venerdì 29 marzo 2013



Ignoto, La Madre di Gesù ai piedi della croce (1512), chiesa di sant’Andrea, Colonia - Germania  (foto Bonotto)

mercoledì 27 marzo 2013

Per i politologi il M5S è una vera  manna.  Per quale ragione?  Perché offre la  possibilità di studiare  in corpore vili   il processo di istituzionalizzazione,  ossia il  processo di    trasformazione di un movimento politico  in partito.  Ovviamente.   Grillo, nonostante la "parlamentarizzazione" di  Cinquestelle,   continua  a   negare  perfino la   possibilità di una dinamica  del genere ("Noi non diverremo mai  un partito come tutti gli altri, eccetera, eccetera"),  mostrando  così  un' ignoranza abissale  nei riguardi dei processi sociali.   Dal momento  che, "in natura sociale"  un movimento o  si   istituzionalizza, come sta accadendo anche per  Cinquestelle,  o  rischia di sparire. Tertium non datur.   E l'amico Teodoro nell'ottimo articolo di oggi ci spiega  perché. Buona lettura. (C.G.)    

Chi di mouse ferisce, di mouse perisce
di Teodoro Klitsche de la Grange





Tornando al “Movimento 5 stelle” e alla sua natura sostanziale di partito politico, ci si trova, data la modestia di documentazione (statuti; programmi; proclami) in ovvia difficoltà: quello di Grillo è un partito (apparentemente) liquido, tutto l’opposto dei partiti-milizia e/o d’apparato del XX secolo, uno dei quali (quello comunista sovietico) fu da Stalin paragonato all’ “Ordine dei portaspada”. Tuttavia qualche considerazione legata alla scarsa documentazione specifica disponibile e alle notizie di stampa pare possibile farla, salvo aggiustamenti all’esito d’informazioni più complete ed attendibili.
Il partito politico democratico del XX secolo aveva due funzioni principali: quella di trasmettere la domanda politica dalla base al vertice, facendo conoscere a questo aspirazioni, bisogni, necessità della popolazione; e l’altra di partecipazione all’attività politica sia “esterna” (al partito) come elezioni, referendum e così via, sia interna (assemblee e comitati, nomina dei dirigenti, elezioni degli organi, dibattiti). Ambedue queste funzioni principali hanno (soprattutto) funzione integratrice, come già notato (vedi il nostro articolo del 20/03/2013:http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2013/03/nel-ringraziare-lamico-teodoro.html ). È chiaro che non esauriscono le attività e i compiti del partito, ma ne sono le principali.
Dalla documentazione disponibile del Movimento 5 Stelle è dato di capire che:
a) il Movimento 5 Stelle “va a costituire, nell’ambito del blog stesso, lo strumento di consultazione per l’individuazione, selezione e scelta di quanti potranno essere candidati a promuovere le campagne di sensibilizzazione sociale, culturale e politica promossa da Beppe Grillo… organizzandosi e strutturandosi attraverso la rete Internet cui viene riconosciuto un ruolo centrale nella fase di adesione” (v. “non-statuto” art. 4); subito dopo vi si legge “Il Movimento 5 Stelle… vuole essere testimone della possibilità di realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità degli utenti della Rete il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi”. Ovviamente è ribadito che non vuole essere un partito.
b) Quanto alla selezione dei candidati all’art. 7 del “non-statuto” si legge che il Movimento “costituirà il centro di raccolta delle candidature ed il veicolo di selezione e scelta dei soggetti che saranno di volta in volta e per iscritto, autorizzati all’uso del nome e del marchio nell’ambito della propria partecipazione a ciascuna consultazione elettorale. Tali candidati saranno scelti fra i cittadini italiani” . Non è indicata la cosa più importante: chi li sceglie? Il potere è sempre personale dato che si concreta in una decisione umana, e sarebbe interessante sapere a chi spetta. Né sono indicate le regole che il /i “decisore/i” dovrà applicare. Infatti si legge: “Le regole relative al procedimento di candidatura e designazione a consultazioni elettorali nazionali o locali potranno essere meglio determinate (da chi?) in funzione della tipologia di consultazione ed in ragione dell’esperienza che verrà maturata nel tempo”.
c) Quello che è chiaro sia nel “non-Statuto”, sia nello “Statuto” (da poco “scoperto” e diffuso) è che la “partecipazione” alle scelte dell’ignoto decisore avverrebbe tramite internet. È un fatto non solo espresso, ma anche rivendicato.
d) Non si parla di organi, comitati, direttivi, assemblee, sezioni, ecc. ecc.
e) Infine è chiarissimo che proprietario del simbolo-contrassegno del Movimento è Grillo (che ne è l’unico titolare).
A questo punto e tenuto conto di quanto sopra scritto occorre fare qualche considerazione:
1) Che internet sia uno strumento di discussione (e mobilitazione) efficace è fuori dubbio: ma ogni gruppo politico è costituito ed esistente non (solo) per discutere, ma ancor più per decidere. E i due momenti sono essenziali (anzi ci si passi la reminiscenza orwelliana, il secondo è più essenziale del primo). Onde tanto discutere se non porta a una decisione è inutile; se invece porta ad una decisione è una pura collaborazione a chi (?) decide, il quale poi lo farà, da parte sua, non si sa se tenendo conto del numero delle teste, del peso delle medesime, della qualità delle opinioni ecc. ecc.
2) La discussione politica, che si svolga in un’assemblea popolare (l’ecclesia greca o i comizi romani), in un organo legislativo (come i parlamenti degli stati moderni), o anche in un’assemblea o un comitato di partito, e comunque presuppone la presenza di una collettività adunata, la cui decisione si forma nella discussione; ma, attraverso il web la presenza non si può avere e quindi è carente l’elemento della pubblicità.Tenuto conto che le consultazioni via internet si svolgono davanti al computer in casa propria o in ufficio privatim il loro “procedimento” ed esito somiglia assai di più a un sondaggio d’opinione, raccolto caso per caso come quello fatto dagli appositi istituti, che ad una discussione politica.
3) Ancor di più: nella discussione politica chi discute decide anche. Questa stretta connessione tra discussione e decisione è costantemente osservabile in ogni “luogo” di decisione politica. Costituisce una curiosa eccezione che nella Costituzione (napoleonica) dell’anno VIII, il potere legislativo fu affidato a due camere: il Tribunato che discuteva i progetti di legge, senza deciderli; il Corpo legislativo che decideva senza discutere. La stranezza di tale configurazione, in particolare del Corpo Legislativo, indusse a dire ironicamente che Napoleone aveva creato una camera muta. In effetti il tutto non era bizzarro e tantomeno casuale: era appositamente voluto perché la Costituzione riservava il reale potere di decisione al Primo console, cioè a Bonaparte al quale una camera a poteri completi avrebbe creato ostacoli.
Smend e Duverger sostengono che il potere organizzato nello stato (ma anche in altri tipi di collettività) prevede norme e procedure aventi funzione integrativa. Ma queste risulta che, nel M5Ssi riducano ad una sola; tutti possono “discutere” (cioè servirsi privatim del computer), ma decide un altro, cioè Grillo, il che provoca un’integrazione debole (meglio che inesistente) . A fare un esempio la regola di maggioranza, è non solo una forma di razionalizzazione della forza, ma per quanto qui interessa, ha una grande capacità integrativa dato che “salda” la volontà del capo/i a quella del seguito, attraverso la corrispondenza (e la misura) dell’una con altra.
Solo che la regola maggioritaria nel “non-Statuto” (né, che si sappia, altrove) non è prescritta. Quanto “costa” in termini di incidenza politica, di “prassi” efficace, di capacità riformatrice e, soprattutto, di durata, non averla prevista?
In realtà, e per non uscire dai limiti del presente articolo, Maurice Hauriou, che oltre ad acuto giurista era anche sociologo, osservava che nello Stato ad ogni governo di fatto (di durata breve) segue un governo di diritto , cioè l’istituzionalizzazione, e che la ragione d’essere dell’esercizio del potere in forma istituzionale è di garantire una lunga durata al “progetto” di esistenza e governo della comunità (non foss’altro perché l’istituzione non muore). Considerazioni che si applicano, con i dovuti cambiamenti, ad ogni gruppo sociale duraturo. Per durare l’istituzionalizzazione, cioè in primo luogo la previsione e regolamentazione di organi, competenze, rapporti di subordinazione e coordinazione, regole, procedure, è indispensabile. Prima o poi (sempre nel termine breve) anche il M5S si dovrà organizzare (nel senso cennato), se vuole durare.
E se non lo fa? Allora le conseguenze più probabili sono: o conquista il potere in poco tempo (e con ciò, inevitabilmente si istituzionalizza). Ma, anche se il regime politico italiano è debole e in avanzata decadenza, non è detto che ciò possa avvenire, atteso anche il carattere “liquido” del M5S e i limiti d’efficacia che ciò comporta, se i militanti non portano le spade ma smanettano con i mice. L’altra è che, invece, si riveli un fuoco di paglia destinato ad essere smembrato e sparire. Un “Uomo qualunque” nell’epoca di internet. Stiamo a vedere.

Teodoro Klitsche de la Grange

Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009)

martedì 26 marzo 2013

Angoscia e politica




Il tema  della gestione politica dell’angoscia sociale è   discusso  da numerosi studiosi. Qui ricordiamo solo i nomi di Hannah Arendt, Franz Neumann, Harold D. Lasswell,  Sheldon S. Wolin, Ernst Nolte.
Qual è l’influenza dell’ angoscia collettiva - quale timore diffuso di un declassamento  sociale -  sulla decisione politica? Quali sistemi politici sono meglio ( o peggio)  attrezzati per contrastarla (o favorirla)?
Come si vede sono questioni di non facile soluzione,  dal momento che non esistono sistemi  politici perfetti, né l’uomo ha mai mostrato di essere storicamente e sociologicamente libero, come dire, da “turbe” psico-sociali. Infatti, per un verso,   la libertà è avvertita come  un peso, perché implica l’assunzione di un rischio per la sicurezza individuale  che non tutti gli uomini sono disposti a condividere; per l'altro,  anche la mancanza di libertà, pur in presenza di una condizione diffusa  di  sicurezza sociale,  non sempre viene tollerata da tutti.  L'uomo, insomma,  è una specie di complicato volatile dalle ali  talvolta  troppo pesanti.  

Si tratta perciò di   un problema di massimo e di minimo: all’interno di un sistema politico e sociale quanta libertà può essere tollerata? Quanta insicurezza può essere accettata? Ciascuno risponderà secondo la propria visione ideologica e istituzionale. Fatta salva,  come alcuni sostengono,  la pura constatazione de facto che le società, per autoconservarsi, oltre una certa soglia  minima  di libertà e sicurezza non possono scendere. Diciamo che,  ipoteticamente, da un lato abbiamo la società-carcere dove tutti i cittadini sono schedati e controllati, dall’altro la società-morente, dove cittadini, pur liberissimi, muoiono per inedia perché incapaci di procurarsi liberamente le risorse necessarie al sostentamento fisico. Mentre,  nel mezzo,  vanno  collocate le diverse esperienze storiche e sociologiche. Dalla cui conoscenza ci si potrebbe fare un’idea di quanto anche le stesse  idee di  massimo e minimo sociale e politico siano   relative. E così  valutare con  equanimità  il proprio tempo.  Purtroppo (ecco perché abbiamo usato il condizionale),  le cose vanno in modo diverso:  gli uomini reali  al capire preferiscono il  credere.  Di qui, al contempo,  lo sviluppo dell' angoscia  collettiva  e  del  tentativo politico di contrastarla… 

Carlo Gambescia

lunedì 25 marzo 2013




Gentile donna Mestizia,
in quest’ora difficile per le nostre Forze Armate, baluardo della Nazione, facendo appello al Suo patriottismo e al Suo senso dello Stato La prego di pubblicare il mio comunicato urgente.


A nome ed insieme a tutto il personale delle Forze Armate, ci stringiamo affettuosamente ai nostri Fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ammirandone l’esempio, il coraggio, la disciplina e il senso dello Stato. Sono consapevole e condivido la loro sofferenza e soprattutto quella delle loro famiglie che da noi non saranno mai abbandonate, oggi così come dopo la conclusione di questa vicenda. Auspico che questa vicenda che sta sempre più assumendo i toni di una farsa si concluda quanto prima e che i nostri Fucilieri, funzionari dello Stato in servizio di stato, alla stessa stregua di tutti i militari che operano all’estero con onore per la pace e stabilità internazionali siano al più presto riconsegnati alla giurisdizione italiana. Il presente comunicato è partecipato anche al Presidente del Cocer Interforze, Generale Perelli Cottarelli.
Firmato: il Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio Luigi Vispelli Tereselli.


Aggiungo a titolo personale che, turbati e scossi nel profondo da questa vicenda, il Generale Perelli Cottarelli ed io ci siamo consultati e, dopo matura riflessione, pur consapevoli delle serie ripercussioni del nostro gesto, abbiamo concordemente e irrevocabilmente deciso di rinunciare al dessert già inserito dalle nostre rispettive signore nel menu del pranzo pasquale p.v., che da lunga pezza avevamo stabilito di consumare insieme in località coperta da segreto militare. La prego di segnalare ai Suoi lettori che il dessert in oggetto è una “pastiera napoletana”, dolce tipico che richiede una elaboratissima preparazione, ad approntare il quale le nostre Signore, con il valido ausilio dei nostri attendenti, impiegheranno ore ed ore ed ore di indefesso lavoro: e che tanto il Generale Perelli Cottarelli quanto io ne siamo, sin dall’infanzia, estremamente ghiotti.
RingraziandoLa per l’ospitalità, La saluto cordialmente. Viva l’Italia! 
Amm. Luigi Vispelli Tereselli

Signor Ammiraglio,
non potevo attendermi di meno dalle tradizioni della nostra Marina e dal senso dell’onore delle nostre FFAA. Il gesto Suo e del Generale Perelli Cottarelli, al quale La prego di trasmettere questa mia, m’ha richiamato alla memoria il gesto compiuto da un altro ufficiale di Marina, ormai settant’anni fa. In risposta alla Sua preg.ma, riporto la lettera di quell’ufficiale, a testimonianza che i tempi cambiano, l’onore no.

Mamma carissima,
quando riceverai questa mia lettera saranno successi dei fatti gravissimi che ti addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile.
Non pensare che io abbia commesso quello che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al dolore che ti procuro.
Tu conosci cosa succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato.
Da questa constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un disgusto per chi ci circonda e, quello che più conta, un profondo disprezzo per me stesso.
Da mesi, mamma, rimugino su questi fatti e non riesco a trovare una via d'uscita, uno scopo nella mia vita.
Da mesi penso ai miei marinai del Tazzoli che sono onorevolmente in fondo al mare e penso che il mio posto è con loro.
Spero, mamma, che mi capirai e che anche nell'immenso dolore che ti darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai capire la nobiltà dei motivi che mi hanno guidato.
Tu credi in Dio, ma se c'è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell'ora.
Per questo, mamma, credo che ci rivedremo un giorno.
Abbraccia papà e le sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato.
In questo momento mi sento vicino a tutti voi e sono sicuro che non mi condannerete.
Carlo*

_________
(*) All’armistizio del 1943 il capitano di corvetta Carlo Fecia di Cossato, medaglia d’oro al V.M., per non violare il giuramento al Re aveva obbedito all'ordine di consegnare la flotta al nemico; e pur ripugnandogli l'idea del cambio di campo, al comando dell'Aliseo non aveva esitato ad attaccare l'alleato del giorno prima, per poi trovarsi a fronteggiare il governo Bonomi che rifiutava di giurare fedeltà al Re. Disobbedì all’ordine di uscire in mare. Fu messo agli arresti in fortezza, poi liberato e posto in congedo per tre mesi, nella speranza che mettesse la testa a partito. Non potendo raggiungere la famiglia al Nord, si trasferì a Napoli, ospite di un amico, rifiutando gli incarichi di comando che gli venivano offerti dagli Alleati. Invano tentò di avere un colloquio con il luogotenente del Regno Umberto di Savoia per spiegargli i motivi della sua insubordinazione. All'avvicinarsi della fine del congedo, il 21 agosto 1944 scrisse questa lettera testamento indirizzata alla madre e il 27 agosto si uccise a Napoli, sparandosi un colpo di pistola alla tempia.





Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

sabato 23 marzo 2013























La realtà è servita

Tuffi nel vuoto
cadute nei precipizi.
Eppure si cerca
un barlume della città di Dio
in questa cecità
che annebbia i luoghi.
Adesso si collezionano 
piccoli compendi di sconfitte
la realtà è servita
dal catalogo delle dissonanze.

Il nostro tempo vive
un trapasso di civiltà.

                     Nicola Vacca


Nicola Vacca è nato a Gioia del Colle e vive a Salerno. È scrittore, opinionista, critico letterario, collabora alle pagine culturali di quotidiani e riviste. Svolge, inoltre, un’intensa attività di operatore culturale. Ha pubblicato numerosi libri di poesia, tra i quali ricordiamo, Civiltà delle anime (Book) , Incursioni nell’apparenza ( Manni), Esperienza degli affanni e Almeno un grammo di salvezza (Edizioni Il Foglio) .

venerdì 22 marzo 2013

 In cerca di un nemico
Grillo, Bersani, Berlusconi, Monti e Carl Schmitt




Sulla retromarcia del Governo a proposito del ritorno dei marò in India è inutile qualsiasi commento. Perché sarebbe come sparare sull’ambulanza della Croce Rossa…  Quel che invece  ci preoccupa  veramente    in questi i giorni -  e il lettore se ne sarà accorto - è   la questione   della  nascita  del nuovo governo. La cui soluzione richiederebbe un senso di responsabilità morale che sembra invece latitare in tutte le forze politiche. Berlusconi, teme, per non finire in prigione, di fare un passo indietro. La Lega, sorniona,  preferisce rimanere alla finestra. Bersani, sostenuto da Vendola,  si ostina nell’inseguire un interlocutore politico - il M5s - che di alleanze non ne vuole assolutamente sapere. Grillo (e Casaleggio) giocano al tanto peggio tanto meglio. Infine,  su Lista Civica, puro e semplice cartello di interessi elettorali, neppure facilmente governabili, è meglio stendere il classico velo pietoso.
Tuttavia, dal punto vista strettamente politico ( e non morale),  così ben   teorizzato a suo tempo  da Carl Schmitt,  va fatta un’osservazione dirimente:  mentre Grillo ha individuato perfettamente il "nemico" e tiene il suo partito in pugno, le altre forze politiche sono divise  proprio sul nome dell'avversario principale. In pratica,  girano a vuoto intorno al castello di carta dei veti  incrociati.
Perciò il M5s, per dirla in gergo sportivo,  mostra di possedere una marcia in più. E buone possibilità, in caso di elezioni "anticipatissime",  di accrescere i consensi.  Soprattutto se non verrà cambiata le legge elettorale in senso maggioritario a doppio turno (come alcuni consigliano).  Quindi andare  al voto   con il  porcellum  sarebbe un suicidio per tutti i partiti,  ma non per quello di  Grillo.

Che poi il plusvalore politico di Cinquestelle possa favorire la soluzione dei problemi italiani è pura questione di opinione politica. E perciò, come si scriveva ieri, di calici giudicati per metà pieni o vuoti.

Carlo Gambescia

giovedì 21 marzo 2013

Il libro della settimana: Piergiorgio Corbetta e Elisabetta Gualmini ( a cura di),Il partito di Grillo , il Mulino 2013, pp. 240, Euro 16,00.



 www.mulino.it


Nelle prossime ore Grillo salirà al Quirinale. Secondo voci giornalistiche, il comico sembra pronto a rivendicare un monocolore Cinquestelle…
Fantapolitica? No realpolitik...   Con i suoi otto milioni (e passa) di voti, il M5s è una forza decisiva del sistema politico italiano. Se poi contribuirà a rinnovarlo o distruggerlo è tutt’altra questione. Infatti, c’è chi associa il movimento di Grillo al fascismo delle origini; chi parla di neopaganesimo di massa; chi di qualunquismoon line, chi vi scorge il prolungamento della politica spettacolo berlusconiana; chi, per contro, lo eleva addirittura ad agente storico della prima e vera rivoluzione italiana.  
Sono, ovviamente, tentativi di definizione politica, viziati dalla necessità di bocciare (molti) o promuovere (pochi) un avversario fattosi decisamente pericoloso. E che  per lo studioso lasciano il tempo che trovano. Perciò, se si vuole capire il reale significato del ciclone Grillo, è necessario fare un salto di qualità. Un'ottima guida di taglio politologico, del tipo senza ira né pregiudizi, è rappresentata dal  notevole volume curato da Piergiorgio Corbetta e Elisabetta Gualmini, Il partito di Grillo (il Mulino), docenti universitari e animatori dell’Istituto Cattaneo ( il primo  né è stato più volte direttore, la seconda  ne  è  l'attuale presidente).
Lo studio,  sicuramente pionieristico ma di alto livello,   disseziona in cinque essenziali capitoli  quello che Elisabetta Gualmini definisce acutamente il «web populismo» del comico genovese. Il lavoro è basato su una solidissima letteratura politologica (basta scorrere la ghiotta bibliografia) e sul  saggio uso empirico del sondaggio e dell’intervista mirata.  Temporalmente, Il partito di Grillo si ferma alle soglie delle elezioni di febbraio. Prima, insomma, della grande vittoria.
Il populismo italiano di Grillo viene distinto teoricamente da quello moralistico di Antonio di Pietro, dal populismo padronale di Berlusconi e da quello «terrigno e secessionista» della Lega. Anche se si tratta pur sempre di populismo. E pertanto, ci permettiamo di aggiungere, di un nemico - il che francamente  inquieta - della pur necessaria (insieme alla decisione) mediazione politica di stampo liberale.
Il primo capitolo (“Dalla Tv ai palasport, dal blog al Movimento” di Rinaldo Vignati) è un’autentica sociologia di Beppe Grillo. Detto altrimenti: il dato biografico rinvia, e  sempre acutamente,  alla connotazione sociologica. Quel che colpisce della ricostruzione, per un verso sono le notevoli capacità politiche del “personaggio” ( di autorappresentarsi, di aggregare, di individuare nemici, di scegliere i punti deboli dell’avversario); per l’altro l’assoluto vuoto politico in cui si è potuto dispiegare l'incontestabile carisma di Grillo   (dai riflessi mesmerici, soprattutto negli interventi pubblici). Diciamo che si è trattato di un’ascesa diventata irresistibile a causa dall’incapacità dei partiti tradizionali di autoriformarsi, intercettando per tempo alcuni cavalli di battaglia grillini (si pensi solo al taglio del  finanziamento  pubblico  ai partiti).
Il secondo capitolo (“Lo shock elettorale” di Pasquale Colloca e Francesco Marangoni),  spiega con grade sottigliezza come i successi elettorali del 2012 ( dalle amministrative alle elezioni siciliane) abbiano agito da moltiplicatore, quasi keynesiano, di due fattori: a) la consapevolezza di essere sulla strada giusta; b) la capacità di conquistare consenso esterno (prima al Nord, poi al Sud), attivando un circuito virtuoso tra Movimento e Paese. Una “storia di successo”, regolarmente confermata, dalle elezioni politiche di febbraio.
Nel terzo capitolo (“Gli elettori del Movimento 5 Stelle” di Andrea Pedrazzani e Luca Pinto), basato su solidi dati empirici, si riconduce la capacità del partito di Grillo di catturare  voti a destra e sinistra all’abilità nell’intercettare, grazie al programma politico dai contorni imprecisi, un elettorato «dalla duplice anima», conservatore e progressista al tempo stesso; «duplicità [che] potrebbe aprirgli la via di un successo elettorale dalle proporzioni fino a pochi mesi fa impensabili» (p.121). Previsione, anche questa, confermata dal voto del 24-25 febbraio.
Nel quarto capitolo (“Dentro il Movimento:organizzazioni, attivisti e programmi” di Gianluca Passarelli, Filippo Tronconi, Dario Tuorto) si entra nel cuore della questione, o meglio del programma politico. Due i punti di forza: a) un programma «post-ideologico»,  capace di piacere all’elettore di sinistra ( ambientalismo e democrazia di base) e all’elettore di destra (antifiscalismo e antiburocratismo), nonché di risultare gradito a entrambi e perfino agli astensionisti  (critica della partitocrazia).  E perciò  in grado di conquistare, da vero "pigliatutto",  anche le varie classi di età; dal giovane "smanettone" al quarantenne in mobilità, dall'esodato cinquantenne al pensionato aggredito e stremato dalla crisi economica; b) una facilità di accesso al movimento ( basta un personal computer), capace di attirare i delusi e i respinti dalla politica tradizionale. È per certi versi il trionfo di quella che Elisabetta Gualmini definisce, non senza ironia ci sembra,  la «wikipolitica, dove anche l’ultimo arrivato può dire la sua e cambiare il programma»… Non meno numerosi sono però gli elementi di debolezza. Ne ricordiamo due: a) la natura accentrata del potere carismatico di Grillo che rischia di entrare in conflitto con quella di un Movimento che, come del resto è sotto gli occhi di tutti, non potrà non trasformarsi in Istituzione (tradotto:  in partito vero e proprio, con i suoi pregi e difetti sociologici); b) la difficoltà di coniugare democrazia di base, movimentista con la democrazia rappresentativa, istituzionale, che deve essere accettata da qualsiasi partito che si imponga di operare, per l’appunto, nelle istituzioni. E qui, si legga un’altra osservazione di sconcertante attualità: «In gioco (…) [è] la decisione di saldare l’ala movimentista con la componente che, una volta nelle istituzioni necessiterà di un coordinamento. Pena, nel breve-medio periodo, il disfacimento e il cannibalismo da parte di altre forze”» (p. 144).
Nel quinto capitolo (“Il Movimento e la Rete” di Lorenzo Mosca e Cristian Vaccari ), due sono le intuizioni, empiricamente corroborate, che colpiscono: in primo luogo, che il famigerato uso intensivo del web riguarda più i simpatizzanti che i candidati, legati invece ai media più tradizionali; in secondo luogo, che se è verissimo che Internet «rappresenta il collante di un Movimento»,  risulta altrettanto vero che esso «nella sua grande eterogeneità si riconosce come parte di un tutto proprio in virtù del ruolo di “editore” di Grillo, del suo blog e dello staff che, non senza tensioni e polemiche, ne alimenta i contenuti» (p.194) . Ciò significa che, in buona sostanza,  «l’ adozione e l’uso massiccio delle tecnologie non sono sufficienti a superare un dilemma classico delle organizzazioni politiche, ovvero quella tensione irrisolta fra desiderio di partecipare attivamente alle decisioni da parte della base ed esigenze di esercitare un controllo ferreo da parte di una dirigenza oligarchica» (Ibid.). Se ci si passa la battuta: 1 a 0 per Roberto Michels…
Nelle conclusioni Piergiorgio Corbetta si interroga sul destino del «web populismo»  sbandierato  da Grillo. Populismo  che,    secondo lo studioso,    proprio  per il richiamarsi alla Rete  rappresenta,  per certi versi,  un fattore di  «assoluta novità»  rispetto ai populismi tradizionali.  E neppure negativa,  dal momento che «la Rete potrebbe in effetti rappresentare uno strumento cruciale per il passaggio da una ”democrazia rappresentativa” (nella quale la volontà del popolo viene espressa dai suoi rappresentanti eletti) a una “democrazia deliberativa” nella quale le decisioni di carattere politico-amministrativo vengono prese da assemblee alle quali possa partecipare – per l’appunto attraverso canali informativi – ogni cittadino» (p. 211).
Insomma,  il  calice-Grillo  potrebbe essere mezzo pieno. E in definitiva anche  il suo messaggio non antipolitico ma politico o quasi. E  proprio  in forza, come sembra sostenere Corbetta,  della sua idea  democratico-deliberativa  della  politica.  Vedremo.


Carlo Gambescia

mercoledì 20 marzo 2013

Nel ringraziare l’’amico Teodoro dell’eccellente analisi, ci permettiamo di ricordare, per inciso,  che all’elezione di “un anziano funzionario del regime” alla Presidenza del Senato, va sommata quella di una giovane “funzionaria”  del “regime” ( o "baraccone")  Onu alla Camera.   Ovviamente, a Montecitorio, senza il  "prezioso" concorso dei cinquestellati. I quali, probabilmente,  neppure  sapevano chi fosse la dottoressa Boldrini… 

Buona Lettura (C.G.)


Cinquestelle? Un vaso di coccio…
di Teodoro Klitsche de la Grange




Il primo atto politico-istituzionale del Movimento di Grillo è stato di aver concorso – a quanto pare per un dissenso “interno” – all’elezione alla Presidenza del Senato di un anziano funzionario del regime tanto contestato (il quale lungi dall’ “arrendersi”, così si è sistemato); contraddicendo totalmente quanto predicato in campagna elettorale (e prima). Il che fa riflettere sulla natura e sui meccanismi dei partiti (o “movimenti”) volti a gestire il potere e le istituzioni politiche.
Fino a circa vent’anni fa “andavano di moda” i modelli di partito ereditati dalla prima metà del novecento: il partito pigliatutto, il partito dei notabili, il partito-milizia e così via. Tutti, pur nelle differenze anche vistose, accomunati da alcuni connotati: il primo dei quali è che realizzavano l’integrazione tra vertice e base in tre modi fondamentali: l’integrazione personale, data dalle caratteristiche del capo e soprattutto dal carisma attribuitogli; quella materiale, conseguente alla condivisione dei valori (e interessi), e quindi alla weltanschauung del movimento; quellafunzionale realizzata dalle procedure e modalità con cui si organizza, agisce e si mantiene il movimento (elezioni, nomine, manifestazioni).
La funzione dell’integrazione è duplice: da un lato realizzare l’idem sentire tra vertice e base; dall’altro conseguire l’unità d’azione del partito e la corrispondenza dell’azione ai fini ideali. Anzi essendo la politica un’attività pratica, l’aspetto principale è quello dell’agire, del fare, del realizzare. È il primato - a servirsi dei termini classici – della prassi, così efficacemente sintetizzata da Marx nell’11° glossa a Feuerbach. E perché la prassi sia coerente alle idee occorre che il partito/movimento possa agire unitariamente; da cui consegue la “disciplina” di partito e la (relativa) “insensibilità” alle direttive (agli interessi, alle idee) degli altri partiti. Senza la quale finisce per fare la fine del vaso di coccio tra i vasi di ferro: va (rapidamente) in pezzi.
Se è vero che una dozzina di senatori grillini hanno votato il candidato del PD alla presidenza del Senato, malgrado la contraria indicazione del “vertice” il processo di de-composizione è già iniziato al primo vagito istituzionale del Movimento 5 Stelle.
Il che non stupisce (lo stupore è limitato alla rapidità sorprendente del processo); tuttavia pone all’attenzione due temi.
Il primo è quello accennato: come s’è “integrato” il movimento grillino? Il consenso al capo non appare granché né soprattutto è un collante sufficiente (vedi i risultati); il “programma” del partito-rivelatore dei “valori” e “interessi” del movimento - è un catalogo di ovvietà, equamente prelevate dai programmi degli altri partiti e alcune addirittura dalle realizzazioni dei medesimi (v. la proposta sui farmaci generici, da diversi anni legge); quanto all’integrazione “funzionale” non è chiaro come avvenga, quali organi e articolazioni abbia il movimento e con quali competenze e collegamenti, come i dirigenti vengano selezionati e/o eletti, quale sia lo status(“partitico”) dei parlamentari e così via. Ma una “buona” (cioè efficace) integrazione è essenziale all’azione ed alla consistenza del movimento; e di converso azioni infedeli ne rivelano l’insufficienza.
Il secondo è a che cosa serva politicamente un partito che, all’atto di decidere, fa scelte incoerenti (e non univoche) a quanto predicato fino a pochi giorni prima. Non è un’unità partitica, un’ “organizzazione” volta a conseguire degli scopi propri ecomuni agli aderenti, ma un contenitore dove altri partiti – più consistenti e strutturati – “pescano” i voti necessari a insediare i loro uomini e a realizzare i (loro) programmi, valori, interessi. Onde votare per un partito del genere non è valutabile secondo i criteri della bontà delle proposte e delle intenzioni esternate e se queste siano valide o meno: diventa semplicemente inutile (anche perché imprevedibile). Tanto vale, ed è più onesto (e trasparente) dare il suffragio direttamente agli altri. Per quanto ci si debba turare il naso (e non solo quello).

Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" (http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009). 

martedì 19 marzo 2013

Ortega y Gasset  amava   parlare   di filosofia  del tramvai,  nel senso di approfittare del percorso  in tram  per cogliere  lo "spirito della gente".  Nel suo (e nostro)  piccolo,   Carlo Pompei,  che invece viaggia in metro,  ci offre  alcune interessanti  riflessioni   sugli  umori "politici"  della gente comune,   da  vero sociologo di strada...   Buona lettura. (C.G.)             

Italia. Dalle Stelle allo stallo
 Mini-sondaggio politico  del  nostro inviato da (Metro) Lepanto (*)
di Carlo Pompei






In questi giorni di accanimento giustizialista e persecuzione ad orologeria, per alcuni, e di regolare corso legale, per altri, abbiamo riscontrato le reazioni sull'uno e sull'altro fronte. Ne è uscito un quadro di rabbia, meschinità, disillusione, disaffezione e disperazione. Avrete compreso che non parliamo delle arringhe delle "toghe rosse" o delle dichiarazioni di quelli che hanno intonato l'inno di Mameli dinanzi il Tribunale di Milano, ma che vogliamo riferirvi a proposito dei commenti della gente comune, persone intervistate nei bar di Roma nei pressi delle fermate della metropolitana.
Si tratta di un' mini-sondaggio, riguardante l’immagine del Cavaliere e di Grillo ( e “grilini”), fatta prevalentemente tra persone inserite in un livello culturale medio. Del resto  l'Italia del 2013 è anche, e forse soprattutto, ancora questa, bisogna tenerne conto. Parliamo di  anziani stanchi e demotivati, tagliati fuori dalla comunicazione moderna e giovani lobotomizzati dalla stessa ipertecnologia. Senza dimenticare i  quaranta-cinquantenni con famiglia, terrorizzati dalla reale probabilità di perdere il lavoro o disperati per averlo già perso. I primi imprecano davanti a tg sempre più bugiardi e pubblicità sempre più stucchevoli: a volte spengono la TV con un calcio; gli altri già passano il sapone sulla corda e il calcio lo daranno allo sgabello.
Vediamo.
Chi critica Berlusconi, generalmente, è mosso da fondamentalismo politico, da invidia (chissà per quale motivo, poi: è anziano e ha un bel po' di grane), in pochi hanno argomentato la propria avversione senza scadere nel "sentito dire da Santoro o Travaglio"; chi si schiera con lui, invece, sempre generalmente, ha un tornaconto personale o spera di averne, per il resto, vuoto pneumatico su ideali politici.
Potremmo definirla "invidia buona" e "invidia cattiva", attribuite voi l'aggettivo agli uni o agli altri, poiché, a seconda dell'angolazione di pensiero cambia la visuale e, quindi, il giudizio. Berlusconi ne è consapevole. Di qui, il mix di forza e debolezza che ha sempre condizionato l’azione politica del Cavaliere. Naturalmente, fino a quando i giudici,  tagliando  il nodo gordiano del conflitto di intresse, non decideranno il pubblico destino del leader del Pdl…
Passiamo a Grillo.
Le domande sul leader del M5S, invece, hanno ricevuto per metà un no comment. Mentre  un quarto degli intervistati scuote la testa e il rimanente lo dipinge come Che Guevara, confermando l'esito delle urne. Alcuni, che potremmo definire elettori grillini disincantati si chiedono: “Ma che fa il Movimento 5 Stelle? Ora promuove concorsi di lavoro e collaborazione ad un segmento di laureati (dandone per scontata idoneità e preparazione). Ma se hanno una specializzazione in quel particolare campo è perché hanno già un lavoro, oppure hanno la strada spianata da qualcuno, costruirsi da soli il cavallo di Troia sembra un'idea stupida o una via di fuga”. Affermazione che evidenzia – questa la nostra conclusione – il timore di una parte degli elettori M5S per certa impreparazione tra i grillini eletti nel ricoprire i ruoli richiesti. Hanno dirottato un aereo, ma non sanno come pilotarlo? Le votazioni alla Camera e al Senato parrebbero confermare questa ipotesi.
Ci permettiamo di consigliare a Grillo una rapida uscita dalla fase di stallo, altrimenti alle prossima tornate elettorale "El comandante" avrà un amaro risveglio dal sogno nella notte stellata. Sempre se è realmente intenzionato a far governare i suoi.

Carlo Pompei

(*) Stazione Metro Roma  della Linea A,  in zona tribunali, non lontana da San Pietro e da alcuni  grandi mercati rionali; crocevia di  un' "umanità" socialmente  eterogenea, composta   di  professionisti, magistrati,  avvocati (e assistiti),  impiegati,  pensionati, studenti, casalinghe, sacerdoti, disoccupati,  piccoli commercianti anche abusivi  e  mendicanti:   il  milieu  rappresentativo della Roma  di oggi.  E  non solo...        


Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica,  impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”. 

lunedì 18 marzo 2013



Cara donna Mestizia,
cinque anni fa, nel giorno del mio cinquantesimo compleanno, il responsabile Risorse Umane della mia azienda mi inviò un sms così concepito (l’ho fatto ingrandire e incorniciare, ce l’ho sotto agli occhi):

“Gentile Collaboratore, come lei sa, la crisi economica non ha risparmiato il settore di mercato nel quale opera la nostra Azienda. Le comunico pertanto che si è deciso di ristrutturare alcune posizioni, tra le quali quella da lei occupata. Rammentandole le clausole sulla riservatezza da lei sottoscritte al momento dell’assunzione, e augurandole un pronto reinserimento, la saluto cordialmente. Suo dr. K. Iller. P.S.: L’ufficio va sgombrato entro le ore 17.55 di stasera.”

Lì per lì ho accusato il colpo, e confesso che sono precipitato in una depressione clinica devastante, ma grazie al sostegno della mia famiglia e del mio psicoterapeuta, che mi ha prescritto un regime accuratamente bilanciato di ansiolitici, antidepressivi ed eccitanti, sono riuscito a reagire. Dando fondo a risparmi ed energie, ho aperto una società di consulenza alle imprese nei campi di mia competenza, e ho gradualmente costruito un portafoglio clienti di tutto rispetto (tra i primi clienti, la mia ex Azienda). Nel giro di un paio d’anni, però, ho dovuto accorgermi che lavoravo sempre di più e guadagnavo sempre di meno. Da un canto, la generale contrazione dell’attività economica diminuiva non solo i miei introiti, ma le stesse occasioni di lavoro; dall’altro, le spese correnti, il costo del credito bancario e del personale benché precario, la tassazione, non facevano che aumentare. Tagliato tutto il tagliabile, per praticare prezzi concorrenziali e restare a galla ho dovuto sempre più spesso lavorare in nero.
Ieri l’altro, giorno del mio cinquantacinquesimo compleanno, ho ricevuto una lettera dell’Agenzia delle Entrate nella quale mi si informa, in buona sostanza, che mi hanno beccato. Ho cercato consiglio presso il commercialista, mio caro amico fin dai tempi del liceo. Però, se gli telefono in studio la sua segretaria (assai attiva nella parrocchia frequentata anche dalla mia famiglia) nega recisamente di conoscere il mio nome; se gli telefono a casa, la domestica filippina (che vive in Italia da venticinque anni) mi risponde in tagalog, i suoi figli (compagni di scuola dei miei) mi dicono che ho sbagliato numero, e sua moglie (con la quale vissi, in tempi migliori, una torrida vicenda erotica clandestina) appena sente la mia voce mi ribatte seccata che no, non vuole abbonarsi a Sky; e bruscamente riattacca. Lui, naturalmente, ha cambiato il numero del cellulare personale.
Le scrivo questa lettera alla fine di un lungo pomeriggio di meditazione, trascorso qui, nel mio studio deserto, nella sola compagnia di una bottiglia di pregiato whisky di malto, di due telefoni ai quali ho provveduto a tagliare il filo, e di tre computer che mi sono tolto il capriccio di sbriciolare a martellate. Al mio cellulare parla, in questo momento, la famigliola di pesci giapponesi che abita l’acquario, e che immagino profitti dell’insperata occasione per rinsaldare i legami con la numerosa parentela rimasta nel Paese del Sol Levante; tanto poi, quando gli arriva la bolletta possono sempre fare seppuku.
Ma torniamo a noi. Tirate tutte le somme, sono giunto a una conclusione incontrovertibile: che a me, i compleanni portano sfiga. Ho pertanto deciso di smetterla: smetterla di compiere gli anni, voglio dire. Con il martello utilizzato per disintegrare i computer ho sminuzzato e polverizzato tutti gli psicofarmaci della mia farmacopea, ricavandone una bomba nucleare chimica più che sufficiente a catapultarmi nel più inaccessibile e lontano degli Aldilà. Ma un attimo prima di trangugiarlo scolandoci sopra il resto della bottiglia di whisky, un dubbio mi ha trattenuto: e se facessi la figura del pirla? Ho notato, infatti, che mentre nei primi tempi della crisi i media davano notevole risalto alla figura dei suicidi per ragioni economiche assortite, da un po’ di mesi questa nuova figura sociale, che pure stava assumendo una sua centralità simbolica, è per così dire arretrata sullo sfondo della scena sociale, o addirittura sparita dietro le quinte, nei camerini fiocamente illuminati dell’anonimato.
Insomma: e se non fosse più di moda, suicidarsi? Raggiungi dopo un vivace dibattito interiore la sofferta decisione, organizzi accuratamente la cerimoniale messa in scena dell’addio al mondo crudele, dedichi un lungo “labor limae” al messaggio finale, reprimi con un soprassalto di volontarismo la ribellione dei tuoi “animal spirits”, spegni gli ultimi dubbi, sormonti le residue esitazioni, e finalmente, là! ti suicidi. Ma se poi il giorno dopo esce la notiziola sul quotidiano locale, chi è morto giace e chi è vivo si dà pace, e l’epitaffio definitivamente scolpito sulla tua avventura terrena è: “Che pirla”? Sarò vanitoso, ma un po’ mi seccherebbe. Lei che ne pensa?
Più Di Là Che Di Qua 2013

Caro Più Di Là Che Di Qua 2013,
dia retta a me: certe cose non passano mai di moda. Un conto è l’effimero, superficiale brillio delle voghe e delle passioni più o meno artificiali, un conto i valori veri, consolidati da tempo immemorabile: che difatti, nonostante tutte le smemoratezze e gli appannamenti, presto o tardi tornano sempre di moda. Veda ad esempio negli abiti: dopo la sciocco gusto per i giacconi supertecnici da commandos, non è tornato di moda il buon vecchio loden? E se oggi il loden sembra ricaduto nel dimenticatoio, stia tranquillo che prima di quanto si pensi tornerà a ricoprire le spalle degli uomini di buon senso, e a campeggiare - fra gli osanna - sulle prime pagine dei giornali. Vada, vada per la sua strada! Come dice il poeta, non si curi di lor, ma guardi e trapassi.

P.S. Ricordo a Lei e ai Suoi eredi che il Suo abbonamento a questa rubrica non è rimborsabile a seguito del Suo decesso. Qualora Ella ritenesse opportuno favorirmi con informazioni riservate raccolte nella Sua prossima destinazione, Gliene sarò grata. Sono certa di interpretare le Sue (ultime) volontà garantendoLe che l’eventuale compenso per dette informazioni Le sarà corrisposto a mezzo non fiori, ma opere di bene.

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...