lunedì 29 febbraio 2016

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 29 febbraio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito del p.p. n 2367105 R.G.N.R. -R.R.I.T. nr. 34986, [Operazione “FINE PENA MAI”, N.d.V.] in data 28/02/2016, ore 09.45, è stata effettuata una intercettazione ambientale presso il parco pubblico “Paolo Borsellino” in Milano. Presenti BERNASCONI SILVANO E  DUDU’ [cane barboncino, ex presidente PAC (Protezione Animali Cristiani) registrato in proprietà dell’On. SALTINI MATTIA]. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata[1]:

[omissis]

BERNASCONI SILVANO: “Dudù?! Dudù, sei tu?”
DUDU’: “Lasciami stare.”
BERNASCONI SILVANO: “Cribbio, ma cosa ti è successo?! Guardati! Sei tutto sporco, magro, va’ che pelo hai, sembri un randagio…”
DUDU’: “Cosa te ne frega a te?”
BERNASCONI SILVANO: “Ma dai, vieni qua…vieni qua ho detto, dai!”
DUDU’ [piange, uggiola] “No, no, vai via che mi vergogno…”
BERNASCONI SILVANO: [si china, lo accarezza]: “Adesso ti prendo qualcosa da mangiare e poi andiamo a casa, eh Dudù? Ma si può sapere cosa ti è successo?”
DUDU’: “Lasciamo perdere.”
BERNASCONI SILVANO: “E Saltini? E i tuoi Cani Cristiani? Non sei più il Presidente?”
DUDU’: “E tu? Sei ancora il Presidente tu?”
BERNASCONI SILVANO: “Va be’, senti, io me ne vado. Ciao.” [fa per allontanarsi]
DUDU’ [pausa]: “Silvano.”
BERNASCONI SILVANO: “Eh?”
DUDU’: “Scusa.”
BERNASCONI SILVANO: “Su, dai, racconta.”
DUDU’: “Niente, mi hanno beccato.”
BERNASCONI SILVANO: “Chi ti ha beccato? Beccato a fare cosa?”
DUDU’: “Saltini. Mi ha beccato Saltini. A rubare. Sei contento?”
BERNASCONI SILVANO: “Come rubare? Ma perché?! Cosa te ne fai tu dei soldi?”
DUDU’: “Sentilo l’innocentino. Cosa vuoi che me ne faccia dei soldi? Secondo te? Te le ho anche presentate, l’ultima volta che ci siamo visti.”
BERNASCONI SILVANO: “Vuoi dire… le cagnette che ti portavi in giro?”
DUDU’: “Cipria, Puffa, Biba, Falpalà, e tutte le altre. Non gli bastava mai, Silvano! E i croccantini bio, e il collarino di brillanti, e il cappottino di vigogna, e la cuccia con l’idromassaggio…e i loro parenti disgraziati, il padre con la rogna, la mamma randagia, il fratello che se non lo salvo io al canile lo eliminano…con lo stipendio non ce la facevo, Silvano, non ce la facevo!” [piange]
BERNASCONI SILVANO: “Ma roba da matti. Tu! Tu che mi hai sempre detto che per voi cani era tutto più semplice, più naturale…’Noi ci accoppiamo, Silvano, tàc tàc! Queste vostre storie dell’amore, noi proprio non le capiamo’…[pausa] Be’, l’hai capita adesso questa storia dell’amore?”
DUDU’: “E’ colpa tua.”
BERNASCONI SILVANO: “Cooosa?”
DUDU’: “Colpa tua, tua! Sei tu che mi hai chiesto di parlare. E’ da allora che ho cominciato a…è cambiato tutto, Silvano! Tutto! Da quando parlo sono diventato, non lo so cosa sono diventato…quante bugie, Silvano, quante bugie da quando parlo! prima abbaiavo e basta, Dio come si stava bene! E invece no! Tu ti sentivi solo, poverino! Ti lamentavi sempre, ‘neanche un cane per parlare’…ecco! Sei contento? Bel risultato!”
BERNASCONI SILVANO: [pausa] “Va be’, dai. Vieni che andiamo a casa. Ti fai un bagno, mangi qualcosa, ti riposi e poi mi racconti tutto.”
DUDU’: “No, se c’è quella lì io non vengo. Ormai mi odia, quella.”
BERNASCONI SILVANO: “Chi, la Natale? Storia antica.”
DUDU’: “Sei rimasto per conto tuo? Beato te!”
BERNASCONI SILVANO: “Macché! Ho una ragazza nuova. Guarda, un gioiellino, un angelo di bontà, di dolcezza…”
DUDU’: “Cristo, Silvano…”
BERNASCONI SILVANO: “Be’? Mi fai la morale?”
DUDU’: “Ma no, no…le piacciono i cani?”
BERNASCONI SILVANO: “Naturale! E’ un’anima delicata, vuoi che non le piacciano gli animali?”
DUDU’: “Va be’. Però, Silvano: non dirle che so parlare.”
BERNASCONI SILVANO: “Va bene.”
DUDU’: “Io d’ora in poi non parlo più. Se proprio vuoi con te, ma in privato. D’accordo?”

BERNASCONI SILVANO: “D’accordo.”
DUDU’: “E se vuoi un consiglio, Silvano: fai così anche tu.”
BERNASCONI SILVANO: [pausa]: “E’ una parola.”
DUDU’: “Bau.”
[si allontanano a capo chino]



Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler





[1] Per una migliore comprensione del presente verbale, si invita alla rilettura dei seguenti verbali di intercettazione:  
a) lunedì 8 giugno 2015:http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2015/06/arma-dei-carabinieri-nucleo-di.html ; 
b)  lunedì 19 ottobre 2015: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/2015/10/arma-dei-carabinieri-nucleo-di-polizia_19.html  .


(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...




sabato 27 febbraio 2016

Elezioni in Iran
Ma quali conservatori e riformisti…



L’atteggiamento  dei media italiani  (non solo)  verso le elezioni iraniane ha dei lati comici, ricorda quello  nei riguardi di   tutto ciò che accade nella  Chiesa Cattolica.  Anche  per Teheran si propone il solito falso e  ridicolo  schema della sfida  tra conservatori e riformisti, dando per scontato che i riformisti siano sempre di sinistra e perciò  meglio dei conservatori.  I vecchi romani, anticlericali o meno,  sapete invece  cosa  dicevano di preti e papi?  “Ammazza ammazza è tutta  'na razza”.  E il dotto schema,  potrebbe essere esteso anche all'Iran. 
Insomma, dal tono giulivo  di certi servizi, pare che da un  momento all’altro, debba apparire sullo schermo per la conferenza della vittoria il classico leader riformista europeo, socialista e libertario. E invece, basta seguire, neppure con  attenzione le immagini, per scoprire davanti ai seggi,  leader, quando abbigliati all'Occidentale, vestiti peggio di Togliatti, donne in abiti tradizionali con il viso coperto, uomini  nervosi, con gli occhi lucidi,  appena usciti da "Ladri di biciclette". Insomma,  un paese povero, arretrato, torvo, addirittura - pardon -  incazzato. E non si sa neppure con chi (oddio a Tel Aviv, pardon Gerusalemme, lo dicono, ma  nessuno ascolta...).  E questo potrebbe essere un problema nel problema. 
E pensare che con lo Scià, la Persia si era modernizzata e laicizzata: guardava al mondo occidentale, fiduciosa nel progresso civile e politico. Non era ancora  un Libano (prima della catastrofe), ma quasi. Altro che il  fantasticare oggi, a comando editoriale,  su Lolita a Teheran.   
Si dirà che il nostro è un quadro di maniera e soprattutto filo-occidentale  e che lo Scià con gli oppositori non aveva  mano leggera. E sia.  Però dopo la caduta di Reza Pahlavi, presero il potere gli oscurantisti, poi esplose la guerra  Iran-Iraq (che con lo Scià al potere non sarebbe divampata), durata quasi un decennio. Fame, morti e miseria.  Dopo di che Saddam Hussein, il rais iracheno, che non era un genio militare, decise di  invadere il Kuwait... E così via, per colpi e contraccolpi, lungo il  terreno minato dei conflitti geo-religiosi interni  ed esterni  all'Islam,  fino al disastro del Bataclan di Parigi.  
Gli Stati Uniti (per non parlare di britannici, francesi e italiani, che pure facevano affari in Persia), invece di tenere in piedi lo Scià non mossero un dito.   La colpa storica  di quel che oggi  sta accadendo, se proprio si vuole fare un nome, non si può non  ascrivere al debole pacifismo psico-culturale (direbbe Kissinger) del  presidente Jimmy Carter, probabilmente il peggiore, con Barack  Obama, dell’altro e di questo secolo.
Semplifichiamo? Forse. La  vediamo con gli occhi dell'Occidente? Certo.  E con quali altri occhi? Di politica stiamo parlando.  Sicché, per dirla tutta, ogni volta che si vota in Iran  e viene proiettato il solito film sulla sfida  tra conservatori e riformisti,  ripensiamo - con rabbia -  agli editoriali del generale Nino Pasti, su “Relazioni Internazionali”,  prestigiosa rivista italiana di politica estera, anno di grazia 1978, quando ridicolizzando il carattere moderno del traballante regime dello Scià,  scriveva del progetto khomeinista come esempio di rivoluzione non violenta.  In realtà,  il  31 gennaio 1979, giorno del ritorno in patria dell'anziano ayatollah, celebrato da Pasti,  indica un punto di non ritorno, sul quale l'Occidente non ha mai riflettuto a dovere. 
Pasti era vicino al Pci - e suocero di Corrado Augias, ci dicono.  Mentre i comunisti italiani all’epoca andavano e venivano da Mosca.  E la  Russia di Brežnev probabilmente era dietro le quinte della rappresentazione in nero . Di lì a poco, con l’Iran impegnato a "revisionare" il proprio passato, l’Unione Sovietica avrebbe invaso l’Afghanistan.  E anche questa sarebbe una storia da riscrivere. Altro che conservatori e riformisti...
  
Carlo Gambescia     

venerdì 26 febbraio 2016

Panebianco, i contestatori bolognesi e l'Articolo 11  
Ideona, 
perché  non schierare in Libia un milione di copie della Costituzione? 




L' aggressione subita  da Angelo Panebianco,  cervello sopraffino  liquidato come "barone della guerra", deve far riflettere su tre  questioni fondamentali: uno, che i pacifisti sono ben organizzati; due, che  il resto del Paese  non è altrettanto organizzato, e che quindi, tre, sembra non essere in grado di "reggere"  moralmente  al  conflitto cui  "prima" o "poi", anche se come "ventre molle" di un'alleanza, l'Italia sarà chiamata.  Perciò il Paese  andrebbe adeguatamente  preparato. E per una semplice ragione:  evitare scontento e di riflesso tumulti di piazza,  capaci di influire negativamente sulla condotta politica e militare della guerra. 
Certo, il Governo spera  in un  "poi" capace di  dilatarsi quanto più possibile nel tempo,  fino a sparire del tutto dall'orizzonte geopolitico. Di qui, i soliti giochini verbali per attenuare,  sopire,  sperando che le cose si risolvano da sole.  In realtà,  la questione della preparazione morale e culturale non può essere ignorata.  Il nemico è alle porte:  in Libia.  E,  volenti o nolenti, dovremo intervenire, in coalizione con altre nazioni.  Qui però le cose si complicano:   come preparare alla guerra  un Paese che da almeno settant'anni ha smesso di "pensare" la guerra?
Ci riferiamo in particolare ad alcune sub-culture politiche, magari ideologicamente contrastanti,  ma da sempre in prima linea contro la guerra, soprattutto se intrapresa nel quadro dell'Alleanza Atlantica: comunisti e ultrasinistra, cattolici tradizionalisti e progressisti,  neo-fascisti, leghisti e,  ultimi arrivati, i grillini, che riassumono  tutti i ricordati umori politici.  Frange, molto ben organizzate, che  una volta iniziate  le operazioni militari in Libia, anche in chiave di solo sostegno logistico, potrebbero comunque impadronirsi delle piazze, sobillando quelle maggioranze,  più o meno silenziose,  che ai cannoni continuano a preferire il burro.   Il mix, per semplificare,  tra "pacifismo ideologico" e "partito delle mamme e dei papà" sarebbe veramente dirompente per l'intero sistema politico. Quindi, prima che le cose precipitino,  si dovrebbe spiegare agli italiani che il burro, talvolta va difeso con i cannoni.  Ma come?    
Che i popoli non amino le guerre è scontato.  Che però debbano comprendere  che in alcune occasioni non si può non combatterle dovrebbe essere altrettanto scontato.  È la lotta per l'egemonia, ossia per la sopravvivenza politica del più forte (Tucidide). Una regolarità o costante metapolitica con la quale anche le persone comuni non possono non fare i conti. Non si è mai in vacanza dalla storia. Purtroppo.
Il quid  italiano  è  credere  di poter far festa, farla franca, e per  sempre; insomma di  ignorare la metapolitica:  avere il burro e usare i cannoni altrui.  Il che è impossibile. Per due ragioni: 1) perché è l'alleato più forte a indicarti il nemico (che poi sarebbe il suo, e quindi anche il tuo);  2) perché, in assenza di un alleato più forte che indichi eccetera, le risorse politiche sono comunque scarse e nessuno concede nulla per nulla, sicché spesso è il nemico a indicarti come tale, prescindendo dai tuoi meriti o demeriti; di qui, conflitti, eccetera.  Altra questione importante,  il quid  italiano,  pur avendo radici profonde (si pensi solo  alle pagine di Pieri sul Rinascimento delle arti e la crisi militare italiana), rinvia al fascismo e alla storia repubblicana.  Ci spieghiamo subito.
Innanzitutto,  discende  dalla crisi di  rigetto, diremmo nazionale, provocata  dall’overdose di bellicismo fascista: quasi metà delle famiglie ebbe il suo caduto,  ricordato (quando e se) non più con  l' orgoglio patriottico in stile "Grande Guerra" ma  con  rancore, non solo verso il fascismo, bensì verso i politici, i  padroni, i baroni della guerra, i profittatori,  insomma l'establishment. Purtroppo,  i danni provocati dal nazionalismo  fascista, melting pot di sindacalismo, populismo e socialismo,  sembrano essere irreversibili.
Dopo di che,  va sottolineata la diffusa e ingenua credenza nel carattere ab aeterno dell' ombrello militare americano, venuto invece meno dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica. Credenza, che a livello di inconscio collettivo - quindi  non si sa bene perché -  continua ancora a prevalere,  nutrendo quell'atteggiamento di incosciente vacanza dalla storia, la cui dannosità sembra essere, anch'essa, apparentemente, di natura irreversibile.  
Infine, va considerato  il predominio incontrastato, durante tutta la Prima Repubblica ( e se per questo anche dopo)  di culture politiche  totalmente debellicizzate,  per così dire,  storico-vacanziste:  dalla democristiana alla comunista,  quest'ultima  però pacifista con l'occhio rivolto verso Mosca. Emblematico, l’articolo della Costituzione, in perfetta chiave cattolico-comunista,  sul rifiuto,  a priori, della guerra:  un fenomeno, piaccia o meno, sociologicamente tanto regolare quanto il sorgere e il tramontare del sole.  Che, ovviamente non va celebrato ma neppure denigrato.  Al quale, soprattutto,  evitando di  cadere in eccessi nazionalisti e bellicisti,  si deve sempre  essere  preparati, moralmente e militarmente.
E  invece c’è ancora  chi  mette in discussione, per così dire,  le leggi della politica,  come i contestatori  di Panebianco. Per inciso, come si è visto, anche il pacifismo, come tutti i fenomeni sociali e politici,  ha un lato carnivoro... In sociologia politica non esistono gli erbivori. Panebianco è stato aggredito  per i suoi editoriali,  dove si analizzano le cose per quello che sono e non come dovrebbero essere nell' Iperuranio dell' Articolo 11 della nostra Carta Costituzionale.
Per tutte queste ragioni,  preparare  l'Italia alla guerra è  impresa quasi  proibitiva.  Probabilmente la classe politica ne è consapevole  e cincischia:  diffida del patriottismo e della capacità di resistenza morale degli italiani.  E quindi, anche per tale  motivo,  prende ( e perde) tempo.
Ideona, perché contro l'Emirato Sirtico  non schierare  un milione di copie della Costituzione Italiana? In fondo, la nostra non è la più bella del mondo?  Come dice Benigni, del resto.  Al quale - perché no? -  si potrebbe affidare il comando di questo magnifico esercito di carta. 

Carlo  Gambescia

giovedì 25 febbraio 2016

Berlusleaks
di Teodoro Klitsche de la Grange




La vicenda delle intercettazioni U.S.A. ai leaders europei (Berlusconi compreso) prova come il popolo (italiano) sia tenuto in una profonda ingenuità dalla propria classe dirigente come dai mezzi di comunicazione di massa.
La reazione generale (esternata) è stata di sdegno perché gli U.S.A. si sarebbero permessi di intercettare (inaudito!!), con l’aggravante di farlo a carico del governo di uno “Stato alleato”; per cui tanto sdegno dovrebbe concretizzarsi in una Commissione parlamentare d’inchiesta (che paura!). Ben ha risposto Luttwak su un giornale italiano che lo spionaggio è normale tra Stati e comprende sia quelli ostili che gli alleati. Che poi di alleanza, intesa come rapporto da pari a pari, occorre parlare in modo per così dire elastico, data la storia recente da Cassibile in poi.
L’altra considerazione è sul contenuto delle conversazioni intercettate, che conforterebbero la tesi, peraltro altrimenti fondata, che la caduta dell’ultimo governo Berlusconi sarebbe stata propiziata da una congiura tra alcuni politici italiani (in posizione subordinata, come sempre) e stranieri. E che c’è di nuovo? Che la maggior parte di tali manovre siano realizzate tra un mandante estero e degli esecutori interni  e che ciò avvenga in particolare in un paese come l’Italia è cosa nota. L’inciucio con lo straniero forte è stata una delle costanti della storia italiana, non solo di quella recente. Da Svarto a Maramaldo, dai Gonzaga del Rinascimento ai Giacobini del 1799 è tutto un pullulare di italiani disposti per togliersi il padrone di casa ad aiutarne uno di fuori.
E neanche desta sorpresa che pare sia stato sostenuto, come la crisi del 2011 fu dovuta all’enorme debito pubblico italiano propiziato da Berlusconi e che (tra le righe) l’ “aiuto fraterno” franco-tedesco fu doveroso e nell’interesse dell’Italia (ma soprattutto dei vari Svarto al caviale).
Il seguito della storia dimostra che non è così: il debito pubblico italiano ha continuato trionfalmente a crescere, malgrado loden e “compiti a casa”, come il reddito nazionale e l’occupazione a decrescere. E il tutto è coerente alle premesse: è chiaro che i leaders delle potenze “fraterne” non hanno fatto altro che il loro dovere, come quello di qualsiasi governante responsabile (verso il proprio popolo): di far gestire l’Italia da qualcuno che facesse meno gli interessi del popolo italiano che dei loro. Anche perché diversamente da quello appioppato agli italiani, non eletto e quindi responsabile verso chi l’aveva “nominato”, Sarkozy e la Merkel lo sono verso coloro che li hanno eletti. Anche qui niente di cui la teoria politica e la dottrina dello Stato, da Machiavelli a Meinecke, non ci abbia avvertito.
Solo che diversamente dalle conclusioni, che ne avrebbe tratto qualche articolista, a tutto disdoro del cavaliere (bancarottiere presunto e puttaniere intemerato), c’è il caso, ad applicare criteri realistici, che il tutto giovi all’immagine (e al giudizio sul) cavaliere.
Infatti la vide lunga Vittorio Emanuele Orlando quando, alla Costituente, disse che votare il trattato di pace significava rinuncia all’indipendenza e all’onore della Patria, indotta da una “cupidigia di servilità”. Servilità che sarebbe stata poi il carattere dominante dei (futuri) governanti del Bel Paese. Ai quali perciò i governanti stranieri sono stati prodighi di elogi. Tranne che a qualcuno, tra i quali, a questo punto, bisogna includere Berlusconi: per il quale, se ne deduce, la causa di così poca considerazione (dei governanti esteri) è di essere più attento agli interessi del popolo italiano e perciò risultare più scomodo (agli alleati). E forse persino meno servile di tanti altri. Sarà, ma alla lunga i giudizi (e i celebri sorrisetti ironici) della Merkel e di Sarkozy, gioveranno alla reputazione del cavaliere più di mille articoli di ingiurie e disprezzo (telecomandato). Varranno assai più delle cose che ha fatto e persino di quelle che non ha fatto.

Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).



mercoledì 24 febbraio 2016

Berlusconi e  il telefono sotto controllo Usa
Ma quale spionaggio americano…
Il nemico è in Libia



Quando si dice il caso. Dopo che si è diffusa la notizia dello schieramento dei droni Usa  a Sigonella è  tornata  fuori la storia  dello spionaggio americano ai danni del Governo  Berlusconi nel 2011.  Per dividere e non per unire. Perché, ripetiamo, quando si dice il caso,  la storia, affiora di nuovo  nel momento in cui gli americani e  gli europei (Italia inclusa), dopo tanto stupido parlare di pace,  si sono finalmente decisi  a fare qualcosa.
Quali sono gli interessi italiani in questa situazione? Di sicuro non polemizzare o rompere con gli Stati Uniti, anche perché, da che mondo è mondo,  tutti spiano tutti. E Berlusconi all’epoca cadde, da coniglio, perché,  pur avendo i voti in Parlamento (certo, pochi), si dimise di motu proprio, rimettendo il mandato nelle mani di Napolitano.  Addirittura inizialmente il Cavaliere appoggiò  Monti, per mostrare il suo "senso di responsabilità".
Pertanto non rientra certamente nell' interesse italiano difendere la memoria politica di un  coniglio e diciamo pure di un pugno di ladri,  mettendoci contro gli americani. Di un  Berlusconi,  che tra l’altro  non mosse un dito per salvare il regime di Gheddafi.  Un tiranno, certamente, il cui governo  era però  preferibile, e di gran lunga,  al pericoloso  caos attuale.
Invece è nostro  principale interesse cancellare  l’Emirato della Sirte e  far regnare l’ordine in Libia. Anche con un protettorato. Purtroppo, gli Stati Uniti di Obama non sono  molto affidabili, però si stanno muovendo. E dopo una fiacca  presidenza socialista, ormai al termine,  le cose potrebbero  cambiare...
In ogni caso -  valga questo per i soliti anti-americani -  il nostro  nemico è in Libia,  alle porte dell'Italia. Non sono gli Stati Uniti.  Sirte è a 1200 chilometri. E gli islamisti  potrebbero colpirci, qualora avessero i mezzi, in qualsiasi momento. 
Ma quale spionaggio americano… Svegliatevi, imbecilli, prima che sia troppo tardi. 

                                                                                                                                   Carlo Gambescia       

martedì 23 febbraio 2016


La morte di Giulio Regeni e il realismo politico
Confessioni di un aguzzino





Si scrive un pezzo sulla morte di Giulio Regeni (1)  e ci si ritrova  sotto il  tag  AGUZZINI (2). Capita. È il Web, bellezza.  Cosa aggiungere?  Che però le mammole dell'etica dei principi non sono poi  così buone, comprensive e ragionanti come cercano di apparire... Scagliano  parole come pietre, proprio come i loro  nemici di sempre: i  cattivi carnivori.  Sotto il soffice manto dell' animale erbivoro hanno conservato, come è naturale che sia,  riflessi  da  predatore.  O eraclitei, per metterla sul dotto.  C'est la vie. Quindi non ci scandalizziamo più di tanto.  Però desideriamo  chiarire un punto.
Chi fa professione di realismo politico, come chi scrive,  con salde basi sociologiche (ognuno ha la formazione che si merita…),  e quindi fa principalmente attenzione all' essere delle cose sociali,  non è che ignori le grandi questioni etiche, il dover essere, ma più semplicemente, quando studia un fenomeno, preferisce attenersi ai fatti e non al dettato in filigrana dei Dieci Comandamenti o di qualche surrogato laico in chiave giusfilosofica (poi nel privato ognuno è libero di servire la divinità in cui crede...).
E quali sono i fatti? O  meglio la forma dei fatti? Le costanti o regolarità del comportamento politico, una in particolare:  che  le risorse politiche sono scarse e che gli uomini se le contendono, anche con l’inganno e la forza, a prescindere dal regime politico reale o ideale che sia (3).  Di qui, purtroppo, conflitti  e guerre ai quali è giusto prepararsi, come ben  sapevano gli antichi Romani.  Si dirà, banalità da quarto-quinto ginnasio. Forse. Tuttavia superiori, per dirla con Gide, perché difficili da digerire, soprattutto   per gli  erbivori o quasi.  
Ciò però non significa  che non ci sia  metodo  etico  nella   follia, pardon nella crudeltà dell'aguzzino di turno. Nel realismo politico un’etica c’è. Pensiamo alla weberiana etica della responsabilità: una concezione che nell’azione politica,  rapportando i mezzi ai fini,  tiene conto di quanto sopra.
Detto altrimenti: il realista accetta il mondo,  prudentemente,   per quello che è stato,  è e sarà (le costanti di cui sopra). Perché teme il peggio. Ha sempre presente,  dinanzi a sé,  il disastro prossimo venturo,  anzi lo immagina,  come sottolinea Jerónimo Molina, quando correttamente parla del realismo politico come  imaginación del desastre, [immaginazione del disastro](4).
Non è chiaro? Rimediamo subito. Et voilà, serviamoci del cucchiaino esemplificativo, ma per scendere nella scala epistemica, come si fa con i neonati, quando li si imbocca con  quello della Chicco: se Giulio Regeni avesse letto a fondo, non diciamo Kautilya e Ibn Khaldun (perché sono letture da specialisti), ma Tucidide e Machiavelli avrebbe immaginato il disastro che lo attendeva. Insomma, non avrebbe  fatto quella fine. O comunque si sarebbe difeso molto meglio, spia o meno: il dotto colonnello Lawrence, comunque sia,  docet. Anche perché,  nel 1916, il Nostro aveva  solo 28 anni... Certo, per dirla con Rita Pavone, come lui non c'era e non c'è nessuno. Però.
Ciò  significa, sempre per usare il cucchiaino,  che i  giovani affascinati dal turismo mediorientale per diporto, studio, lavoro, attività spionistiche o rivoluzionarie, non possono non leggere  i  Seven Pillars of Wisdom.   E non facciamo della facile ironia, perché si tratta di un monumento alla saggezza politica. Il capolavoro di Lawrence, mai dimenticarlo a casa. 
Insomma, l’etica della responsabilità forse avrebbe salvato una giovane vita.  Che c'è di più elevato, sotto il profilo morale?
Per passare  infine  dal particolare al generale - andando oltre il caso Regeni - se  uno legge Tucidide, Machiavelli, Lawrence  e non capisce,  il problema è suo. Conoscere per deliberare, diceva un saggio Presidente della nostra Repubblica:  e il conoscere non dipende dalla società, dipende dal singolo, dalla sua  volontà di sapere,  una  fortezza  che non si insegna in nessuna scuola. E che in natura è mal distribuita, perché così è, da che mondo è mondo.  E serve anche carattere, perché chi pecora si fa il lupo se la mangia. Puoi anche essere l'uomo più buono del mondo, ma se il nemico ti indica  come tale,  non ascolterà altre ragioni se non quelle di Polemos (5). E lì serve carattere.  Tutto il resto è etica dei principi. Altro giro, altro argomento. 
Ora, ricordare tutto ciò,  anche a  caldo,  per evitare che altri giovani commettano lo stesso errore, è comportamento da aguzzini?  Sì?  Perfetto, ebbene siamo aguzzini. Lo confessiamo. E  ne siamo pure fieri.

Carlo Gambescia

   


(3) L' autocitazione di un proprio lavoro  non è elegante, ma non possiamo farne a meno: C. Gambescia, Metapolitica. L'altro sguardo sul potere, Edizioni il Foglio 2009, Cap. I. 
(4) J.  Molina, El realismo politico, in  E. Anrubia e Á. de Rueda, Felicidad y conflictoFilosofías para el mundo de mañana, Editorial Comares, Granada 2015, p. 21. Consultabile qui:  https://www.academia.edu/20374719/El_realismo_pol%C3%ADtico .
(5)  Recidiva. C. Gambescia, La guerra come forma estrema di conflitto (un’analisi sociologica che prende spunto da una “polermica” di  Julien Freund , “Metàbasis. Filosofia e comunicazione”,  marzo 2006, anno I,  n. 1, pp. 1-11. Consultabile qui: http://www.metabasis.it/articoli/1/1_gambescia.pdf . 

lunedì 22 febbraio 2016

Arma dei Carabinieri (*) 
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 22 febbraio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 404/2, autorizzazione Presidenza del Consiglio-AISE 329/03 [Operazione “QUANTO SEI BELLA ROMA” N.d.V.] è stato effettuata in data 21/02/2016, ore 16.41, l’intercettazione di una conversazione telefonica intercorsa tra le utenze 333***, in dotazione a ON. SALTINI MATTIA, Segretario Lega Nord, e 344***, in dotazione a BERNASCONI SILVANO. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]



ON. SALTINI MATTIA: “Ruspa, ruspa! Altro che zingari perseguitati, ruspa!”
BERNASCONI SILVANO: “Avete investito nelle macchine movimento terra?”
ON. SALTINI MATTIA: “Scherza, te, scherza pure. Qua intanto si perde.”
BERNASCONI SILVANO: “De Coubertin, Mattia: l’importante non è vincere, è partecipare.”
ON. SALTINI MATTIA: “Non so tu, Silvano, ma io non sono ancora in pensione.”
BERNASCONI SILVANO: “Se continui così ci vai presto, Mattia. Dico, non vorrai mica governare Roma? Roma ladrona?”
ON. SALTINI MATTIA: [pausa] “Neanche fare una figura di emme.”
BERNASCONI SILVANO: “La figura di emme la fa Bertolini. No, dico: non gli è bastato farsi macinare sui giornali e in tribunale  per un massaggio, no! Ci riprova! Per fare il sindaco di Roma! Cinquemila euro al mese! Cinquemila querele al giorno!”
ON. SALTINI MATTIA e BERNASCONI SILVANO [insieme, ridendo]: “Che coglione!”
ON. SALTINI MATTIA: “Va bene, però perdere con un minimo di dignità, dai!”
BERNASCONI SILVANO: “E’ qua che ti sbagli, Mattia. Vedi: oggi, l’uomo politico parte preumiliato.”
ON. SALTINI MATTIA: “Precosa?!”
BERNASCONI SILVANO: “Preumiliato. Umiliato prima ancora di cominciare. Vuoi andare sui media? Devi fare il pagliaccio. Ti fai filmare mentre fai il risottino, mentre giochi col cane, mentre scivoli sulla buccia di banana…Vuoi farti votare? Guai a far vedere che sei meglio dell’elettore, quello sbava di invidia e pensa: ‘Ma chi si crede di essere questo qui?’ “
ON. SALTINI MATTIA. “Va be’, in un certo senso ti do ragione, ma…”
BERNASCONI SILVANO: “Ma niente. Stammi a sentire: vogliamo governarla sul serio, Roma? Ci vogliamo affondare sul serio in queste sabbie mobili? Rispondi sincero.”
ON. SALTINI MATTIA: “No.”
BERNASCONI SILVANO: “Ecco. E allora chi vuoi che candidiamo? Uno totalmente inaccettabile tipo Er Batman non si può, sennò è troppo chiaro il nostro gioco, e poi la figura di emme la facciamo noi. Uno che può vincere sul serio, peggio che andar di notte. E allora chi ci resta?”
ON. SALTINI MATTIA: “Bertolini.”
BERNASCONI SILVANO: “Bertolini. Una brava persona, intelligente, preparata, efficiente, con un curriculum di tutto rispetto, uno che ci tiene all’Italia, abbastanza onesto e disinteressato anche se con qualche perdonabilissima debolezza, cioè…”
ON. SALTINI MATTIA: “…cioè un coglione.”
BERNASCONI SILVANO: “Vedo che hai colto il punto. Ergo, cosa te ne frega di quel che dice Bertolini sugli zingari? Se i tuoi elettori si incavolano quando dice ‘poverini’, basta che gli dici ‘colpa di Silvio’. Se si incavolano i miei quando dice ‘ruspa’, basta che gli dica ‘colpa di Mattia.’ Tanto deve perdere comunque.”
ON. SALTINI MATTIA [pausa]: “Mi hai convinto. Avanti così. Ma senti…”
BERNASCONI SILVANO: “Si?”
ON. SALTINI MATTIA: “E se vincesse? Non si sa mai.”
BERNASCONI SILVANO: “Impossibile. Ma ammesso e non concesso, dov’è il problema?”
ON. SALTINI MATTIA: “Scusa, non capisco.”
BERNASCONI SILVANO: “Dov’è il problema se vince Bertolini? Se vince Bertolini è una grande vittoria del popolo di centrodestra, la parte sana della nazione. Poi Bertolini lo sfracellano di processi, accumula una figura di emme dopo l’altra, Roma continua a fare schifo, e di chi è la colpa?”
ON. SALTINI MATTIA: “Di Bertolini che ha tradito il popolo di centrodestra, la parte sana della nazione…”
BERNASCONI SILVANO. “…e di Roma, Mattia, non ti scordare Roma: l’eterna, incorreggibile, cinica Roma, la Roma papalina, la Roma…”
ON. SALTINI MATTIA: “…ladrona, sì.”
BERNASCONI SILVANO. “Eh?”
ON. SALTINI MATTIA: “Mecojoni…”
[ridono]




Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.o  Osvaldo Spengler



(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...






domenica 21 febbraio 2016

Il coccodrillo di Mario Bernardi Guardi
Camerata Umberto Eco:  Presente!
Fascista Eco

Nel  suo coccodrillo  uscito su  “il Tempo” (*),  Mario Bernardi Guardi circumnaviga l’Eco-Pensiero, scrivendo cose di destra,  piuttosto banali:  Eco genio e  conformismo,  Eco che tira il sasso e nasconde la mano, Eco rivoluzionario da  scrivania, Eco organico ai padroni del pensiero. Se non che, nella chiusa,  si rimangia tutto per arruolarlo  tra i fascisti per caso…

 Eco non è mai riuscito a sottrarsi alla fascinazione dei valori e dell'"immaginario" che si sforzava di demolire. Si leggano (o si rileggano) con pazienza "Il nome della rosa", "Il pendolo di Foucault", "Il cimitero di Praga". Bene, "da che parte " sta Eco? Ci crede o non ci crede agli Inquisitori, ai Templari, al Graal, agli esoterici camminamenti, ai complotti, alle congiure, ai Protocolli dei Savi Anziani e al dominio mondiale dei Superiori più o meno Sconosciuti? O finge di smascherarli per meglio mascherare la misteriosa "eco" di una mai obliata idea del mondo e della vita?


Insomma,  camerata  Umberto Eco: Presente! 
Così scrivendo però  - sul gioco finale  di parole meglio stendere un velo pietoso -  Bernardi Guardi commette due gravi errori. 
In primo luogo,  imputa a Eco  dubbi che non ha mai nutrito. Inutile tornare sulla sua teoria del Ur-Fascismo, come riflesso atavico di ogni mascellone italiano, da Mussolini a Berlusconi.  Ma quale fascista per caso… Cerchiamo di essere seri.
In secondo luogo, in questo modo si  finisce per dare  ragione proprio al teorico del Ur-Fascismo ( tesi però in qualche misura  di Furio Jesi, del quale Eco è debitore, forse irriconoscente). Perché? Si dà per scontato che la cultura di destra sia soltanto un mix di complottismo, fantasy gotica e, cosa peggiore, antisemitismo. Facendo il gioco dell'avversario in chiave di labelling theory. Tradotto dal sociologhese:  ci si convince che si è proprio  come ci immagina l'avversario. E ci si comporta di conseguenza.    
Si dirà, ma che importa  delle questioni di filologia neofascista. Tanto, come si dice a Roma, ammazza, ammazza è tutta una razza...  Non è del tutto vero.  Giano Accame, uomo coltissimo, che non era un fascista per caso, sosteneva che le radici del fascismo fossero addirittura nel pensiero socialista dell’Ottocento, ad esempio Pisacane e dintorni. Tesi, non ortodossa, tuttavia da discutere. Ma che c’entra Umberto Eco?

Carlo Gambescia       
     


sabato 20 febbraio 2016

La scomparsa di Umberto Eco
In morte di una star...



La fama internazionale di Umberto Eco, scomparso ieri, è un dato inconfutabile.  Negli Stati Uniti era  più noto di Vico.  Ma era apprezzato ovunque: in Francia, Spagna, Gran Bretagna.  Adorato dai tedeschi. Tradotto ovunque, anche in Sudamerica, Cina, Giappone, India.  E non solo il romanziere, anche il semiologo.
Insomma, una star…  E qui, finalmente, veniamo al sodo: una star con tutti i pregi e difetti dello star system letterario internazionale. 
Ovviamente, si poteva ( e si può) gioire, gonfiando il  petto, del successo italiano: certo, fama per l’Italia che però Eco regolarmente denigrava, nonché   soldi per lui,  soldi per gli editori.  E regolare celebrazione di tutto ciò che scrivesse,  come capita ai registi italiani quando vincono un Oscar.  Il meccanismo è lo stesso: vale per Benigni come per  Eco.
Sul romanziere non ci pronunciamo. Prolisso o profondo? La parola ai posteri, quando gli Oscar saranno dimenticati.
Sull’ intellettuale pubblico due cosette vanno ricordate.
Quando c’era da contrastare il comunismo sovietico (e internazionale) che usava i carri armati, Eco difese il  terrorismo rosso. Interno. Chiedere agli eredi del commissario Calabresi e alle vittime del brigatismo.
Contro Berlusconi e variopinti alleati  scatenò, indossando il cipiglio del professore,  il mitema dell' Ur-Fascismo. Una barzelletta semiologica. Bastò invece - la storia insegna -  un plotone scelto di magistrati ed escort.
Negli ultimi anni Eco  aveva diradato gli interventi pubblici, a parte qualche sussulto da bizzoso professore in pensione che rimprovera la badante Italia.  Diciamo, semplificando,  che da Marx era passato a Monti.  Quando si dice la  coerenza.
A proposito, ultimamente, non gli piaceva Renzi.

Carlo Gambescia 

                 

venerdì 19 febbraio 2016

Papa Francesco  e la “coscienza ben formata”
 Un Papa liberale o liberal?







In tutta franchezza,  non si sa cosa pensare di Papa Francesco. Politicamente, diciamo.  Anche perché ogni volta che torna  in volo,  forse sarà l’altezza,  ma si lascia andare, del tutto  (*).  Sicché, la confusione, tra i fedeli,   al ritorno sembra  aumentare.
Ad esempio,  Francesco detesta Donald Trump... Il che, per dirla, con Gaber,  è di sinistra.

"Una persona che pensa di fare i muri, chiunque sia, e non fare ponti,non è cristiano. Questo non è nel Vangelo"

Su aborto e uso dei concezionali, si arrampica sugli specchi, in puro stile gesuitico. Per ora senza mitragliatrice... Ma anche qui strizza l'occhio ai compagnucci della parrocchietta.

“Sul male minore, evitare la gravidanza, parliamo in termini di conflitti tra il quinto e il sesto comandamento. Paolo VI, il grande, in una situazione difficile in Africa, ha permesso alle suore di usare gli anticoncezionali nei casi di violenza". (…) Non si deve confondere il male per evitare la gravidanza, da solo, con l'aborto. L'aborto  non è un problema ideologico, è un problema umano, un problema medico, si uccide una persona per salvarne un'altra, nel migliore dei casi, o per passarla bene. Contro il giuramento ippocratico, è un male in se stesso, ma non è un male religioso all'inizio, è un male umano (…). Invece evitare la gravidanza non è un male assoluto (…), in certi casi, come questo del virus Zika, o come quello che ho nominato, il beato Paolo VI, era chiaro”.

Il Papa cita due volte Paolo VI.  E  anche questo, per dirla sempre con Gaber, è di sinistra. Insomma, certe affermazioni  non possono lasciare indifferente il progressista medio. Come del resto, quanto Francesco dichiara a proposito delle unioni civili. Che piacerebbe anche al liberale.

"Io non so come stanno le cose nel Parlamento italiano. Il Papa non si immischia nella politica italiana(…).  Nella prima riunione che io ho avuto con i vescovi nel maggio del '13 una delle cose che ho detto: col governo arrangiatevi voi (…). Perché il Papa è per tutti e non può mettersi in politica, concreta interna di un paese. Questo non è il ruolo del Papa. E quello che penso io è quello che pensa la Chiesa e han detto in tanti perché questo non è il primo Paese che fa questa esperienza, ce ne sono tanti".

La controindicazione è che certe dichiarazioni rischiano, inevitabilmente,  di scatenare l' ira dei cattolici  di destra e dei tradizionalisti.   Soprattutto gli  ultimi vorrebbero che il Papa  sfoderasse  la spada contro i senza-Dio…  Altro che “io non mi immischio”…    Dopo di che però, Francesco vira a destra. 

"Mi ricordo  quando è stato votato il matrimonio dello stesso sesso a Buenos Aires. Erano lì con i voti pareggiati, e in una discussione uno ha consigliato all'altro 'mah, andiamo a votare: se ce ne andiamo non abbiamo il quorum'. E l'altro: 'ma se diamo il quorum diamo il voto a Kirchner'. E il primo: 'mah, preferisco darlo a Kirchner che non a Bergoglio". E avanti! Questa non è coscienza ben formata".

Quindi?   


“Il parlamentare cattolico deve votare secondo la sua coscienza ben formata, questo direi soltanto. Credo che sia sufficiente, dico ben formata". 

Sarebbe? 

"Sulle persone dello stesso sesso  ripeto quello che è catechismo della Chiesa Cattolica".



Il  giro è finito, ma si potrebbe dire anche il volo (pindarico?).  Francesco è tornato a casa, parla di Catechismo della Chiesa Cattolica.   Però, dopo aver scontentato tutti: destra sinistra, centro. Mah... Che sia questo,  essere un Papa liberale? O liberal? Perché, tra i due termini, c'è una bella differenza...

Carlo Gambescia        


giovedì 18 febbraio 2016

In margine all'intervista concessa da  Antonio Caracciolo a Giovanna Canzano
M5S?
Giacobini, solo Giacobini…




Ebbene sì, non  credo nell' evoluzione democratica del M5S. A mio avviso si tratta di una specie di malato terminale,  pieno zeppo di metastasi anti-liberali. Giacobini famelici adoratori della ghigliottina. Un partito  irrecuperabile alla liberal-democrazia.  E dunque pericoloso.
Le mie sono parole molto dure. La metafora ippocratica, forse ripugnante. Parole, insomma, che possono ferire. Ma così stanno le cose. Del resto, oltre a una certa esperienza di vita, ho sulle spalle troppi libri,  studi e  letture sociologiche  per cambiare idea su un partito che celebra tanto la libertà  per poi inevitabilmente avvilirla,  se non cancellarla,  al suo interno. 
Inevitabilmente. Sì proprio così. Un passo indietro. Perché il M5S dovrebbe essere “diverso”? In fondo, siamo davanti a una regolarità o costante della politica, studiata a fondo da Roberto Michels, più di cento anni fa: il controllo dei pochi sui molti è implicito nella natura organizzativa dei fenomeni politici. Dove c’è organizzazione, c’è una élite che  presiede all’ organizzazione, e che quindi  finisce sempre per differenziarsi, per stile, abitudini, qualità. E predominare.
Eliminare  alla radice qualsiasi forma di organizzazione politica, come propugnano gli anarchici (le cui critiche però non sono mai banali), è perciò impossibile, se non regredendo al povero livello  di una società di cacciatori-pescatori-raccoglitori (ma anche lì  nascerebbero capi naturali, come è nel normale ordine delle cose sociologiche,  e via da capo…).
Pertanto  quale può essere la soluzione? Fare buon viso a cattivo gioco, tentando di controllare  i controllori.  Dove possibile però.  
Il che spiega l’accenno -   nell’interessante intervista concessa a Giovanna Canzano (si veda sotto) - dell’amico Antonio Caracciolo,  buon filosofo del diritto,  ai “problemi organizzativi” del M5S.  E di qui alla necessità di  una maggiore  tutela, sul piano organizzativo appunto,  della libertà di espressione e  candidatura.
Come Antonio sa,  forse meglio di me, il liberalismo moderno - semplificando al massimo-  non è altro che una forma di autodifesa dell’individuo dallo strapotere organizzativo in primis dello stato,  puntando su un sistema di controlli e tutele regolato dalle leggi.  Ovviamente, il liberalismo propugna e  favorisce anche  l’autodifesa all’interno di ogni tipo di organizzazione, quindi anche dei  partiti.
Ora, apprezzo molto - e per certi versi ammiro - la dedizione politica dell'amico Antonio,  ma nel  M5S scorgo  un nemico, direi assoluto,  del  liberalismo.  Penso a  un movimento che si appella a un’idea di democrazia maggioritaria a sfondo tirannico.  Cito qui,  solo il  mantra  del 51 per cento… Come se opposizioni e minoranze potessero sparire di colpo,  una volta conquistato il potere... Un’idea pericolosa,  dietro la quale, come dicevamo,  non può non nascondersi, come in tutte le organizzazione politiche ( a prescindere dal regime),  una élite dirigente che impone le sue idee: idee, ripeto, che non sono sicuramente liberali.  Quindi abbiamo  due mali in uno:  quello  naturale  di tutte le organizzazioni, una élite che  comanda e decide per tutti; quello artificiale (per così dire) della professione di un’idea  totalitaria di democrazia.   
Converrà l’amico Antonio che parlare dell’importanza di un  sistema di tutele di natura liberale a una minoranza che controlla in modo ferreo un partito, come il M5S  e che  per giunta  crede, altrettanto fermamente,  nella  visione giacobina della democrazia,  sia impresa sicuramente improba se non impossibile.
E non mi si dica, che il Paese ha bisogno di questo.  Perché si tratta della classica  fallacia argomentativa di composizione, dove si scambia la pars (M5S)  pro  toto (il popolo italiano)…
Molto apprezzata dai dittatori di ogni tempo.

  Carlo Gambescia  




      

mercoledì 17 febbraio 2016

Il M5S lo ha sospeso dalle "comunarie"

In difesa di Antonio Caracciolo



Leggo che l’amico Antonio Caracciolo, un uomo mite e studioso,  che conosco da anni e che mi onora della sua amicizia,  ha ricevuto  dal  M5S:

«una comunicazione ufficiale di sospensione dalla competizione interna per le candidature pentastellate al Comune di Roma. Il motivo - viene spiegato - è "il principio secondo cui la libertà di espressione è imprescindibile ma è altrettanto inderogabile la memoria di una delle pagine più buie e drammatiche della storia dell'umanità: l'Olocausto". »  (*)


Ora, Antonio Caracciolo, oltre ad essere stato  reintegrato -  per fatti che risalgono al 2009 -   nel suo ruolo di professore dell’Università di Roma, perché  prosciolto con formula  piena per l’insussistenza del fatto e del diritto, come si legge  anche sul “Corriere della Sera” (**),  è persona che esercita l’arte del ragionamento  nella sua  forma più alta e libera.  Uno studioso puro. Perciò,  questa sì,  la sua condanna:  rischiare,  sempre,  di essere incompreso o travisato dagli imbecilli.  Ai quali, adesso, aggiungiamo i pentastellati.  
Della cui imbecillità  ho discusso questa mattina (Max Weber docet ***).



Carlo Gambescia        



Unioni civili e stepchild adoption: M5S boccia  maxi-emendamento
Il "canguro" secondo Max Weber



Agli  studenti che  chiedevano  quali fossero i  doveri politici  di un scienziato, Max Weber, rispose con due conferenze poi diventate un celebre libro (*).  Si era allora  nei febbrili anni che avrebbero condotto alla Repubblica di Weimar.  Secondo Weber,  lo scienziato poteva solo  indicare cosa fosse coerente -  dal punto di vista dell’azione politica -  con determinate premesse ideologiche.  Semplificando:  se si era di  destra si dovevano dire e  fare cose di destra, se di sinistra cose di sinistra. Le due cose insieme non si potevano fare.  Una verità  sacrosanta  che i politici, ancora oggi, si ostinano a  ignorare, deludendo, regolarmente, gli elettori.
Si pensi all’ ultima  battaglia parlamentare: quella a proposito  del "canguro".  Renzi sta facendo una cosa di sinistra: sulle unioni civili e stepchild adoption  vuole raggiungere lo scopo, modernizzare il Paese, naturalmente,  secondo una certa idea dell’Italia, di sinistra ( che può piacere o meno, ma questa è un’altra storia…).  
Ora,  se i pentastellati, fossero veramente di sinistra, come dichiarano, il loro primo scopo dovrebbe essere quello di approvare una legge che va in direzione del progresso (certo, ripetiamo, dal punto di vista della sinistra eccetera…). E invece no: in nome di una paralizzante  visione virtuista della democrazia  hanno voltato le spalle al "canguro", perdendo un’altra occasione d’oro per  modernizzare l’Italia  (ovviamente, sempre secondo una visione di sinistra…). Naturalmente, le beghine dell' "ognuno vale uno"  a domanda risponderebbero -  eludendo il principio di coerenza weberiano -   che la democrazia non è di destra né di sinistra, in quanto valore  supremo eccetera, eccetera. E che quando andranno al potere, con il 51 per cento eccetera, eccetera. In realtà, se M5S  continuerà su questa strada, il potere lo vedrà con il cannocchiale...     
E Weber come replicherebbe?  Che,  in fondo,  i grillini  non  sono  di sinistra né di destra, ma più semplicemente  degli imbecilli politici.

Carlo Gambescia

(*) Max Weber, La scienza come professione; La politica come professione, Mondadori 2006.