco) le spoglie d’’Europa?

Certo, non erano proprio bambini. Ma erano comunque giovanissimi. In  quanti  tornarono dalla Russia? Quanti riposano (si fa per dire) nelle acque del Mediterraneo. Fu un’autentica  strage degli innocenti.  
A questo pensavamo  a proposito della inchiesta “Angeli e Demoni”  (un ringraziamento particolare alla magistratura per la “neutralità affettiva” della denominazione…) sui presunti  “affidi pilotati”  a Bibbiano.  Un'inchiesta sulla quale,  senza alcuna vergogna, la destra dalla bava alla bocca  si è tuffata,  evocando  gli  orchi,  pur di attaccare la sinistra.
Già  abbiamo scritto in argomento  evidenziando come la questione (ammesso e non concesso che le accuse vengano provate)  non è altro che un effetto di ricaduta  delle  strutture autoritarie del welfare state (*).  Parliamo di effetti perversi: si vuole il bene, si ottiene il male. Come?  implementando, cosa che ogni sociologo serio conosce bene,  macrostrutture che finiscono per rispondere solo a se stesse, prevaricando i cittadini. 
Pertanto, chi come Salvini  reclama più stato e più controlli, insomma più macrostrutture,  non ha capito nulla.  Lo stato non è la soluzione, è il problema.
In realtà quel che è veramente  spregevole, diremmo addirittura ripugnante,   è  il comportamento dello stesso Salvini,  ieri in visita a Bibbiano per tre precise ragioni;   a) sfruttare politicamente la situazione; b)  aizzare le piazze;  c) spargere veleno razzista a piene mani.  Un vero proprio tour in stile KKK.  Mancavano solo gli incappucciati e le  croci di fuoco. Probabilmente è solo questione di tempo. Piccoli razzisti crescono. E a vista d'occhio.
Particolarmente grave  un passo del discorso di  Salvini. Un passaggio sul quale richiamiamo pubblicamente l’attenzione della magistratura, perché  riteniamo  violi  la Legge Mancino,  con l’aggravante che Salvini è addirittura  Ministro dell’Interno della Repubblica:  




 ”Ogni volta che vado a visitare un campo rom - dice Salvini - mi domando perché i tribunali dei Minori non vadano nei campi rom a portare via quei bimbi. I servizi sociali sono implacabili con i genitori italiani che hanno perso il lavoro e hanno qualche problema a pagare le bollette, mentre per chi educa i figli al furto fin da quando hanno un anno è tutto normale così”.   (**)



Una lettrice ieri su Fb  ha  commentato il  mio post, dove appunto evidenziavo l’enormità della dichiarazione salviniana, asserendo che “non è razzismo è una constatazione, e [che Salvini] non ha tutti i torti”…

Capito? Del resto, se le cose stanno così,  perché meravigliarsi per la   gente, non poca,   che  difende  Salvini?    Come riportano le agenzie:


Il passaggio del ministro dell'Interno Matteo Salvini nel paese al centro dell'inchiesta “Angeli e demoni” sui presunti affidi pilotati di bambini si è concluso con un bagno di folla. Terminato il discorso pubblico, il ministro dell'Interno è stato acclamato dai genitori dei bimbi vittime del sistema illecito di gestione degli affidi scoperchiato dall'operazione dalla procura e dai carabinieri.  ”Matteo, Matteo, vogliamo giustizia”, invocano le madri e i padri di Bibbiano oltre le transenne. Salvini si avvicina. Li ascolta ancora, stringe decine di mani. Finché un'anziana non si sporge e lo bacia sulla guancia. 


A cosa può portare questa euforia collettiva razzista? Alla normalizzazione o banalizzazione del male.   Anche  Hitler  nel Mein Kampf  “constatò” che gli ebrei occupavano le posizioni sociali più importanti...  E anche per molti tedeschi  il dittatore   non aveva "tutti i torti".  Hitler baciava i bambini tedeschi, tra folle acclamanti, però  con già  in testa ben ficcata  l’idea di gasare i bambini ebrei.  Cominciando però, dai bambini  rom.   
E potrebbe ripetersi...  Esageriamo?  Decidano i lettori  in piena libertà di coscienza. 
Carlo Gambescia




martedì 23 luglio 2019

Governo Pd-M5s
Perché no?



In sé  le cicliche  chiacchiere  sui complicati rapporti tra Lega e  Movimento Cinque stelle non sono molto interessanti. Però da una rottura, qualora si verificasse,  potrebbero aprirsi prospettive interessanti per portare fuori l’Italia dalla  palude  populista e  dalla melma  fascistoide del  "né destra né sinistra", tornato tristemente di moda.  E soprattutto per uscire  dall’isolamento internazionale, con sponda filo-russa,  in cui ci troviamo.    

Va subito notato che la comune impostazione politica populista, interna al governo giallo-verde,  trova  il suo punto di maggior contrasto nella questione immigrati.  
La posizione di Luigi Di Maio, per non parlare di figure molto seguite come  Di Battista e Fico, è più vicina alle tesi umanitarie di Zingaretti che alle posizioni razziste di Salvini.  Quindi la questione immigrati potrebbe rappresentare, in caso di crisi di governo,  il trait d’union  politico, di alto profilo per l'elettore medio di sinistra, per giungere a un’alleanza di fine legislatura tra Partito Democratico  e Movimento Cinque Stelle.  Va anche sottolineato che su tutto il resto (dalle autonomie  alla riforma fiscale e alle ricette economiche, più o meno interventiste) le rispettive posizioni non sono poi così lontane. Resterebbe invece  il nodo Ue.  Benché  il voto pentastellato in favore di Sassoli  adombri   un inizio di  evoluzione nella direzione di  un atteggiamento più soft  verso l’Europa.
Qualche conto.   In Parlamento,  la maggioranza necessaria è di 316. Il M5s enumera  216 eletti, il Pd 111. Insieme arriverebbe a quota 327. Maggioranza, se  non solida, potabile...
Al Senato  la maggioranza necessaria è di 161. Il M5s  ha 106 eletti, il Pd 52. Insieme giungerebbero a 158 voti. Ne mancherebbero tre. Voti che però si possono trovare...
Il vero ostacolo  alla nascita  di  un governo Pd-M5s, tra l'altro non sgradito al Presidente Mattarella, è rappresentato  dall’ atteggiamento dei renziani, che potrebbero far mancare i voti necessari, come si intuisce da alcune dichiarazioni.  Renzi invece di chiudersi in difesa, dovrebbe riflettere sul futuro dell'Italia. E sulla necessità di recuperare il M5s puntando sulla anima di sinistra del movimento pentastellato,  che può piacere o meno, ma che è necessaria  alla stabilizzazione del quadro politico. E dunque all'Italia. 

Renzi, metta da parte  l'idea di un micro-partito di centro-sinistra con pochi elettori, dimentichi gli  insulti pentastellati, spesso volgari e ingiustificati,  e punti sulla   possibilità ricompositiva del quadro politico italiano in una destra e in una sinistra normali, o quasi.  Ma anche sulla  possibilità di riunificazione politica del  Pd intorno a un programma riformista  ed europeista, all'inizio più spostato a sinistra,  ma che nel tempo si potrà  riequilibrare.
Il suo - di Renzi -   può diventare  un atto di realismo politico, che in futuro potrebbe favorirne la  “reconquista”  del Partito democratico.  E nell’immediato potrebbe rafforzare la sua capacità di condizionare Zingaretti, ma all’interno del partito  e nel quadro di un’alleanza Pd-M5s,  dove il Pd potrebbe svolgere il ruolo  del Pigmalione politico verso i modi rozzi e l’incultura economica pentastellate.  Una vera sfida, insomma.    
In politica -  è bene che Renzi lo ricordi -   come nel calcio, restare in panchina  è perfettamente inutile. Bisogna giocare, sempre.  E al meglio, anche quando le condizioni sono difficili. I campioni, se veramente tali, non si  fermano mai:   né davanti alla pioggia,  né davanti a un avversario  più forte.
Del resto è interesse comune del Pd come del M5s evitare, per ora, le elezioni,  perché  l’unico a guadagnare sarebbe Salvini. Che invece va logorato, prima al governo, come in qualche misura sta accadendo,  e poi all’opposizione, dove i suoi  toni estremisti, se sapientemente contrastati, anche con l’aiutino dei mass media e della società civile,  potrebbero far mancare  il consenso  dei moderati. Ovviamente, non va esclusa neppure la prospettiva  che  la radicalizzazione destra-sinistra  possa far aumentare i voti di Salvini.  
Si tratta in fondo di una scommessa politica.  Che però rimanda alla fondamentale ricomposizione del quadro politico tra destra e sinistra:  un bel  passo   avanti rispetto alla palude populista, razzista e fascistoide in cui siamo finiti.  Le  sabbie mobili nelle quali  l’Italia  sta sprofondando.
Zingaretti e Renzi,   Di Maio  e lo  stato maggiore di Cinque Stelle avranno la maturità di capire l’importanza della posta in gioco?  Che si chiama bene dell'Italia? 

Carlo Gambescia                       
         

                  

lunedì 22 luglio 2019

Bibbiano,  destra e sinistra pari sono
Come distruggere  il discorso pubblico (e incrementare lo statalismo)







La vicenda di Bibbiano  è  un ottimo esempio  per capire  fino a qual  punto sia  giunta la distruzione del discorso pubblico in Italia. Con discorso pubblico  vanno intesi   la  forma e i contenuti  del confronto politico: forma,  rispetto alla  civiltà liberale del linguaggio; contenuti,  dal punto di vista della necessaria  neutralità affettiva che si richiede ai contendenti.

Diciamo subito, che sul piano  mediatico  e politico, la destra ha usato un'inchiesta giudiziaria, per ora indiziaria, per screditare la sinistra e in particolare il Partito Democratico,  in risposta alle  accuse  lanciate  dalla sinistra sul caso degli ipotetici  rubli russi a Salvini, caso esploso più o meno negli stessi giorni.  "Moscopoli", per dirla con "Repubblica".
Per fare solo un esempio di degenerazione del discorso pubblico, sui Social italiani,  non secondi a nessuno nella distruzione  della civiltà liberale,  spopola  l’orribile   l’hashtag “PDofili”…
La stampa  di  destra  ha approfittato di un caso, che al massimo potrebbe rinviare a una storia di appalti truccati,  per attaccare in nome di una visione mitica della famiglia, nell’ordine: 1) la psicoterapia infantile progressista; la teoria del gender, le adozioni gay.  Senza però  interrogarsi   su quel  veleno ideologico del costruttivismo,  sparso da una cultura statalista che accomuna destra e sinistra.  Ci spieghiamo meglio.
La destra critica l’intromissione  nella  famiglia delle strutture di assistenza sociale, non  in quanto  tale,   ma solo perché  viziata da idee progressiste.  La sinistra a sua volta, usa le strutture pubbliche, per implementare  un progetto sociale, non in linea con l’ideologia tradizionalista della destra.
In realtà,  il vero punto della questione  non è rappresentato da un presunto conflitto ideologico, pur degradato e degradante,  ma dalla comune visione -  comune a destra e sinistra -    circa la  bontà presuntiva di una legiferazione a trecentosessanta gradi  e  delle conseguenti implementazioni pubbliche o miste pubblico-privato affidate a specialisti del welfare. E  non importa se di destra o sinistra, perché comunque sia, per come vanno le cose italiane, sono  forze  portatrici di una comune visione,   autoritaria e assistenzialistica.                

In realtà, il vero nemico è il costruttivismo legislativo e amministrativo. Semplificando, lo statalismo.  
Cosa vogliamo dire?  Che lo stato, oltre a legiferare il meno possibile,  dovrebbe restare sempre neutrale, lasciando alla società, dunque ai singoli individui,  di organizzarsi,  secondo i  propri criteri.   Esistono al riguardo, notai, commercialisti, avvocati, psicologi privati,  giurì d’onore. Insomma,  ciò che si chiama società civile.  
Ad esempio, un fenomeno come le adozioni può essere gestito dai singoli sulla base di atti privati. Servono denari? Troppi denari?  Avere figli non è un diritto sociale. Chi può, se li permette. Chi non può, passa la mano. Addirittura il desiderio di paternità o maternità potrebbe  diventare un  fattore di mobilità e promozione sociale. Come dire?  Ho lavorato tanto e ora posso permettermi dei figli.  Giusta ricompensa.      
Quanto alla famiglia può benissimo  restare giudice di se stessa fino a quando non violi il codice penale.   Pertanto controlli ex post, in flagranza di reato,  non ex ante a opera di esperti, commissioni, eccetera, in base a presuntive  pedagogie  tradizionaliste o progressiste.    
Naturalmente le anime belle di destra e sinistra, si interrogheranno scandalizzate sulla tutela dei più “deboli”. Sui quali, se ci si perdona la caduta di stile, campano. 
Purtroppo, si tratta, come per tutte le questioni di fondo, politicamente di fondo, nel caso quella della scelta tra un sistema liberale e un sistema assistenzialista (di destra come di sinistra), di mettere  in conto il sacrificio di alcuni in nome altri. Così è,  la vita non fa sconti.  Del resto ogni società ha  punti deboli.  I costi  dell’assistenzialismo, sotto il profilo  della libertà individuale, sono più alti di quelli del liberalismo. Quindi si tratta di una scelta obbligata per tutti coloro che amano la libertà.   E che, a maggior ragione,  non vogliono finire nelle mani degli specialisti del welfare.

Purtroppo,  la libertà ha un prezzo, in termini di rischi e responsabilità,  che per dirla tutta gli italiani non hanno mai voluto  pagare.  In Italia, si vuole il massimo dell’assistenza con il massimo della libertà.  Il che non è possibile.  E chi dovrebbe spiegarlo agli italiani?  Proprio quelle forze di  destra e sinistra, che invece fanno orecchie da mercante,  vendendo illusioni a colpi di menzogne e insulti reciproci. Distruggendo così  quel poco di tessuto civile e politico liberale, germogliato, come per miracolo,  negli ultimi settant’anni.
Che tristezza.         

Carlo Gambescia                                                         

               

domenica 21 luglio 2019

Paolo  Borsellino, Emanuela Orlandi, Francesco Borrelli
Il lato oscuro  del potere immaginativo



Tra le   grandezze  e miserie  dell’uomo  c’è   il potere dell’immaginazione, o immaginativo.  Si potrebbe ricostruire la storia dell’umanità usando come filtro  la  potenza delle idee quale forza trasformatrice della realtà,  nel bene e nel male.  Ciò significa che esiste un lato oscuro del potere immaginativo.  Come del resto  uno positivo. Si pensi alla forza dell'immaginazione  alla base di importanti invenzioni e  scoperte, scientifiche e artistiche.
Tuttavia, il potere dell’immaginazione, come  continua ricostruzione della realtà  rende l’uomo imprevedibile, e di conseguenza pericoloso proprio a causa della sua imprevedibilità. Un fenomeno amplificato dagli effetti di ricaduta, altrettanto imprevedibili, delle azioni sociali, individuali e collettive.   Effetti, sui quali va a sovrapporsi, l’ulteriore, e imprevedibile effetto, di un potere immaginativo, che  prova a interpretare, gli effetti di ricaduta, attivando  una  vera e propria spirale immaginativa.
Dicevamo della pericolosità. Come prevedere, al di là della ripetitività di alcune costanti o forme metapolitiche, i contenuti dell’immaginazione e la spirale degli effetti di ricaduta? 
Si pensi  al trattamento immaginativo di  vicende,  proprio oggi riportate e discusse sui mass media: dal chimerico immaginario mafio-politico sorto intorno al sacrificio di Borsellino (e Falcone),   alla incredibile mitopoiesi, con ultimi accenti gotici, sviluppatasi intorno al caso Orlandi,  fino all'epico Trono di Spade  Tangentopoli e post-Tangentopoli.   Queste vicende, dicevamo,   non sono che una prova del potere dell’immaginazione e dei suoi imprevedibili effetti di ricaduta. 
Ragioniamo.  La vicenda Borsellino, presentatasi come  un’occasione per fare giustizia, si è trasformata in un  regolamento di conti, a colpi di fantastiche derivazioni (per dirla con Pareto) tra e dentro le varie istituzioni. La vicenda Orlandi, nata dalla umanissima richiesta della famiglia di fare luce sulla scomparsa di Emanuela,  si è tramutata nel  tempesta-complotto perfetta in chiave anticlericale e anticapitalista. Tangentopoli,  inchiesta giudiziaria  nata per fare pulizia in politica, si è metamorfizzata negli urlanti processi  permanenti,  mediatici e di piazza,  a tutto e tutti.


Sicché, la società liberale  ha prodotto il suo contrario. Cosa vogliamo dire?  Che il potere dell’ immaginazione, coadiuvato nel tempo dal potente veicolo dei Social, ha  dato vita - cosa che nessuno poteva prevedere  -  al fenomeno populista, nei suoi diversi aspetti antipolitici, giustizialisti, antiliberali.
E come? Attraverso il cattivo uso del potere dell’immaginazione. Un fenomeno sociale che si estrinsecato mediante la creazione di figure leggendarie: il Carabiniere Mafioso, il Prete Affarista, il Deputato Corrotto.  Attenzione, il punto della questione  non è rappresentato dall’esistenza o meno di singole persone concrete, mafiose, affariste, corrotte, ma dalla categorizzazione  mitica di una figura idealtipica che finisce per riassumere  in sé, a furor di popolo,   la natura del capro espiatorio.
Di conseguenza, oggi,   secondo l’immaginario collettivo,  tutti i  carabinieri  sono inevitabilmente mafiosi, tutti  i preti affaristi, tutti i politici corrotti. Tuttavia, la logica sociale insegna, che  se tutti sono retrocessi a  mafiosi, affaristi e corrotti,  si cade nel  vago,  nell'indistinto, in ciò che è  né  vero né falso. Insomma, nell'indeterminato.
Qui, a Roma,  se ci passa la caduta di stile, si dice "buttarla in caciara".  Il che però significa che, nella terra di nessuno del populismo, autentico regno del post hoc ergo propter hoc (dell'ultima uscita mediatica che diventa causa delle successive), si può impunemente continuare ad accusare e delegittimare chiunque porti un uniforme, una tonaca, eccetera, eccetera, producendo anomia sociale e politica in quantità industriale.
Si poteva evitare tutto ciò? Difficile dire.  Il punto non è rappresentato dal tasso reale  di corruzione,  ma dal tasso di  corruzione percepito  attraverso il potere immaginativo.  Di qui, l’imprevedibilità degli esiti di qualsiasi azione sociale, individuale come collettiva, anche se  - semplificando -   a fin di bene.

L’unico ostacolo al potere immaginativo  potrebbe essere  quello di ridurne il ruolo  in politica puntando su un approccio razionale, che però  ha i suoi rischi, perché rinvia ai pericoli del costruttivismo sociale. Ossia a  un eccesso di razionalità sociale e politica che rischia di  conculcare, in nome di una razionalità superiore, la libertà individuale.  
Naturalmente, non esiste cosa peggiore, come accaduto in Italia (e purtroppo altrove), di una classe politica  capace di rinunciare  totalmente alla politica razionale, per inseguire o addirittura favorire miti e leggende politiche. Il pensiero immaginativo, nella sua forma mitica, è quanto di più pericoloso sia dato in politica.
E ne stiamo pagando le conseguenze.

Carlo Gambescia