sabato 31 agosto 2019

Il declino della Terza Repubblica
L’odontotecnico, lo stewart e  il  disk jockey

Da chi era composta la classe politica della Prima Repubblica?   Da professori universitari come Moro e Fanfani, eccellenti  scrittori di cose storiche come Andreotti, colti intellettuali capaci di leggere Goethe in tedesco come Saragat,  brillanti cultori di economia pluridiplomati come La Malfa, dotti professori di Diritto Romano come De Martino.  E così via.
Per carità i titoli accademici  non fanno gli uomini. Tuttavia,  se pensiamo alla classe politica della Prima Repubblica e  per contrasto a  Di Maio, Zingaretti e Salvini,  tra i leader più in vista della Terza,  cadono subito le braccia.
Il primo, fermatosi alle superiori,  ha lavorato come stewart allo Stadio San Paolo, il secondo si è diplomato odontotecnico, il terzo, dopo il  liceo e vari lavoretti si è  impiegato come  disk jockey, politico o meno, a  Radio Padania (*).
Tutti e tre hanno tentato  l’università, Legge (Di Maio), Lettere (Zingaretti), Scienze politiche (Salvini) con scarsi  risultati. Sicché la politica si è trasformata in  perfetta  ancora di salvezza. Anche di successo.    
Diciamo che Di Maio, Zingaretti e Salvini hanno dato prova di essere tre buoni scalatori politici. Ma l’astuzia senza un curriculum serve a poco. Non basta per governare una società complessa. Di conseguenza, o si fa tutto da soli, cosa impossibile perfino al Re Sole, oppure ci si deve affidare agli altri.
Gli altri però vanno scelti. E per farlo, e bene,  occorre essere capaci di scegliere. La scelta dipende dalla capacità di relativizzare se stessi e gli altri.  E dove si acquisisce  - di base - questa capacità di scelta?  All’università, scoprendo con lo studio delle varie materie la complessità  delle questioni, nonché  la conseguente  diversità delle posizioni scientifiche o meno su ogni problema.  Può sembrare un'inezia ma la   bibliografia su o di  che  rinvia alla  stesura della tesi di laurea è il punto di arrivo di un processo di acculturazione che fa rima con relativizzazione.
Ovviamente, non è automatico che ogni laureato si trasformi in politico perfetto. E del resto le università dal  Sessantotto a oggi hanno perduto molto terreno.   Insomma,  il titolo,  in sé,  è un punto di partenza, ma a meno che uno non sia  il classico genio,  e non sembra che Di Maio, Zingaretti e Salvini  lo siano, il completamento degli studi universitari ha una sua importante funzione metodologica.
Ripetiamo,  la cultura universitaria è principalmente conseguimento della capacità, prima metodologica poi personale,  di relativizzare libri, persone, cose.  Con gli studi universitari  si pongono  le basi, per imparare a  conoscere in futuro i propri limiti e quelli degli altri. E non è poco perché il relativismo è scuola di tolleranza.  E conduce alla retorica della transigenza, cioè al rispetto per l’avversario, fin dall’uso del lessico.
Purtroppo, visto quel che sta accadendo, sembra che Di Maio, Zingaretti e Salvini di limiti propri e altrui nulla sappiano.
Certo, si potrebbe dire a proposito della Prima Repubblica: "Sì, sì, erano tutti laureati e professori, però poi con  Tangentopoli si è scoperto,  eccetera, eccetera".  Rispondiamo, con Croce, che tra l'altro non era laureato, ponendo la sua stessa domanda, più o meno questa:  è meglio farsi operare da un chirurgo  laureato, bravo e con le mani lunghe o da un chirurgo onesto ma improvvisato?      
Carlo Gambescia  


(*)  Fonte: Wikipedia.

venerdì 30 agosto 2019

Dove ha sbagliato Salvini?




In un articolo di fondo del “Messaggero” dell’11 luglio,  Alessandro Campi  invitava  Salvini,  visti  i risultati delle Europee e i successivi  sondaggi,  “a passare il guado elettorale” . Inutile cincischiare, si scriveva,  perché come noto, l’elettorato è volatile, il successo pure, eccetera, eccetera (*).
Ora, non è  che  i politici italiani, che già di per sé non pendono dalle labbra di nessuno (e figurarsi  un narciso come Salvini),  prendano per  oro colato le analisi dei  politologi. Tutt’altro.
L’episodio invece è significativo, perché  ha il valore della spia rossa che si accende.  Ci spieghiamo subito.

Se il “Messaggero”, proprietà Caltagirone,  giornale notoriamente filogovernativo,  approva nella persona del direttore Cusenza  un editoriale, per così dire, da estremista di centro,  scritto tra l’altro dall’ex consigliere di Gianfranco Fini, significa che si vuole esercitare su  Salvini, un pressione  fortissima in favore delle elezioni. E da parte  di chi?   Di un  imprenditore stanco del giustizialismo incapacitante dei pentastellati.
Ma c'è dell'altro. Qual è il ragionamento, in fondo classico,  del mondo economico nel suo insieme? Semplicissimo: meglio le elezioni e poi  un governo di centrodestra o chissà di centrosinistra, governi  con i  quali si può ragionare di economia, che un ibrido governo populista in condominio con una ciurma di  pericolosi  ragazzini pentastellati che vanno in giro  con il  codice penale e tributario  in tasca. 
Si  noti  al riguardo  l’atteggiamento, più o meno simile,   del “Corriere della Sera” (Cairo). Più sfumate, ma non del tutto contrarie alle elezioni, le posizioni di   “Stampa” e “Repubblica” (Gruppo GEDI),  comunque assai critiche, come “Sole24Ore” (Confindustria),  nei riguardi del governo giallo-verde.             
A queste pressioni esterne, a livello di opinione pubblica che conta, perché economica,  vanno sommate le pressioni interne alla politica,  non tanto  della Lega, controllata in modo ferreo da Salvini, quanto quelle in primis  del Partito democratico  targato Zingaretti, giudicato in ripresa e desideroso di liberarsi dell’ipoteca parlamentare dei renziani. E, in secundis, ma molto in secundis di Fratelli d’Italia, pronti a dipingersi come futuri e  fedeli alleati di governo, con Berlusconi fuori dai giochi.
I retroscenisti hanno parlato addirittura di contatti determinanti tra Salvini e Zingaretti e della promessa del nuovo segretario di schierarsi per il voto anticipato,  aiutando il leader leghista a convincere  Mattarella,  non insensibile ai desiderata della sinistra.   
Sappiamo poi come è andata: Renzi si è messo in mezzo, eccetera, eccetera. E perciò ora,  gli stessi giornali che  spingevano perché Salvini staccasse la spina,  guardano  verso il nascente governo giallo-rosso. I dubbi ci sono, però... E l'accenno  di Conte nel suo discorso  al fatto che tutti devono pagare le tasse non ha aiutato a dissiparli. Come del resto la   sciabolata del Presidente incaricato sul primato della redistribuzione, senza precise indicazioni, se non quella chimerica di un "nuovo umanesimo", su come accrescere la produzione di ciò che si vuole redistribuire.    

Dove ha sbagliato Salvini?  Nel credere, non tanto nella parola di Zingaretti, quanto nel ritenere che il mondo economico abituato o meno a fare affari con lo stato fosse dalla sua parte. Sicché, Salvini ha pensato, sbagliando, di essere in una specie di botte di ferro, coperto a destra e sinistra.
Ragionamento totalmente sbagliato,  perché il  “Capitano”  non era e non è  il leader moderato di una destra normale, una specie di Democrazia cristiana, magari solo più a destra,  della quale il mondo economico si può fidare.
Come poteva credere Salvini che dopo un anno vissuto pericolosamente cercando di imitare il duce, il mondo economico, che di regola diffida degli estremismi, lo avrebbe appoggiato, anche contro il Partito democratico?  E così è stato, appena Zingaretti ha cambiato idea sulle elezioni.   
Perché puntare su Salvini -  ecco il ragionamento del mondo  economico davanti alla svolta -   quando il Pd, come severa  governante  dei ragazzini pentastellati,  può essere   più affidabile di Salvini?  In attesa, ovviamente di tempo migliori… E con tutti i dubbi del caso.
Pertanto la questione del fallimento di Salvini  è strutturale: non si può governare contro, piaccia o meno, equilibri economici consolidati  da decenni. E male ha fatto Salvini  a  ignorare la cosa.  Anche per limiti personali e culturali. Ma questa è un'altra storia. 
Il che non significa che la politica semiperonista dei pentastellati sia quella giusta. Assolutamente no.  Il problema Salvini (come del resto quello Di Maio, solo per fare un nome) rimanda all’incapacità complessiva del populismo -  di destra  o sinistra, figurarsi se insieme al potere -   di governare. Il dilemma è il seguente: se il populismo vuole mantenere le promesse, distrugge l’economia, se non le mantiene perde i voti dei suoi elettori e quindi è costretto a  ritornare sui propri passi.  Nei due casi, sia come sia, entra inevitabilmente in rotta di collisione con  il mondo economico. 
Ora, toccherà al Partito democratico mettere in castigo i discoli pentastellati.  Anche se, Salvini, a dire il vero, neppure ha tentato. Auguri.
Adesso che è all’opposizione  come si comporterà il "Capitano"? Difficile dire.  Dipende da ciò che riuscirà a  imparare  dalla crisi che ha scatenato e che si è ritorta contro di lui. Se  si riterrà vittima di un complotto, secondo il peggiore schema populista,  si comporterà peggio di prima, azzerando  qualsiasi possibilità di costruire una destra normale. Se invece capirà, che  il tentativo di imitare Benito Mussolini porta solo guai, forse, e sottolineiamo forse, soltanto  allora le speranze di costruire una destra normale si materializzeranno.      

Carlo Gambescia

(*)  https://www.ilmessaggero.it/editoriali/alessandro_campi/salvini_elezioni-4610909.html                                            


giovedì 29 agosto 2019

Conte alle nove e trenta al Quirinale per l’incarico
Non dire gatto se non 
ce l’ hai nel sacco



Come ricorda  il grande Trap(attoni) non dire gatto se non ce l’hai nel sacco.  Giuseppe Conte, ormai star di prima grandezza o quasi (secondo i soliti retroscenisti),  alle nove e trenta di oggi riceverà l’incarico per formare un governo che andrà da Cinque Stelle a LeU e Autonomie, passando ovviamente per il Partito Democratico.  
Ce la farà? Probabilmente sì, ma come dice il Trap, eccetera, eccetera.
Intanto, proviamo a mettere alcuni punti fermi.
Primo. Salvini, per ora è  finito nell’angolo. Ma non si è assolutamente trasformato nel cretino politico (di cui dicono i soliti retroscenisti). Salvini ha commesso un grave errore, quello di scatenare una crisi politica che gli si è ritorta contro, ma  resta  pericoloso, perché con la piazza se la cava molto meglio e di conseguenza  all’opposizione farà faville.   Del resto Mussolini, altro leader agitatore,  nel 1919, alla prima uscita elettorale prese  poche  migliaia di voti.  Dopo di che, pure lui fece faville.
Secondo. I principali problemi che il  nuovo governo giallo-rosso dovrà  affrontare sono nell’ordine: 1) il rilancio delle politiche di mercato; 2) la cancellazione delle brutali linee guida di Salvini nei riguardi degli immigrati;  3) il miglioramento dei rapporti con l’Europa.  
Il nuovo governo sarà  all’altezza? Probabilmente sugli immigrati e sull’Europa l’obiettivo è più semplice. Invece sull’economia  Pd e M5S  sembrano essere privi dei fondamentali. Inoltre il pericolo principale resta quello di un concorrenza al rialzo.  Insomma, a chi si mostri più interventista in economia  tra i  due  azionisti di maggioranza. Il che significa tasse, tasse, tasse…  
Terzo. Non confideremmo troppo sulle sole capacità manovriere di Conte.  Un Presidente del Consiglio che sarà pure come scrivono i soliti  retroscenisti  il nuovo Andreotti, ma che a differenza del “Divo Giulio” non ha rilevanti  truppe correntizie né dossier negli armadi.  Notiamo invece che negli ultimi giorni, Conte, da dichiarazioni e pose,  mostra di  credere  nel  fenomeno della reincarnazione politica.   Al suo posto non ci  illuderemmo troppo.  Salvini, nonostante tutto,  in meno di una settimana è passato dalle stelle alle stalle.  In politica serve la massa d'urto. Figurarsi perciò che  può accadere quando  manca.  Si pensi al destino di Prodi, altro profeta disarmato (per non parlare di Monti).  E Conte, oltre al sarto napoletano, che gli cuce i completi  che piacciono tanto a Trump,   non ne ha.  Almeno per il momento.
Certo l’Italia (per ora) si è liberata di Salvini, tuttavia,   ammesso pure  che Conte riesca a mettere il gatto PD  nel sacco,  la strada che il Paese  ha davanti a sé è lunga e tortuosa. 


Carlo Gambescia             

mercoledì 28 agosto 2019

Luoghi comuni contro la democrazia rappresentativa
La metafisica delle poltrone


La destra oggi si sbizzarrisce. Si dia  un'occhiata  ai titoli  per capire come sia tuttora difficile interiorizzare che la democrazia rappresentativa è tale perché fondata  sul compromesso e sugli interessi. Insomma  sulle famose poltrone.

L’antiparlamentarismo nacque con il moderno parlamentarismo. Già ai tempi della rivoluzione francese si criticavano i deputati dell’Assemblea Nazionale perché, si diceva,  "attaccati alle  poltrone".  E a criticarli  erano  i simpatizzanti della controrivoluzione e della rivoluzione sociale.  Nulla di nuovo sotto il sole. Per così dire, luoghi comuni che hanno più o meno due secoli di vita.  
Quel che invece è grave è che non si  sia capito, nonostante la sanguinosa lezione del Novecento quando gli antiparlamentaristi presero il potere in Europa, che la democrazia parlamentare è la sostituzione dell'antidemocrazia del fucile con democrazia degli interessi. In altre parole, la conservazione dell'avversario prende il posto  dell' eliminazione fisica nemico.
Ecco che cos’è il  parlamento:  una specie di camera di decantazione e superamento dei conflitti armati.  E’ perciò  ovvio, dal momento che le risorse politiche, soprattutto di coalizione,  sono  i “ministeri”, che nasca intorno ad essi, un conflitto,  sempre preferibile allo scontro armato, eccetera, eccetera.  
Per quale motivo  si critica così ferocemente la democrazia parlamentare?  Antropologico.   Perché agli uomini piace mostrarsi altruisti  e  nascondere gli interessi dietro i valori.
Sicché le persone comuni, si pensi ai titoli di oggi,  sono bombardate con critiche gradite  a livello medio,  ma  ad alto potenziale etico-esplosivo.  Perché  tese a distruggere, volenti o nolenti,   in nome dell' etica dei principi, un   sistema, quello della democrazia rappresentativa,  che invece si regge, proprio per istituto, sull’etica della responsabilità.
Ci spieghiamo meglio. La contrapposizione tra  fini (etica dei principi: la purezza democratica) e mezzi (etica della responsabilità: le cosiddette poltrone)  serve soltanto a  diffondere  il disgusto  per tutto ciò che sia  frutto di compromessi. Insomma, i titoloni di oggi  vanno a recidere  le radici stesse della democrazia rappresentativa.
Come uscirne? Non esistono ricette miracolose. Serve senso della realtà. Politici e giornalisti (la Rete ormai è fuori controllo) dovrebbero  evitare, proprio per il bene comune della democrazia rappresentativa, di fomentare inutili campagne d’odio in nome di una  metafisica della democrazia da opporre alla metafisica delle poltrone.

Si tratta di una pseudo-dialettica molto pericolosa, che, come detto,  viene da lontano, almeno dal 1789,  e che favorisce oggettivamente  le forze storicamente nemiche della democrazia parlamentare. Un processo in qualche misura  autodistruttivo, di cui la gente comune neppure si rende conto. Del resto per il cittadino medio  parlare di valori quando non si hanno competenze specifiche né buona cultura generale  è la cosa facile di questo mondo, soprattutto se non si hanno incarichi di responsabilità.  Salire sul pulpito e atteggiarsi a grandi predicatori non costa nulla. Anzi ci si sente importanti.  Il tutto, ripetiamo, a costo zero:  senza studi, impegno,  sacrifici, eccetera.  
Si rifletta su un punto: la metafora  più usata  nella vita quotidiana della società dello smartphone è quella arcaica dello stato e della politica da  gestire con i criteri del buon padre. Per scoprirlo basta fare  un giretto sulla Rete.  Proprio gli stessi  criteri condannati da Locke nel capolavoro del pensiero liberale moderno: i Due Trattati sul Governo, dove al paternalismo si oppone il contratto. Gli interessi, se si vuole.  
La denigrazione  della democrazia rappresentativa  crea  insofferenza  e   moltiplica  la disaffezione. E dal disgusto, come già avvenuto, può nascere la dittatura.  Certo, paterna, molto paterna.

Carlo Gambescia                

martedì 27 agosto 2019

Governo giallo-rosso, fumata nera?
Attenti al castigamatti

Non tediamo i lettori con i dati economici che come noto sono negativi. L’Italia ristagna. E il governo giallo-verde, ora caduto,  non ha combinato nulla, anzi ha peggiorato le cose. Purtroppo, a differenza della Spagna, che a suo tempo  fece le riforme  (a cominciare dal mercato del lavoro), che quindi marcia da sola anche senza governo o quasi, l’Italia, legata a un’ economia dell’accattonaggio  imprenditoriale   e dell’individualismo assistito, ha invece necessità di un governo. Di un decisore, piaccia o meno  - a chi scrive non piace -  ma è così.
E invece che sta succedendo? Che si danza sul vulcano  acceso.  Ignorando il fatto che in Italia  a colpi di  veti incrociati e  fake news politiche la libertà  rischia di  morire.  Un’ altra volta.
Qualche esempio di danze sfrenate   tra lapilli e lava?  Subito.  
Qualcuno spieghi a Zingarelli, che un Conte bis è il male minore, rispetto a un Salvini bis.  Ragionamento di cui dovrebbe far  tesoro anche Di Maio.  Qualcun altro ricordi a Salvini, che la crisi l’ha provocata lui, altro che ribaltone come invece grida ai quattro venti. Fermo restando che in una Repubblica parlamentare, se esiste una maggioranza si va avanti con quella.  Di regola, si vota ogni cinque anni.  E qualcun altro ancora dica alla Meloni di finirla con le pose fasciste, tipo marcia su Roma.  Prima regola della democrazia parlamentare  è quella di rispettare le regole: vedi sopra.  Perché  rivolgersi alla piazza come un capetto in orbace?  
Quello che Berlusconi chiamava “teatrino”,  rischia di  sfociare  in  “tragedia”, perché sembra che tutti gli attori politici, o quasi tutti,   facciano del loro peggio per far crescere quel disgusto tra la gente, che, prima poi, porta alla dittatura.  
Al famigerato castigamatti. 

Carlo Gambescia
 

                      

lunedì 26 agosto 2019

Crisi di governo, le lezioni della storia che nessuno ricorda
Riecco i veti



Bonomi nel febbraio del 1922, in un’Italia dove impazzava lo squadrismo fascista, si dimise senza voto di sfiducia del Parlamento. Nel corso delle successive   trattative  si aprì una finestrella  per la nascita di un governo Giolitti con l’appoggio di liberali,  popolari e forse dei socialisti riformisti  (che nel mese di ottobre i socialisti in pieno clima pseudo-rivoluzionario avrebbero espulso dal partito).
Se il tentativo fosse riuscito, sarebbe nato un governo inviso a Mussolini. Che accadde invece? Sturzo, nascondendosi dietro una votazione del gruppo parlamentare popolare,  pose il  veto. Ne nacque il Governo Facta,  spostato più a destra, non sgradito ai fascisti.
In luglio, dopo altri  gravissimi  atti di violenza, si profilò la possibilità, di un ministero antifascista Sturzo-Turati-Treves, presieduto da Bonomi,  sostituito in gennaio da Facta.  Giolitti si oppose. Sturzo pure, Turati nicchiò.  Non se ne fece nulla.  Di lì a qualche mese l’Italia si consegnò a Mussolini. 
Non siamo impazziti,  abbiamo rievocato una triste vicenda politica, distinta da veti incrociati, frutto velenoso della cecità di partito, per un semplicissima ragione:   perché nell’Italia del 2019  i veti  di Luigi  Di Maio e Nicola Zingaretti rischiano di consegnare il Paese  a Salvini.  Che non è Mussolini, ma resta comunque pericoloso. Altro che "due forni" democristiani. 
Perché continuare a farsi del male?  Perché ignorare le lezioni della storia? 

Carlo Gambescia

(*) Nella foto, da sinistra a destra: Giolitti, Facta, Turati, Sturzo.


venerdì 23 agosto 2019

Brucia la foresta amazzonica e la sinistra riscopre Marx
“Ecologisti di tutto il mondo unitevi!”

Questa mattina la rassegna stampa internazionale di Rai Radio 3, notoriamente di sinistra,  allarmatissima, ha aperto sugli incendi in Amazzonia. Parlando bene, per una volta perfino di Macron, che sarebbe  molto preoccupato, eccetera, eccetera. 
Non abbiamo le competenze per  giudicare se sia vera o meno la storia della foresta amazzonica come “polmone” della Terra da preservare a ogni costo. Tra gli scienziati non c’è accordo. Quindi sospendiamo il giudizio. 
Però come sociologi non possiamo non stupirci  di un fenomeno più generale. Quale?   Quello, da parte degli ambientalisti di tutto il mondo, della caccia alle streghe capitaliste che sfrutterebbero il pianeta, eccetera, eccetera. E che - of course - sarebbero perfino dietro gli incendi amazzonici, incoraggiati da quel "fascista" di Bolsonaro e dalle  perfide "multinazionali".  Questa è la tesi della sinistra.
In realtà, come   si legge,  le fiamme   sono  provocate   dai   nuovi pionieri  per guadagnare terreno all’agricoltura. Parliamo di  contadini  assetati di terra e  libertà.  Che c’è di male? L’Occidente è diventato ricco così: l’ agricoltura, accumulando capitali innescò il circolo virtuoso dello sviluppo.  Lo stesso Marx, pur da altro punto vista, notoriamente molto negativo verso il capitalismo, confermò.
Anche per quest’ ultima  ragione crediamo  invece  - per dirla fuori dai denti -  che l’ecologismo (o l’ambientalismo) sia il proseguimento del comunismo altri mezzi.  E la cosa più pericolosa è rappresentata dal fatto che sul piano della propaganda e delle opinioni l'ecologismo rosso  non solo ha contagiato la destra anticapitalista  ma  ha  guadagnato i cuori della cosiddetta sinistra riformista, di cui Macron è importante esponente.  Ma che dire di Zingaretti, che proprio ieri  tra i punti  imprescindibili  per una alleanza con i pentastellati  ha inserito la questione ambientale? E in che modo? Usando il  linguaggio archeologico e ambiguo  del “nuovo modello sviluppo”...  Anche Renzi, “il moderato”  è  più o meno sulle stesse posizioni...
In questi ultimi anni  il fenomeno della criminalizzazione degli eco-scettici   ha assunto la forza propria della rappresentazione sociale. E può disporre, sul piano delle truppe ideologiche delle seguenti forze:  il catastrofismo dei mass media; la socializzazione scolastica al "catechismo" ecologista; l’armamentario ideologico  dell’antica sinistra rivoluzionaria. 
Sulle munizioni intellettuali marxiste bastino solo tre  esempi:  gli immigrati sono definiti “profughi ambientali” (insomma, nuovi proletari vittime del capitalismo);  gli eco-scettisti sono liquidati come  “negazionisti” (come se tra il presunto olocausto ecologico  e l’Olocausto vero non ci fosse alcuna differenza);  l’acqua  trasformata in   “bene comune”( da difendere dai ladri capitalisti di plusvalore  ).
Il fenomeno è  pericolosissimo  perché  l’ ecologismo rosso, dopo essersi mangiato quello verde,   non porta  altro  che: 1) l’aumento del costo del lavoro, fenomeno che uccide la competizione economica tra l’Occidente e l’Oriente; 2) l’introduzione di  divieti e regolamentazioni che frenano produzione, scambio e  consumo;  4) l’imposizione di   nuove tasse, spesso ad hoc, che impoveriscono i cittadini; 4) lo sviluppo di  processi di centralizzazione politica che minano la libertà.   
Il nostro, a differenza di quello della sinistra,  non è allarmismo.  Si pensi al  fenomeno Greta:  una quattordicenne  che in pratica difende la decrescita felice, accolta trionfalmente in Europa quale portatrice di un nuova verità al grido di  ecologisti di tutto il mondo unitevi.  Slogan politico che a sua volta, per chi nutra ancora qualche dubbio,  ricorda tanto, anzi troppo,  quello marxista.   
Carlo Gambescia 
                                       

giovedì 22 agosto 2019

Destra all’attacco
Prove tecniche di distruzione della liberal-democrazia




La stampa di destra e  i politici di destra continuano a commettere errori su errori con lettori ed elettorato. Si comportano come cattivi maestri.  Dipingendo un possibile governo  M5s-Pd come fuorilegge.  Attaccano lancia in resta.  Non hanno proprio capito nulla.
Dicevamo errori.  Di che genere? Di genere unico: populista. Qualche esempio.

In primo luogo,  lo si delegittima  dipingendolo come  “governo dell’inciucio” e  del “ribaltone”. In realtà,  la crisi  è targata  Salvini: farsi  un esamino di coscienza no? Inoltre,  qualsiasi  governo  che scaturisca dal dettato costituzionale  e in  possesso dei  numeri giusti è legittimo, e questo è  il caso di un possibile governo M5S-Pd.  Perché  giocare sporco con gli avversari, squalificando agli occhi degli elettori le regole della democrazia rappresentativa?
In secondo luogo,  lo si  dipinge  come un governo “sottomesso all’Europa e agli immigrati”. Così  si crea, artatamente,  un problema che non esiste. Perché  si tratta   di questioni  - soprattutto  l’aiuto umanitario -   sulle quali si dovrebbe essere d’accordo tutti, in nome di un superiore principio di solidarietà che unisce e  umanizza tutti.

Inoltre,  l’Europa, dopo due  tragiche guerre  nazionaliste, rappresenta ormai il nostro unico destino di pace.  Perché, anche qui, giocare sporco, diffondendo tra gli elettori idee  fasciste? Graditissime, quando si dice il caso, ai populisti?
In terzo luogo,  viene presentato come il governo delle tasse.   Il che coglie nel segno.  Però anche qui, si gioca di furbizia, perché  Salvini  ha subito dichiarato che la Lega  taglierà le tasse e aumenterà le pensioni. La quadratura del cerchio. Ovviamente, Berlusconi e Meloni hanno subito promesso la stessa cosa.  Perché continuare a illudere la gente, in chiave populista, contraddicendo le più elementari regole  economiche?   
Se queste sono le premesse dell' opposizione al  governo M5s-Pd  l’ Italia è fritta. Perché in questo modo non si fa opposizione,  ma distruzione del sistema liberal-democratico, favorendo una visione allucinata della politica, fondata sul disprezzo per l’avversario, per le regole e  per la realtà. 

Certo, su queste basi,  quando  si andrà a votare, la destra potrebbe anche vincere. Come capitò a Hitler, altro demagogo... Non sarebbe la prima volta. Le liberal-democrazie si reggono su un equilibro delicatissimo,  legato principalmente, ripetiamo,  al rispetto del contendente.  Si pensi a un equilibrista sospeso sul vuoto.  Talvolta basta un nulla. Figurarsi il  presentare agli elettori l'avversario   come un nemico giurato.   
Quindi la destra potrebbe vincere le elezioni. Il punto, dopo sarà, come governare. Sì, come governare?   Tappandosi in casa,  buttando la chiave e chiudendo la bocca  agli oppositori?  
Povera Italia.


Carlo Gambescia    


mercoledì 21 agosto 2019

Un’idea  per il futuro  centrodestra
Libertà!

Dai titoli  dei giornali di destra, non sembra si sia capita la lezione.  Perché si grida al complotto e soprattutto si difende la  stupida e  disumana  politica migratoria di Salvini. 
Del resto, parliamo dell’unica politica che il Giostraio Mancato, privo totalmente di idee in tutti gli altri campi, abbia  implementato tra gli evviva dei razzisti made in Italy.  
In realtà,  Salvini si è incartato da solo e non , come si dice,  per i no di Cinque Stelle. Il leader della Lega ha meravigliosamente provato di non essere all’altezza del ruolo.  Un cosa è  rispondere in radio agli ascoltatori leghisti e liberarsi dei  dirigenti  rimbambiti  del partito, un’altra governare l’Italia.  Salvini, come uomo di stato,  ha mostrato limiti insormontabili. Può anche essere votato da tutti gli italiani, ma un somaro, anche se bardato a festa e portato in trionfo da tutti i compaesani, resta un somaro.
Conte  nel suo durissimo discorso ha semplicemente  sparato sulla croce rossa.  Per la serie il re  è nudo. Anzi,  un cretino.

E ora?   Salvo imprevisti, si andrà, Mattarella benedicente,  verso un governo M5S-Pd-Leu. Dal dibattito di ieri si è capito chiaramente. Sarà Conte a guidarlo?  Non  sappiamo,  né ci interessa.  Il vero punto è la ricomposizione dell’asse destra-sinistra. Avremo un  nuovo governo che  dovrà  dirà cose di sinistra, non genericamente populiste  e soprattutto  non di natura xenofoba.  Il che è un bel passo avanti, dal punto di vista della logica liberal-democratica.
Ovviamente, per i contribuenti si preparano tempi duri.  E qui si apre, anzi riapre la questione della destra.  
L’Italia ha necessità  di una destra diversa, non populista,  né xenofoba e  con la bava bocca.  Occorre  una destra liberale attenta alle ragioni del mercato, dello sviluppo, della tolleranza e dell’Europa.   Una destra civile  che potrebbe rinascere  - il condizionale è d’obbligo -  dalle ceneri del vecchio centrodestra che il populista  Salvini, per ora,  ha totalmente  distrutto a colpi di  propaganda razzista e di scemenze economiche.

Ieri durante il dibattito al Senato, l’unica volta che si è udita la parola liberalismo, la si è sentita uscire dalle labbra di Anna Maria Bernini, capogruppo di Forza Italia.  Le sarà scappata di bocca per sbaglio?  Non sappiamo. Però è dal  liberalismo che l’Italia dovrà  ripartire.  E soprattutto dovranno ripartire la destra e il centrodestra.  Serve  il più grande programma   di  tagli  fiscali e di  privatizzazioni,  non solo economiche,  che l’Italia abbia mai conosciuto. L’Italia  avrebbe - anche qui il condizionale è d'obbligo - le carte in regole per trasformarsi, insieme all’Europa, in un gigantesco paradiso fiscale, per attirare liberi capitali da tutto il mondo  e per accogliere chiunque, assetato di emancipazione,  bussi alla sua porta.  
Si chiama libertà, religione laica della libertà.  L’asse ideale intorno al quale dovrà   ruotare la politica di un rinato centrodestra. Tutto il resto è silenzio. E scemenze di  Salvini. Pericolose.  

Carlo Gambescia                      

  

martedì 20 agosto 2019

Così “Libero”
Giorgia Meloni? 
"L' unica seria"…

Secondo “Libero” Giorgia Meloni, in questa  crisi di governo,  darebbe  prova di essere  "l'unica seria", mentre tutti gli altri partiti  inseguono le poltrone. Forse.  E per quale ragione?  Perché  la serietà è una scatola vuota. Dipende dai contenuti. 
Si può essere democristiani seri, comunisti seri, fascisti seri, eccetera, eccetera.  E la serietà di Giorgia Meloni  di che partito è?  Fratelli d’Italia, da lei fondato, con Crosetto e La Russa.  E che partito è Fratelli d’Italia? Un partito xenofobo, nazionalista, cattolico-integralista,  fanatico dell' interventismo economico e  nostalgico senza darlo  troppo a vedere (ma per scoprirne delle belle, si sfoglino le pagine  “culturali” del “Secolo d’Italia”, giornale fratello, diretto dal fascistone Storace...).  
Sinteticamente: Fratelli d'Italia è una specie di Movimento Sociale Italiano prima di Fiuggi e subito dopo lo sdogamento di Berlusconi. Il che probabilmente spiega la presenza di Isabella Rauti  (e di altri)  tra i 18 senatori e i 33 deputati.
Oggi  Fratelli d'Italia  vuole  essere  la  casa di coloro che rimpiangono il dorato  limbo politico tra il 1994 e il 1995: forza di governo, con tutti i privilegi, senza però dover rinnegare il passato. Non per niente, la Meloni iniziò a impegnarsi politicamente  nel 1992, da quindicenne. E il primo amore non si dimentica mai.  Detto altrimenti, con Lorenz, etologo caro ai pochi intellettuali con studi di  quel mondo, l'imprinting è un fenomeno esteso a tutti i vertebrati.        
I voti tra politiche ed europee gravitano tra il 4 e il 6 e mezzo per cento:   ben al di sotto di Alleanza Nazionale, ma  più o meno in media con il Movimento Sociale almirantiano. 

Fratelli d’Italia si dichiara in crescita e partito di opposizione. Pronto  però  a governare con una possibile  riedizione del Centrodestra,  alleanza  nella  quale punta  a rappresentare l’ala sovranista con  radici nel Movimento Sociale e di riflesso nel fascismo.   
La Meloni che caratura politica ha?  Oltre la  battuta pronta  come Salvini non sembra andare.  Diplomata,  giornalista. Nonostante l’età (quarantadue anni),  parlamentare di lungo corso e  mediocre  Ministro della Gioventù con Berlusconi. Punto. Per chi sia interessato, qui un florilegio di sue citazioni corredato di fonti:  https://it.wikiquote.org/wiki/Giorgia_Meloni . Dimenticavamo: ha scritto un libro: Noi crediamo (2011).  Già il titolo è tutto un programma. 

Concludendo sulla Meloni,  il cursus honorum  è quello  che è.  Le  idee politiche  sono  retrive e  xenofobe.  Inutile ricordare  la polemica con   il direttore del Museo Egizio di Torino, accusato di “razzismo al contrario” per i  biglietti agevolati allo scopo di favorire l’integrazione per gli immigrati di lingua araba. La Meloni, con toni duceschi,  minacciò il licenziamento in tronco del direttore.  
Roba da vergognarsi. Però sarebbe “l’unica seria”. Complimenti a “Libero”.

Carlo Gambescia  

lunedì 19 agosto 2019

Dal  governo giallo-verde al governo giallo-rosso
Liberasi di Salvini val bene una messa


Qualche mese  fa  un politologo di destra che finge di essere neutrale,  Alessandro Campi,  invitava Salvini  dalle pagine del "Messaggero"  a  giocare la carta delle elezioni, perché al picco del successo politico.  E quando i treni passano…

Ignoriamo se Salvini abbia letto o meno  l' editoriale di Campi, pervaso dalla voglia di rivincita politica di un intellettuale già Nuova Destra e un tempo stretto collaboratore di Gianfranco Fini. Pezzo scritto con la penna intinta nello sfascismo del radicalismo di destra.  Altro che osservatore disincantato, come invece il docente perugino vuol furbamente  far credere.
Fatto è,  che a un certo punto,  intorno a Ferragosto,  Salvini, sfascista di suo e  probabilmente credendosi fortissimo,  ha deciso di tirare i remi in barca.  
Conseguenze?  Un suicidio.  Salvini rischia di finire isolato come Berlusconi. Perché, come si legge oggi su “Repubblica”, anche  Grillo lo avrebbe licenziato.  Si preparerebbe insomma  un governo giallo-rosso che ha i voti per governare. E Salvini che fa?  Proprio come il Cavaliere evoca la piazza. Il che ne conferma la pericolosità.

Dal  punto di vista soggettivo, delle nostre preferenze,  vediamo un governo di sinistra (perché di “centro” avrebbe poco)  come il fumo negli occhi. Al solo sentire il nome  di Prodi come Presidente del Consiglio  ci viene  l’orticaria.  Per non parlare della politica economica keynesiana, post-keynesiana, eccetera (la si chiami come si  preferisce) che un governo giallo-rosso attuerebbe.
Dal punto di vista oggettivo, dell’analista,  non possiamo non rilevare che un governo del genere darebbe però garanzie sistemiche - in chiave antipopulista - sull’Europa e sulla ricomposizione dell'asse destra-sinistra, garanzie  che   il governo precedente (per non parlare di un governo di destra dominato dal leader leghista)  non poteva assolutamente dare.
Diciamo che liberarsi di un personaggio, politicamente  pericoloso come  Salvini  val bene una messa….  Pure se officiata da Prodi.


Carlo Gambescia     

      

venerdì 16 agosto 2019

Controstoria della Seconda e Terza Repubblica
Il trend “manna dal cielo”




Esiste  un filo conduttore che attraversa la storia della Seconda Repubblica e che è alla base della Terza, quella populista, iniziata ufficialmente  con nascita del governo giallo-verde.  Un filo conduttore che può essere utile per  scrivere una specie di controstoria degli ultimi  venticinque  anni,  molto diversa da quella ufficiale:  "degli italiani buoni traditi dai partiti cattivi"...  Una storia iniziata con l'avvento al potere di Berlusconi nel 1994.  Antipolitico dalle promessi facili,  subito imitato da tutti gli altri, oppositori compresi.
Perché al fondo della questione  c'è l'ascesa dell’antipolitica, celebrata, giustificata, favorita  e  tradottasi, più concretamente, nell' odio diffuso dei cittadini verso i partiti politici.   Si potrebbe parlare di un autentico livore,  alimentato dalle sconsiderate campagne politico-mediatiche contro i partiti  che risalgono a Tangentopoli.
Ma è un odio giustificato?  Cerchiamo di capire, cosa c'è sotto.
Per usare una metafora  è  come se  gli italiani da venticinque anni continuassero a chiedere alla propria società di assicurazione -  l’Italia -   un risarcimento immaginario, puramente campato in aria.  Però, sono gli stessi assicuratori, - i politici  di volta in volta al governo -   ad ammettere che  il risarcimento è dovuto  e che si tratta solo di questione di tempo, perché l’importo verrà liquidato.  Ovviamente, poiché si tratta di una cifra folle,  che se erogata consentirebbe  agli italiani di vivere di rendita per il resto della vita,   i politici-assicuratori-liquidatori  non sanno dove trovare i soldi. E pur di guadagnare tempo blandiscono gli assicurati. Che, di conseguenza, sempre più convinti di essere dalla parte della ragione non demordono, e nell’attesa  - tanto è solo questione di tempo,  si dice -  si sono   seduti. E aspettano, a braccia conserte.
Fuor di metafora e semplificando:  la promessa  di tagliare le tasse  e aumentare  pensioni  e servizi sociali,  rappresenta il leitmotiv di tutti i governi dal 1994 a oggi.  Da ultimo, l’istituzione del Reddito di Cittadinanza  ha  sancito l’ingresso nella Terza Repubblica Populista: nel senso che l’antipolitica si è tramutata in assistenzialismo puro .   
Tuttavia  gli italiani continuano a protestare, perché il  "Governo del Popolo"  sembra aver fatto  poco. Risultato:  il Movimento Cinque Stelle, non potendo mantenere  tutte le impossibili  promesse  fatte, ha perso in un anno la metà dei voti.   Gli italiani si sono sentiti traditi  perché la manna  non è arrivata a domicilio.  
In venticinque anni  l’unico che abbia tentato di invertire  il  "trend   manna da cielo"   risponde  al  nome di  Mario Monti.  Durato poco più di un anno e subito retrocesso a nemico del popolo.
Monti, per tornare alla nostra metafora,  resta  l’unico amministratore delegato dell' "Italia  Assicurazioni" che abbia avuto il coraggio di dire chiaramente  agli assicurati la verità.  Quale?   Che il risarcimento per un danno immaginario  non può essere pagato.  
Monti, non era simpatico, però  era una persona seria. Non illudeva, non mentiva, non prometteva.   E di conseguenza, come poteva piacere agli italiani?  
Carlo Gambescia  
                                                        

giovedì 15 agosto 2019

Buon Ferragosto a tutti! (Sperando che sia l’ultimo con Salvini Vice Premier)


Certo,  sociologicamente  parlando,  non  è il massimo della neutralità affettiva,  ma esprimiamo un desiderio politico.  Ci piacerebbe molto  che questo fosse l’ultimo Ferragosto con Salvini  Vice Premier e Ministro. 
Il Giostraio Mancato, in appena  un anno di Governo,  ha  fatto più danni di Berlusconi, che almeno prometteva rivoluzioni liberali, mai avvenute.  Ma questa è un’altra storia.

E non si tratta dei  provvedimenti presi, trasformati in leggi.  Perché, piaccia  o meno, nei fatti,  ha governato solo Cinque Stelle. Ovviamente male.  Si pensi a una misura concreta come il Reddito di Cittadinanza.   Si chiama  politica economica,   sbagliata ma reale.   
Il danno peggiore  provocato  da Salvini   è di aver rianimato in molti italiani gli spiriti animali del razzismo.  Di aver radicalmente cambiato l' immaginario e l' agenda politica, ponendo al centro la questione degli immigrati come cosa di vita o di morte. Salvini  ha diviso  gli italiani in buoni e cattivi. Liquidando la sensibilità  verso gli stranieri come insensibilità verso  gli italiani.
Ripetiamo, per i duri di orecchio, la colpa peggiore del Giostraio Mancato  è di  aver  risvegliato  nella psiche collettiva degli italiani il virus dormiente del razzismo,  grazie a un potente meccanismo politico-mediatico, da lui corroborato a colpi di tweet.
Pertanto che Salvini  si  sia  infilato, probabilmente per delirio di onnipotenza,   in  una crisi politica che potrebbe defenestrarlo è una notizia bellissima.  Un magnifico  regalo di Ferragosto. 
Soprattutto perché, se la dinamica  politica,  come si legge,  spingesse a sinistra i pentastellati  nelle braccia del Partito democratico  e i leghisti  in quelle del  Centrodestra, il quadro politico potrebbe finalmente  ricomporsi lungo le linee dell’ asse destra-sinistra.  
Dal punto di vista dell'ottimo sistemico - cosa che non abbiamo letto da nessuna parte -  sarebbe  un ritorno alla quasi normalità.  Usiamo il termine quasi, perché sia nel Movimento Cinque Stelle sia nella Lega  il tasso di  populismo resta sempre  alto.  Però, se il populismo venisse  redistribuito, magari  riveduto e corretto, all’interno di alleanze  con forze “normali”, dotati di anticorpi democratici (liberali per ora è una parola grossa),  potrebbe diventare meno pericoloso. 
E comunque,  mai rovinoso  come quello espresso dal  governo giallo-verde in carica (si spera ancora per poco).  Un governo mostruoso, impresentabile,  che ha messo insieme il peggio del populismo di destra e di sinistra.
Certo il virus del razzismo ormai circola liberamente nella società  italiana e non sarà facile debellarlo.  E Salvini, una volta all’opposizione potrebbe, per così  dire, giocare al rialzo.   
Si tratta di un rischio da correre,  come quello di un   governo Pd-LeU-M5s, magari di legislatura, pro-spesa pubblica e pro-tasse. Purtroppo si tratta di scegliere il male minore.  
Quel che invece caldamente sconsigliamo, in particolare al Presidente Mattarella, sono le elezioni anticipate e le ammucchiate istituzionali che  farebbero comunque il gioco del Giostraio Mancato, sempre  pronto a presentarsi come vittima di fantomatici poteri forti.  
Buon  Ferragosto a tutti!   Massì pure a  Salvini…

Carlo Gambescia                   
                       

mercoledì 14 agosto 2019

Le morti  di Alda Mangini e Nadia Toffa
Come è cambiata l’Italia…


La morte di Nadia Toffa    può essere  l’ occasione  per ragionare su quanto sia cambiata l’Italia negli ultimi sessant’anni.  In peggio? In meglio? Giudichino i lettori.

Il 20 luglio del 1954 i giornali molto sobriamente informavano  della morte di Alda Mangini, quarant’anni,  cantante lirica, attrice di teatro, rivista, radio e cinema. Sugli schermi con Totò, Sofia Loren, Gabriele Ferzetti, Gina Lollobrigida.  Non ebbe tempo di rivedersi nell’ultimo film  girato, “La Romana", tratto da un racconto di Moravia. In altra  pellicola,  "La Provinciale", ricavata sempre da un'opera dello scrittore e diretta da Mario Soldati,  la Mangini  vestiva,  e magnificamente,  i panni di un' ambigua  e parassitaria contessa.   Lasciava il segno,  come si dice.  E fin dalla precisione dei gesti.             
Insomma, un volto conosciuto e apprezzato per la  bravura. Morì di cancro dopo aver subito, probabilmente  un inutile intervento. È sepolta al Verano di Roma
Come detto la sua morte scivolò via, silenziosamente  o quasi.  I giornali se la cavarono con  trafiletti, come il "Corriere della Sera" (sotto a destra),  o poco più come "La Stampa". Ma   senza una parola di troppo.  Le riviste specializzate come il "Radiocorriere" con qualche riga in più  (sopra a sinistra) (*). Tutto qui.


Il 14 agosto 2019,   i giornali  riferiscono  con titoli in prima pagina e ampi commenti della morte di Nadia Toffa,  quarant’anni, volto televisivo  conosciuto e apprezzato,  uccisa da cancro.  La malattia, subito divenuta  pubblica, anche per volontà della conduttrice de "Le iene",   è stata seguita mediaticamente, come un vero e proprio evento,  fin dall'insorgere. 
Cosa è cambiato in sessant’anni?  
Innanzitutto,  la tecnologia. Oggi, grazie alla Rete   tutti sanno di tutti, e tutti  possono parlare  di tutti, E a ruota libera.  Nel caso della Toffa, sui Social, sono volati persino  insulti tra  fans e haters.  Con gli  ultimi convinti che la Toffa speculasse sulla sua malattia.  

In secondo luogo, l’Italia del 1954 conosceva e apprezzava ancora la deferenza sociale. E la morte, soprattutto se per una grave  malattia, imponeva rispetto.  
In terzo luogo,  gli italiani lavoravano sodo:  c’era stata la guerra con i suoi lutti autentici,  e si voleva recuperare il tempo perduto,  guadagnare, mettere su  famiglia, figli, eccetera. "Farsi una posizione", come si diceva allora.  


Diciamo che  la morale borghese era molto più solida di oggi. La guerra fascista l’aveva sfidata, e ora gli italiani  nell’anno di grazia 1954 aspiravano a diventare tutti borghesi. Vendicandosi della stupidità populista dei fascisti.  Di qui  l’importanza di valori come il rispetto per agli altri, la laboriosità, il senso di  responsabilità.   Il miracolo economico  ebbe  dietro di sé un popolo  di formiche che desiderava elevarsi guardando ai modelli culturali  dell’antica e solida  borghesia.  

E l’Italia di oggi?  Stende la mano, insulta e odia.  Si criticano le élite, ma non ci si  guarda allo specchio.  Si vuole tutto e subito e con il minimo della fatica.  
Critiche facili le nostre? Da conservatori di Serie B.  A dire il vero,  le indagini sociologiche parlano di un popolo di cicale che non crede  più in nulla. Però pretende. E odia chi si trovi appena un gradino sopra. Quindi i   ricchi  e famosi sono addirittura visti come  nemici del popolo.

Alda Mangini e Nadia Toffa,  due Italie  lontanissime tra di loro. E per oggi la finiamo qui.    

Carlo Gambescia



(*) Per le fonti delle  foto  e dei ritagli di stampa si rinvia al sito:  http://www.tototruffa2002.it/biografie/mangini-alda.html   .  Che ringraziamo.