martedì 29 novembre 2016

Gli ultimi dati Istat sul calo demografico italiano
Calice mezzo pieno o mezzo vuoto? 


Finalmente una buona notizia. O quasi.  Insomma, "depende".  L’Istat  riferisce  che
 «Per il secondo anno consecutivo scende il numero di nati da coppie residenti in Italia con almeno un genitore straniero: sono quasi 101 mila nel 2015, pari al 20,7% del totale dei nati a livello medio nazionale (circa il 29% nel Nord e l'8% nel Mezzogiorno). Lo riferisce l'Istat, aggiungendo che continua anche il calo dei nati da genitori entrambi stranieri: nel 2015 scendono a 72.096 (quasi 3 mila in meno rispetto al 2014). In leggera flessione anche la loro quota sul totale delle nascite (pari al 14,8%).»

 Altra informazione interessante,  sempre da fonte Istat, concerne  i nomi  dei bambini nati da famiglie straniere, residenti in Italia,

« Al top dei nomi scelti c'è per i bambini Adam, Youssef, Rayan, ma anche Matteo, Alessandro e Davide. Per le bambine il primato spetta a Sara. "La tendenza a scegliere per i propri figli un nome diffuso nel Paese ospitante piuttosto che uno tradizionale - spiega l'Istat - è spiccata per la comunità cinese" mentre "un comportamento opposto si registra per i genitori del Marocco, che raramente scelgono per i loro figli nomi non legati alle tradizioni del loro paese d'origine.»


Che dire? Fermo restando il dato sul trend negativo circa le nascite da coppie italiane, (perché anche questo riferisce l’Istat),  se si associa il calo di natalità al cambiamento dello stile di vita (e qui resta interessante anche  la scelta di nomi italiani), significa che la secolarizzazione dei costumi, come dire, funziona.   Certo, sull’altro piatto della bilancia, rimane la crescente denatalizzazione  che non riguarda solo l’Italia ma l’intera Europa.  Però quel che non viene mai ricordato,  è che il trend negativo nel breve periodo ha rappresentato  un elemento di coesione sociale e di loyalty (lealtà) sistemica, per dirla con Hirschman.  Ci spieghiamo meglio.
Il combinato disposto, in particolare degli ultimi anni,  tra  crescita della natalità e decrescita del Pil avrebbe provocato due fenomeni che l’Italia in passato ha ben conosciuto: 1) di  exit (defezione), nel senso dell' emigrazione di massa (non parliamo della cosiddetta  fuga dei cervelli, che è altra cosa: qui parliamo di milioni di persone); 2) di voice (protesta), ossia di disordini sociali e conseguenti rischi di radicalizzazione politica, favoriti anche 3) da crescenti livelli di disoccupazione intellettuale. 
Soprattutto quest’ultimo aspetto,  tipico delle società mobili, rimane un pericoloso  fattore di destabilizzazione istituzionale. Dal momento che  il mix tra alti tassi di natalità, ridotte possibilità di lavoro in patria, e conseguente impossibilità di ascesa professionale all’interno di una società,  dove a differenza  del mondo pre-moderno,  i rapporti  sociali sono fluidi, può risultare esplosivo sotto l’aspetto politico.  Le rivoluzioni  - come nella Francia  pre-1789  e nella Russia pre-1917, per fare due esempi facili -   avvengono nelle società in sviluppo (in tutti i sensi), dove ricchezza e promozione sociale sembrano essere a portata di mano. Per contro, dove esistono  rapporti sociali ed economici gerarchici e autarchici, come nelle società immobili, realmente "castali" (altro che le chiacchiere del "Fatto Quotidiano"), possono avvenire  rivolte, anche di palazzo, ma non rivoluzioni nel senso delle società mobili. E comunque sia - si pensi ad esempio al ruolo, economicamente,  “progressista”  del ceto dei Cavalieri nell’antica Roma  - dietro la “rivoluzione” c’è una società che preme, che si  sta “mobilizzando”,  una società  in trasformazione, insomma.
Certo, nel lungo periodo il calo demografico ( e non solo) può costituire un fattore di “decadenza oggettiva”, per dirla con Chaunu: rischia di sparire la materia sociale “prima”, la popolazione.  E questo  potrebbe costituire  un problema. Innegabile. Per ora tuttavia,  il basso tasso di natalità,  per pensarla nei termini del calice mezzo pieno,   evita: 1) sommovimenti e  rotture interne,  politicamente traumatiche, nonché,  se  condiviso,  come pare,  dai  residenti  stranieri, in quanto  modello demografico (connesso allo stile di vita), 2) fa ben sperare sull’integrazione socioculturale di questi ultimi.  
In fondo, l’Unione Sovietica, l’Islam del XX secolo, per usare la famosa espressione di Jules Monnerot,  non   è stata sconfitta schierando i nostri  frigoriferi?
Certo, ripetiamo, rimane il problema della “decadenza oggettiva”, o comunque  di una possibile società degli anziani,  dai costi sociali elevati (soprattutto con il welfare universalistico). Però come diceva un nostro caro amico, una pena al giorno  può bastare.     


Carlo Gambescia 

lunedì 28 novembre 2016

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 28 novembre, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO
Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio ambientale svolta nell'ambito della procedura riservata n. 765/2, autorizzazione COPASIR 8932/3a [Operazione NATO “ASCOLTO FRATERNO” N.d.V.] è stata registrata, in data 27/11/2016, ore 11.32, una conversazione intercorsa S.E. FINZI MATTIA, Presidente del Consiglio dei Ministri, e BERNASCONI SILVANO, ex Presidente del Consiglio. La conversazione si è svolta all’esterno di capanno sito sull’isola di Montecristo (Mar Tirreno), ed è stata registrata a mezzo microfono direzionale posizionato sul peschereccio “Bella Gina”, opportunamente attrezzato. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:

[omissis]


BERNASCONI SILVANO: “Allora che ne dici della mia proposta?”
S.E. FINZI MATTIA: “Bella è bella. Difficile però, molto difficile.”
BERNASCONI SILVANO: “Hai paura?”
S.E. FINZI MATTIA [pausa] “Sì, ho paura.”
BERNASCONI SILVANO: “Bene, vuol dire che sei cresciuto.”
S.E. FINZI MATTIA: “Ti rendi conto che se va male ci linciano, passiamo alla storia come due traditori?”
BERNASCONI SILVANO: “Come due poveri coglioni, che è peggio.”
S.E. FINZI MATTIA: “Allora, ricapitoliamo.”
BERNASCONI SILVANO: “Dai.”
S.E. FINZI MATTIA: “Domenica vince il NO.”
BERNASCONI SILVANO: “Saltini chiede le elezioni anticipate, si candida a leader del centrodestra, mi invita a  fare un passo indietro, punta a farmi fuori.”
S.E. FINZI MATTIA: “D’Altema chiede un chiarimento nel partito, forse anche un congresso straordinario per farmi fuori.”
BERNASCONI SILVANO: “Maccarella però non scioglie le Camere, ti riaffida il compito di formare un governo di transizione per fare una nuova legge elettorale.”
S.E. FINZI MATTIA: “Tu appoggi Maccarella, garante super partes della stabilità del Paese, Saltini ti attacca con violenza, ‘Bernasconi tradisce il centrodestra per interesse personale’ “.
BERNASCONI SILVANO: “E qua colpo di scena.”
S.E. FINZI MATTIA: “Tu denunci tutti gli irresponsabili dentro e fuori il centrodestra…”
BERNASCONI SILVANO: “Denuncio il partito antinazionale delle chiacchiere e del caos…”
S.E. FINZI MATTIA: “E a dimostrazione del tuo disinteresse e del tuo amore per l’Italia, cedi le aziende ai figli e ti ritiri dalla scena politica, come coso....”
BERNASCONI SILVANO: “Coriolano.”
S.E. FINZI MATTIA: “Come Coriolano.”
BERNASCONI SILVANO: “Sì, però io mi ritiro per finta.”
S.E. FINZI MATTIA: “Certo, per finta.”
BERNASCONI SILVANO [pausa, lo guarda attentamente]: “Tu tieni un grande discorso in cui elogi il mio disinteresse, rilanci la mia denuncia, provochi D’Altema e Bertani, spacchi il partito…”
S.E. FINZI MATTIA: “Faccio un appello a tutti gli italiani, al di là degli steccati ideologici…”
BERNASCONI SILVANO: “…a tutti gli italiani che amano l’Italia, la libertà, la modernità…”
S.E. FINZI MATTIA: “Dal centrodestra, nel marasma dopo il tuo ritiro, una voce, una voce autorevole raccoglie il mio appello, e io gli rispondo lanciando il Partito della Nazione. Ce l’hai poi la voce autorevole?”
BERNASCONI SILVANO: “Quasi pronta.”
 S.E. FINZI MATTIA: “Mi raccomando, eh? No la solita mezza figura.”
BERNASCONI SILVANO: “Stai tranquillo.”
S.E. FINZI MATTIA [pausa, lo guarda attentamente] “A Maccarella presento una squadra di governo al 50% ex centrosinistra, 50% ex centrodestra. Maccarella ci dà la benedizione, ci mette una parola buona col Papa che ci benedice anche lui…”
BERNASCONI SILVANO: “La Merkel ci fa i migliori auguri, ci promette mari e monti…”
S.E. FINZI MATTIA: “Non dire quella parola.”
BERNASCONI SILVANO: “Quale?”
S.E. FINZI MATTIA: “Monti.”
BERNASCONI SILVANO: “La Merkel adesso ha paura, Mattia, non ce lo manda un altro Monti.”
S.E. FINZI MATTIA: “Speriamo.”
BERNASCONI SILVANO: “E tutto il pattume dei tuoi, tutto il pattume dei miei accusa, protesta, piange, grida, si dispera…”
S.E. FINZI MATTIA: “Ma tanto in Parlamento la maggioranza ce l’abbiamo noi, loro finiscono nella pattumiera...”
BERNASCONI SILVANO: “…e ciaone.”
S.E. FINZI MATTIA: [pausa] “Certo che se riesce è un colpo da maestro.”
BERNASCONI SILVANO: “Poi, alla scadenza del mandato di Maccarella, la Presidenza la dai a me.”
S.E. FINZI MATTIA: “Certo. Naturalmente, mancano ancora…”
BERNASCONI SILVANO: “…Sei anni, lo so. Io non ho fretta. Voglio finire in bellezza, Mattia. Tu che sei giovane non puoi capire.”
S.E. FINZI MATTIA: “D’accordo. [pausa] E se vince il SI’?”
BERNASCONI SILVANO: “Se vince il SI’ ne riparliamo. Ma tanto vince il NO.”
S.E. FINZI MATTIA: “In effetti, in Italia vince sempre il NO...”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...



sabato 26 novembre 2016

La scomparsa di  Fidel Castro
Morte di un tiranno



Prepararsi. Gli orfani della rivoluzione in servizio permanente effettivo già si stanno  scatenando: “Ma che bontà, ma che bontà, questo Fidel Castro qua”.  Due i cavalli di battaglia:  l’antiamericanismo castrista in stile ruggito del topo  e la costruzione di una specie di stato sociale straccione che ti cura, ti fa studiare, però poi ti impone la tessera del partito unico per lavorare, quando lo si  trova il lavoro…
Sono tematiche ancora diffuse in Italia, tra post-fascisti, post-comunisti, post-democristiani e persino  tra  qualche  azionista liberale, rimasto al  Gobetti che flirtava con Gramsci. Pertanto sarà tutto un  brindare  al grande rivoluzionario.   Parliamo della stessa  gente  che rimpiange Mussolini, perché “ha costruito lo stato sociale”, o Togliatti  e Berlinguer, “perché erano onesti”, dimenticando: 1)  i denari sovietici; 2) che  è molto facile non sporcarsi le mani quando si è all’opposizione.   
Diciamola tutta, Castro  era un tiranno ( nel senso di colui che viola o si mette al di sopra delle leggi), carismatico, senza dubbio, ma un tiranno. E comunista, con una variante, legata alla sua formazione avvocatesca (un poco come Lenin): Castro riteneva gli uomini, le leggi, le  istituzioni plasmabili a piacimento. E violabili (non però dai suoi nemici).  Perciò  piuttosto che un  comunista  in senso stretto, Castro era un costruttivista  con il complesso della tabula rasa. Tradotto: un ingegnere sociale che fucilava,  sia con le parole, come Lenin, sia con i proiettili veri, come Stalin.  Insomma,  un altro ingegnere delle anime, dotato di carisma, proprio come Lenin e  Stalin.  Di qui la “meravigliosa” leggenda che tanto piaceva e piace a quegli irriducibili pellegrini della rivoluzione ancora oggi annidati nel giornalismo e nella politica.   
Inutili sono i paragoni, con chi è venuto prima o dopo.  Il si stava meglio quando si stava peggio, lasciamolo ai nostalgici di ogni colore. Piuttosto si guardi a come è ridotta Cuba oggi, dopo il "sacro"esperimento comunista.  Certo, conosciamo il mantra:  è colpa degli americani, del blocco, eccetera. E dove non  c'è ( o non c'è stata)  dittatura comunista? È sempre colpa degli americani, of course.
Insomma, i conti non tornano. Diciamo la verità, se Cuba fosse divenuta il  51° stato degli Usa, ora i cubani se la passerebbero molto meglio. Altro che Castro.  
Oggi è morto un tiranno. Punto. In alto i calici.

Carlo Gambescia             

venerdì 25 novembre 2016

Referendum costituzionale del 4 dicembre 
Vota  Renzi, vota Renzi, vota Renzi, vota Sì, vota Sì,  vota Sì

Amici e  lettori mi chiedono, se voterò il 4 dicembre,  ed eventualmente  per chi voterò.  
Io, ridacchiando, di regola,  rispondo che il voto è segreto…  In realtà, allacciarsi le cinture prego (ma chi mi segue  non può avere dubbi al riguardo) voterò Renzi. Si faccia attenzione, non ho dichiarato che voterò Sì, ma per Renzi.  La questione della riforma costituzionale non poteva non trasformarsi  in fatto politico. Le riforme costituzionali - al di là delle chiacchiere buoniste - dividono sempre: da un lato i conservatori dall’altro gli innovatori, rispetto al testo esistente. Di qui, gli inevitabili conflitti, eccetera. E la scelta dei tratti più o meno apocalittici della campagna elettorale dipende sempre dalla cultura politica  e dalla natura dei cleavages storici. Ogni popolo ha il discorso pubblico che si merita...  E noi, evidentemente, ci meritiamo  tutto questo.  
Per inciso, da sempre sono un sostenitore del monocameralismo e dello snellimento legislativo.  E la Riforma, va comunque  in questa direzione. Diciamo che innova una Costituzione parlamentarista scritta settant'anni fa,  contro il fascismo, conculcatore delle libertà parlamentari ( e non solo). Invece  la Riforma sulla quale siamo chiamati a votare è scritta oggi contro il parlamentarismo che impedisce di governare, non a Mussolini, morto da un pezzo, ma a chiunque si accinga a farlo.  E io, che apprezzo il decisionismo politico, non potevo: 1) non stimare  il decisionismo di Renzi (a dire il vero non sempre assoluto, anche in questa occasione); 2) nonché la possibilità di modificare, benché timidamente, una Costituzione che appartiene a un’altra età storica (se fosse per me la riscriverei tutta, dai principi fondamentali, ad esempio: Articolo 1. L’Italia è una Repubblica fondata sulla Libertà…). Sicché  non potevo non collocarmi, una tantum ovviamente, tra gli innovatori. Ebbene sì, politicamente parlando, faccio un tratto di strada con Renzi. Che male c'è?   Del resto in Italia,  c’è chi ha fiancheggiato dittatori (veri, altro che le chiacchiere complottiste) come  Stalin e Mussolini… E per  più di venti anni. Quindi.     
In realtà, come dicevo,  il voto del 4 dicembre è politico. Se vincesse il Sì, per dirla con Marx (pardon),  tornerebbe a galla tutta la merda di sempre: l’Italia dei parassiti, del romanticismo fascio-leghista,  dei rivoluzionari pentastellati ad aria compressa, un universo di sogni e bisogni a spese dello stato,  coagulatosi intorno al No.  Un fronte variopinto,  prontamente  assecondato da quel  circo mediatico-giudiziario, anarcoide e giustizialista,  che da quasi un quarto di secolo  inquina la scena politica italiana, gettando  discredito su tutto e tutti. Attenzione, il Governo Renzi  è il male minore, perché, pur con tutti i suoi limiti, racchiude, per così dire, un tasso di liberalismo e riformismo, sicuramente  più elevato di quello contenuto  in tutte  le altre forze politiche messe insieme. Se dovesse cadere, sarebbe il caos politico ed economico. Perché il circo mediatico-giudiziario, potrebbe prendersi la rivincita su Renzi,  puntando sul colpo di grazia in stile Woodcock.   Dopo di che (ma probabilmente anche senza attacco giudiziario),  nascerebbe subito  un  governo tecnico-elettorale,  al tempo stesso appoggiato e criticato da tutti, e quotidianamente.  Seguirebbero  mesi e mesi di distruttiva propaganda politica  fino alle elezioni. Conflitti, che, provocando altro discredito istituzionale,  consegnerebbero il  Paese o ai pentastellati (con l’Italicum), o  a una  litigiosa coalizione di sette-otto partiti,  pronti al veto quotidiano (con una nuova legge proporzionale). Di qui, ulteriore discredito, fino a  spianare definitivamente la strada al caudillo Grillo o, in subordine, a qualche demente Le Pen italiano.  L’ economia ne uscirebbe  distrutta. Altro che -  per usare il classico stile elettorale -    birretta,  pizza e fritti misti del  venerdì alla pizzeria sotto casa e poi Sky calcio...    Pertanto, serve un voto politico. In favore di  Renzi.  E pure della birretta.    

Carlo Gambescia

giovedì 24 novembre 2016

"La mafia uccide solo d'estate"  diventa  una fiction in sei puntate su Rai1
La metamorfosi di Pif



Che pensare della metamorfosi di  Pif ( al secolo Pierfrancesco Diliberto)?  “La Mafia uccide solo d’estate” mi piacque molto:  non mancavano poesia e giusta dose di  impegno civile.  Il film  ebbe il placet  non solo di chi scrive,  che di cinema ne capisce poco, bensì di critici molto preparati e  indipendenti.   Va però detto  che mi deluse  il tour finale  di Pif, con il  suo bambino quasi in  fasce ( se ricordiamo bene), spiegando al piccolo, ancora incapace di intendere e di volere, che “qui i mafiosi uccisero quello, lì quell’altro”.  I modi, erano  ossessivi, sgradevoli, da commissario politico, in contrasto con lo spirito liberale del film. Spirito liberale significa, contrariamente a quel che scrive Rousseau,  che non si può, anzi non si deve mai, costringere nessuno ad essere libero: figurarsi un neonato. Insomma, mafia e komsomol, pari sono.  
Mi chiesi, uscendo dal cinema, che ne può sapere un bimbo?  Come del resto provava, pensai, il lavoro stesso, dove il giovane protagonista “scopre” la mafia alla fine di un percorso di crescita personale (come si usa dire). Un cammino, in chiave individuale, non "collettivista",  ricco però  di paradossi, descritto con cura,  umorismo e, come dicevo, poesia.
Ora, la fiction televisiva in sei puntate, ricavata dal film, sembra  veramente altra cosa:  il lato umoristico  si è fatto sarcastico, addirittura acido:  si gioca sui peggiori stereotipi;  per i mafiosi si va da Lombroso ( un Reina,  da manuale positivista di antropologia ) a Freud-Castellitto ( lo scontato contrasto edipico tra Ciancimimo padre e Ciancimino figlio);  la poesia, per ora, risulta latitante, come un Corleone qualsiasi. L’Edipo-Massimo Ciancimino sembra preludere alla futura uccisione giudiziaria del padre e alla conseguente vittoria della  tesi adombrata  dal figlio: quella  della cupola politica (democristiana-craxiana-berlusconiana e, come alcuni si augurano,  pure renziana),  cavallo di battaglia dei professionisti del romanzo antimafia.  Purissima grappa distillata, ogni mattina,  dal “Fatto Quotidiano”.
Il problema non è che la mafia, non esiste, come ripete  gesticolando,  il capelluto e baffuto  zio del giovane protagonista, macchietta in odore di mafia ambientale, bensì che esiste, insieme alla mafia, il professionismo dell’antimafia.  Che si perde, trascurando la guerra alla mafia reale,   nella creazione di teorie complottiste,  che vanno ad alimentare il romanzo sulla mafia. E che magari, se capita, possono servire come trampolino di lancio per carriere politiche, a sinistra, talvolta però di sicuro insuccesso.  E Pif, che pure era un giovane  promettente,  magari, come si è detto, con qualche tratto ossessivo (del resto nascere a Palermo non è uno scherzo, segna...), sembra aver abboccato all’amo del professionismo antimafia. Peccato. 
Carlo Gambescia


                                               

mercoledì 23 novembre 2016

Berlusconi, Salvini, Meloni  e il referendum.
E continuano a portare acqua al mulino di Grillo...



Di regola i referendum dimostrano, proprio a livello di campagna elettorale ( e molto spesso di voto), i principali limiti della democrazia diretta: semplificazioni concettuali  degne della scuola materna; appello alle comunità delle emozioni (si noti il plurale), solleticando  gli istinti collettivi più bassi;  messa in mora di qualsiasi  tentativo di pacato ragionamento. 
Ed è quello che inevitabilmente sta accadendo (e non poteva non accadere). Si dice però: il popolo è sovrano. Giusto, ma è altrettanto vero che resta  facile preda del demagogo di turno. Di qui, le necessarie contromisure verso  l' utopistica democrazia diretta.  Come del resto  prova  lo sviluppo storico della democrazia rappresentativa. Non priva di difetti, ma capace di favorire quella prevalenza della ragione, quel giusto mezzo che può allungare la vita (come finora è stato) delle democrazie reali.
Ma c'è dell'altro. Quando una più che accesa campagna referendaria va a coniugarsi con quella delegittimazione reciproca tra opposizione e maggioranza,  che in Italia dura da più di vent’anni, si rischia veramente la crisi di sistema. E in questo quadro, poco promettente, la destra di Berlusconi, Salvini e Meloni che cosa fa?  Usa lo stesso feroce linguaggio anti-sistemico del M5S,  ma con minore credibilità politica (perché  ha  fallito la prova di governo), portando così acqua al mulino di Grillo. Il demagogo di turno.  Perciò  si potrebbe  ripetere, ma questa volta  in forma macroscopica,  se il No vincesse, innescando un  processo di disintegrazione politico-elettorale, facilitato dall'Italicum,  quel che è avvenuto  a Roma. Per farla breve:  regalare su un piatto d'argento  il Paese ai pentastellati.
Invece di isolare il partito di Grillo, sull’esempio storico dell’arco costituzionale (certo su basi nuove, non resistenziali), appoggiando Renzi, anche sul referendum, che in un’ottica di compromesso (di democrazia reale)  rappresenta il male minore, che cosa si fa?   Ci si divide,  aizzando le folle, contro un presunto dittatore, spianando così  la strada al dittatore vero.  
Parole grosse?  Grillo non è Mussolini, per carità.  Però non  è indenne da mal represse  pulsioni autoritarie. Per non parlare dei suoi parlamentari e militanti, nonché  di quella  bella  fetta d'italiani che intende la democrazia  come  sopraffazione:  la si  concepisce, infatti,  come un gioco a somma zero, privo di qualsiasi forma mediazione e compromesso. Insomma, siamo distanti anni luce  dalla democrazia rappresentativa e liberale.   
Concludendo, la deriva  referendaria incarna al meglio (si fa per dire...) lo spirito politico del grillismo. L’esatto contrario dello spirito che invece anima la destra liberale, anzi dovrebbe... Perché  Berlusconi, Salvini e Meloni, tutto sono fuorché liberali. 

Carlo Gambescia                  

martedì 22 novembre 2016

Assoluzione per chi procura l'aborto, così Papa Francesco

Di "inclusività" si può anche morire…

Quale è il ruolo della religione cristiana (e cattolica)  in una società pluralista? A questo pensavamo leggendo  la Lettera Apostolica  “Misericordia et Misera”  in cui   Papa Francesco  concede ai sacerdoti, tutti ( e non solo per il  trascorso Anno Giubilare), “la facoltà di assolvere  quanti hanno procurato peccato di aborto” (*).  
Diciamo che la decisione, insieme con altre precedenti (ad esempio quella sui divorziati, in qualche misura "perdonati" e  “riammessi”), sociologicamente, si muove nell’’ambito dell’inclusività. Di allargare quanto più possibile - parliamo da sociologi non da teologi -  la “base sociale della chiesa”.  Paga, sempre sociologicamente, l’inclusività?  Per essere inclusivi - attenzione, inclusivi in una società pluralista, quindi competitiva -   si deve  diluire la dottrina  per renderla sempre più  “appetibile” a  un crescente numero di persone.  Tuttavia, quando più si diluisce, tanto più si perde la propria identità dottrinaria, o se ne ricostruisce una, totalmente diversa se non  addirittura  opposta alla precedente.  
Ora, una società pluralista, per funzionare bene,  ha bisogno di pesi e contrappesi:  se ad esempio - semplifichiamo al massimo -   il valore  più diffuso  è il permissivismo, allora diventa necessario,  funzionalmente necessario,  il contrappeso del rigorismo, che può essere  rappresentato da alcune istituzioni religiose e, dove presente, la Chiesa Cattolica. Si tratta di fare opposizione, ovviamente  nel rispetto del pluralismo quale valore  comunque e  predominante sul permissivismo e rigorismo.  Insomma, le società, per funzionare, hanno bisogno sia dei difensori della libertà, anche di “peccato”, sia di istituzioni che condannino il “peccato”, senza fare sconti. Sarà poi il singolo, a decidere liberamente  il suo destino fisico e metafisico, come impone la logica, teorica e pratica (funzionale) della società pluralista in cui viviamo.
Di conseguenza, quanto più la Chiesa Cattolica si allontana da questa logica,  tanto più incide sul pluralismo, perché viene meno una voce di contrasto e perciò un contrappeso sociale.  Naturalmente, le società in generale  (e quelle pluraliste in particolare)  non ammettono vuoti di potere sociale, sicché il graduale passaggio della Chiesa Cattolica nel campo - per farla breve -  permissivista (e inclusivo),  potrebbe aprire spazi per altre  forze sociali di tipo religioso,  ma di natura rigorista, sia all’interno che all’esterno della Chiesa. Inoltre, non va ignorato che il rigorismo, soprattutto quando allo  stato (ri-)nascente (come  prova la parabola del cristianesimo all’interno dell’Impero romano), finisce  per  rivendicare  istanze non solo antipermissiviste, ma antipluraliste, collegando motivazioni religiose e politiche (il famigerato ricorso al “braccio secolare”), nel nome di un'inclusività socialmente coattiva, univoca e diretta dall'alto.  
Come concludere?  Che  l' inclusione,  oltre una certa soglia,  può far male sia al pluralismo, sia alla Chiesa…   Insomma, di inclusività  si può anche morire, socialmente morire... 
                                                                             Carlo Gambescia

                                                                            


lunedì 21 novembre 2016

Arma dei Carabinieri (*) 
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2016, lunedì 21 novembre, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 642/2, autorizzazione COPASIR 3636/3b [Operazione NATO “SCAMBIAMOCI UN SEGNO DI PACE” N.d.V.] è stata intercettata, in data 20/11/2016, ore 11.23, una conversazione telefonica tra l’utenza di Stato vaticana in uso a  S.S. SANCHO I, e l’utenza n. 338***, in uso a MARCHINI WANNA. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della conversazione summenzionata:
[omissis]



S.S. SANCHO I: “Ciao Wanna.”
MARCHINI WANNA [voce contraffatta]: “La dottoressa Marchini è fuori stanza, se vuole lasciare detto a me…”
S.S. SANCHO I: “Sì,  guardi, sono il Papa, se…”
MARCHINI WANNA [con la sua voce]: “…Ciccio!!! Come stai!”
S.S. SANCHO I: “Ma non eri fuori sta…”
MARCHINI WANNA: “Ma no, è che c’è uno…cioè più di uno, per la verità…mi tampinano, vogliono non so cosa…cioè, capirai che novità, vogliono dei soldi, sempre il vile denaro…ma per te ci sono sempre, Ciccio, dimmi tutto. Stai bene?”
S.S. SANCHO I: “Mah. In realtà non tanto, sai? Ti telefonavo proprio per un consiglio.”
MARCHINI WANNA: “Vai.”
S.S. SANCHO I: “Non so se hai letto…ci sono quattro cardinali che hanno fatto un passo formale…”
MARCHINI WANNA: “Non ho capito.”
S.S. SANCHO I: “Contro di me, Wanna.”
MARCHINI WANNA: “Be’ ma non sei te il capo? Li mandi a cardinalare in Nuova Zelanda e sei a posto.”
S.S. SANCHO I: “Non è così semplice, Wanna. Mi hanno fatto quattro domande ufficiali sulla mia enciclica.”
MARCHINI WANNA: “E ti spaventi per così poco? Gli fai su una supercazzola, gli rispondi ‘Sì ripeto no’ e via, li mandi a pedalare.”
S.S. SANCHO I: “Non posso, Wanna. Sono domande che puoi rispondere solo sì o no, e non rispondere non posso.”
MARCHINI WANNA: [pausa] “Pazzesco. Se non gliela puoi contare un po’ su come fai a mandare avanti la baracca? Si può mica dire sempre la verità. E cosa pensi di fare?”
S.S. SANCHO I: “Non lo so. Se rispondo di sì scontento metà Chiesa, se rispondo no scontento l’altra metà.”
MARCHINI WANNA: “Ma detto fra noi, te come la pensi?”
S.S. SANCHO I: “Resta tra noi?”
MARCHINI WANNA: “Giuro.”
S.S. SANCHO I: “Detto tra noi: non lo so, come la penso. Volevo restare un po’ nel vago, sai…”
MARCHINI WANNA: “…così ognuno ci legge quello che gli pare, giusto, bravo, così si acchiappano i clienti.”
S.S. SANCHO I: “Solo che adesso non posso più.”
MARCHINI WANNA: “Bel casino. [pausa] Tirare in lungo puoi? Prendere tempo?”
S.S. SANCHO I: “Già fatto.”
MARCHINI WANNA: “Ah. [pausa] Trovato. Non rispondi. Dici che è una cosa troppo complessa per rispondere sì o no, e che chiarirai tutto con un’altra cosa, come si chiama? In cicli…”
S.S. SANCHO I: “Enciclica.”
MARCHINI WANNA: “Ecco. Intanto il tempo passa, tutti si dimenticano le domande, e quando fai l’enciclica nuova gli sbatti lì tremila pagine di roba complicatissima, che non ci capisce niente nessuno.”
S.S. SANCHO I: [pausa] Mmm…
MARCHINI WANNA: “Non ti convince?”
S.S. SANCHO I: “L’idea non è male, ma non sono mica stupidi, sai? Poi è gente puntigliosa, rigida…”
MARCHINI WANNA: “Eh, fossero tutti come il nostro Abate di Montecoso…Senti, tu provi così. Poi se proprio non funziona, sai cosa fai?”
S.S. SANCHO I: “Cosa faccio?”
MARCHINI WANNA: “Ti dimetti, Ciccio.”
S.S. SANCHO I: “Cooosa?”
MARCHINI WANNA: “Ma certo, ti dimetti! Ce l’avrai la pensione, no? Una bella pensione da papa, anche.”
S.S. SANCHO I: “Ma sì, però vedi…si è appena dimesso l’altro papa…”
MARCHINI WANNA: “Appunto! Adesso cosa siete, due papi, no? Ottimo, non c’è due senza tre.”
S.S. SANCHO I: “Sarebbe…sarebbe la prima volta nella storia della Chiesa, non so se…”
MARCHINI WANNA: “E allora? Meglio! Un po’ di novità, finalmente, sennò sai che barba?”
S.S. SANCHO I: “Non so, ci devo pensare.”
MARCHINI WANNA: “Tu pensaci, ma guarda che è un consiglio che vale oro. Uno, ti levi d’impiccio con le domande. Due, ti riposi, ti godi la pensione. Tre, metti una faccia nuova a capo della ditta, magari un giovane stavolta, che sarebbe ora…se poi fosse una donna meglio ancora…”
S.S. SANCHO I: “Una donna non si può.”
MARCHINI WANNA: “Va bè, un negro, un cinese, vedi tu. E poi sei finalmente libero di dire quello che ti pare, invece delle encicliche fai delle interviste, magari…Dio che idea! Che idea!!!”
S.S. SANCHO I: “Che idea?”
MARCHINI WANNA: “Un programma tivù, Ciccio! Lo mettiamo su io e te, ‘Le confessioni di un ex papa’! I retroscena del Vaticano! Tu che racconti come ti hanno fatto soffrire tutti quei barbogi, te che volevi fare la rivoluzione e loro niente, la casta dei cardinali! Ti rendi conto?! Spacchiamo l’audience in tutto il mondo, Ciccio! Gliela canti chiara, a quelli là!”
S.S. SANCHO I: “Ma no, Wanna, dai…non esageriamo…”
MARCHINI WANNA: “Macché esageriamo! To’, ho trovato il titolo! No Le confessioni di un ex papa, che fa triste, tipo povero vecchio ai giardinetti….Il papa del popolo! Ti piace?”
S.S. SANCHO I [pausa] “Però…”
MARCHINI WANNA: “ Il papa del popolo! Che titolo, che titolo! Ci stai?”
S.S. SANCHO I: “Non lo so…”
MARCHINI WANNA: “Va be’, pensaci su. Ma se ti dimetti, lo sai che qua da me c’è sempre posto. Si sta in compagnia, ce la passiamo bene, vedrai…io, te, la Stefania poverina, l’abate di Montecoso…magari torna anche il maestro do Nascimiento…”
S.S. SANCHO I: “Grazie, sei gentile. Vedremo, ci penserò.”
MARCHINI WANNA: “Bravo. E senti, per curiosità: cos’è che prendi di pensione?”


Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...


domenica 20 novembre 2016

Perché Renzi probabilmente perderà il referendum
L’Italia di  Rocco Schiavone



Certo, tutto è possibile, ma probabilmente -  al netto dei sondaggi -  è facile intuire  che  i No vinceranno il referendum sulla Riforma costituzionale. Per quale ragione? Forse abbiamo la sfera di cristallo?  No.  Perché agli italiani piace Rocco Schiavone.  Tipico anti-eroe,  vittima del "sistema" (trasferito in Valle d’Aosta  per ordine del solito  politico corrotto),  disilluso con punte di cinismo (nei riguardi di colleghi e capi: tutti disegnati  come stupidi, antipatici, vanitosi),  manesco (“quando ci vuole, ci vuole”), predisposto a violare la legge ( “perché  il pesce puzza dalla testa, ergo...”), comprensivo, talvolta addirittura tenero verso  i vecchi  amici, presentati come simpatici criminali di quartiere.  E se poi fuma qualche spinello, non è quello il problema politico. Al massimo la canna  in questura  è folklore di sinistra:  il  miele che attira la destra cretina dei Gasparri, dei Giovanardi, dei Quagliariello.  Allora qual è il punto?
Schiavone, non è il Clint Eastwood italiano,  non è un individualista a stelle e strisce, con  elevato, anche se molto personale, senso della giustizia, come  l’ispettore  Harry Callaghan e il nonno di  “Gran Torino”. Schiavone, sotto sotto pensa alla pensione. A Roma, lo chiamerebbero "er sola".  Harry si dimette, gettando  sulla scrivania del superiore,  distintivo e pistola, Rocco si consola con gli spinelli. Schiavone coltiva e pratica quel vittimismo (“la colpa è sempre degli altri”)  che piace tanto agli italiani  di tutte le età.  E che Renzi, a differenza di Berlusconi (che voleva mediare con tutti),  prova a sfidare, anche con il referendum. Del resto  la fiction  stravince tra  il   pubblico adulto ( il 22%  di share fra i cinquantenni),  i giovanissimi ( il 12,7% fra i 15-24enni), con un picco sui laureati (24%) (*). Probabilmente, cattura   gli  esodati (che si credevano furbi),  i cassaintegrati (con il doppio lavoro), i disoccupati intellettuali  pieni di rancore,  i giovani  nichilisti digitali. Et voilà, il ritratto dell’elettore pentastellato,  individualista a metà o "protetto": vuole farsi i cazzi propri  ma al tempo stesso  aspira al reddito di cittadinanza o al posticino sicuro,  proprio come Schiavone. 
Pertanto, se  Callaghan ha votato Trump,  Schiavone voterà  Grillo. Perciò, Renzi, perderà comunque. 

                                                                                                                                    Carlo Gambescia 

sabato 19 novembre 2016

Ibernazione umana
Crioconservazione, un approccio sociologico




 Dopo la sentenza dell’Alta Corte di Londra,  sorge spontanea (come si dice...) una domanda.  La crioconservazione, sociologicamente parlando, che conseguenze potrebbe avere?  Per ora di nessun genere. Resterà un fenomeno socialmente circoscritto. Tuttavia,   più in là negli anni,  se la scienza rendesse un fatto, ciò che oggi è un’ipotesi (di poter "risvegliare" un cadavere eccetera), allora le cose potrebbero cambiare. Si comincerebbe  a parlare,  a sinistra, di diritto sociale  alla crioconservazione, in particolare  nei paesi di welfare, come l’Italia, in regime di assistenza sanitaria  pubblica. A destra si condannerebbe la legalizzazione e socializzazione di un diritto che viola le leggi del Creato, volute da Dio. Soprattutto,  la destra  religiosa, sparerebbe a zero su una forma di resurrezione taroccata in chiave materialistica.  Naturalmente, farebbero opposizione al diritto sociale alla criogenesi i malthusiani  di destra come di sinistra. Tralasciamo, infine  tutti gli aspetti, innumerevoli, legati al riadattamento psico-sociale di un individuo "risvegliato", in un tempo storico improprio. Sicuramente,  infine, sorgerebbero associazioni e gruppi di pressione per contrastare i casi di mala-criogenesi...
Quel che è interessante dal punto di vista  strettamente sociologico è come un diritto individuale (“Del mio corpo e dei miei soldi faccio quel che voglio”), se recepito socialmente, e in particolare modo dallo stato,  tenda  sempre  trasformarsi, anche se in linea di principio giusto (ma non è questo il punto), in  meccanismo oppressivo. Tradotto:  siamo davanti alla  eterogenesi dei fini (sociali).  Si pensi a tutto ciò che (spesso di parassitario) andrebbe a ruotare intorno al diritto sociale alla crioconservazione: commissioni di medici, esperti fiscali, contabili di stato, magistrati, industrie farmaceutiche,  società assicurative, burocrati e ispettori  rivolti a controllare la regolarità della concessione  del   diritto ( e i casi di revoca). E infine il costo pubblico, crescente, che andrebbe a  ricadere sull’intera comunità in termini di nuovi tributi. 
Insomma, ogni diritto dell’individuo (senza entrare del merito del suo valore) ha un risvolto in termini di specifico sociologico, cioè si struttura, assume forza propria, si istituzionalizza e tende a volgersi contro l’individuo stesso.  E la sociologia studia proprio tale aspetto. E gli eventuali rimedi. Qui è il suo specifico.


Carlo Gambescia                    

venerdì 18 novembre 2016

 Il dopo Trump
L’Occidente ha  "riscoperto" il populismo



Sembra che dopo la vittoria di Trump  il mondo occidentale abbia scoperto il populismo...   In realtà, il populismo non è assolutamente una novità, al massimo si tratta di una "riscoperta": le élites e il popolo, come impone l’ordine naturale delle cose sociali,  non si sono mai capiti. E non  possono capirsi.   Il famigerato problema della mutua comprensione, o  meglio di un popolo  educato da élites illuminate, ma in realtà recalcitrante, nasce storicamente con l’idea, in parte illuminista (l'uomo che deve essere educato o addirittura costretto ad essere "libero"),  del cittadino perfetto, o comunque perfettibile,  che, dal punto di vista pratico,  risale  allo sviluppo dei  processi politici ed  elettorali su larga scala, in chiave di estensione del voto a tutti i cittadini,  succedutisi  dall’Ottocento ad oggi.  Più il voto si è esteso, più si è sviluppata la necessità di educare o comprare (in senso lato) l’elettore, o tutte e due le cose insieme. Oppure, come è accaduto,  di fare un passo indietro, riducendo o azzerando il diritto  di voto. 
Le democrazie censitarie ottocentesche, coniugavano il suffragio ristretto, se spostate più a sinistra, con il progetto di educazione civile e civica; se spostate più a destra, con chiusure fondate sul principio tutto per il popolo nulla attraverso il popolo. Invece, le democrazie totalitarie novecentesche, al voto  sostituirono la petizione di identità attraverso il plebiscito, organizzato dall’alto, in chiave di stato caserma: al cittadino-elettore si oppose il cittadino soldato (ideologico). Le democrazie welfariste - grosso modo post-Seconda Guerra Mondiale -  hanno invece   puntato sulla compravendita  (sempre in senso lato, sociologico) dei benefici sociali, affiancando  ad essa  un progetto educativo (civico-civile) di lungo periodo, senza però credervi troppo, come oggi  spiega l’impossibilità di riformare il welfare state.
Ora, il popolo, almeno in Occidente (dove lo si è addirittura deificato),  non può essere  consapevole, per ragioni di psicologia collettiva, della complessità del processo storico e sociologico appena illustrato,  sicché  il popolo continua a chiedere, proprio in nome della democrazia,  benessere e sicurezza.  Di qui, la ciclicità storica  di  ciò che si può definire, politicamente parlando, il populismo. Si potrebbe risalire, nelle sue forme più estreme, ai livellatori, ai sanculotti, ai comunardi, eccetera. 
In realtà, il popolo, preso come entità collettiva, non può non essere populista, nel senso di pretendere sempre di più o comunque di rifiutare il passo  indietro in senso economico e sociale. Lo stile di vita, soprattutto se più accettabile e piacevole,  è duro da perseguire, ma ancora più duro il rinunciarvi.  Il problema della democrazia  - ma di regola dei regimi  elettivi  -   non è il cittadino perfetto, che sappia autolimitarsi come un filosofo antico, bensì il cittadino soddisfatto, secondo standard sempre più alti, addirittura  illimitati.
Di qui,  la nascita, non tanto dei movimenti populisti, quanto di leader demagogici, che promettono, al cittadino (in-)soddisfatto ciò che non potranno mai  mantenere,  dal momento che, come sta accadendo, il welfare è  costosissimo e  impone  risorse crescenti  che possono essere reperite solo producendo di più: cosa che può essere ottenuta o sottomettendo (militarmente) altri popoli, o tagliando il welfare e rendendo meno costoso il lavoro. Due passaggi  in contrasto con la logica pacifista e welfarista delle democrazie dei  nostri giorni.  
Il pericolo insomma, è quello di  ritornare allo stato caserma (auspicato, ma non apertamente,  dai demagoghi populisti). Esiste un’alternativa? Forse, ma difficilissima da realizzare, almeno oggi:  il ritorno   alla democrazia censitaria dei pochi ma buoni. Ma dove trovare, in un  sistema anti-meritocratico per principio,   élites degne,  in grado di pilotare il sistema politico verso una democrazia protetta ?    
Insomma, le élites e il popolo non si sono mai capiti. Il realista politico deve prenderne atto.  L’educazione  delle masse -   come si diceva un tempo -  non sembra funzionare in generale,  figurarsi in chiave di autolimitazione socio-economica. Il welfare per contro, quale compravendita (sociologica) del benessere economico,  sembra aver favorito un lungo periodo di pace interna. E anche di questo va preso atto.   Ora però sembra arrancare. Si dovrebbe perciò  fare un passo indietro, senza per questo tornare alla democrazia censitaria:  un passo indietro nel senso di tagliare gli elevati costi sociali.  Ma come spiegarlo a chi non vuole o non può  capire, quindi al popolo?  Una specie di bambino viziato? 
Il che però spiega  la "riscoperta"  del populismo e  il successo dei leader populisti. I quali però  non dicono che  il conto da pagare (il loro)  rischia di essere  salato.

Carlo Gambescia                            

giovedì 17 novembre 2016

Due cari amici veneti
Viva il comunismo
del Nord-Est!


Mi  sono concesso  alcuni giorni di riposo, trascorsi in casa di amici veneti,  accolto come un re.  Inevitabilmente, tra una grappa,  un durello  e  prelibatezze locali, a cominciare da polenta e stoccafisso,  si è parlato anche di politica.  Il mio amico, che chiamerò l’Alpino,  è di sinistra, e da sempre. Impiegato nell’ufficio tecnico di una grande impresa,  da qualche anno  è  in pensione.  Ex sergente degli alpini per l’appunto,  alto,  robusto,  direi imponente:  quando prende il boccino di una conversazione non lo molla più.  Insomma, un  grande affabulatore:  ha sempre un aneddoto su tutto, lo si ascolterebbe per ore.  Non ha  perso lo spirito barricadiero della sua gioventù, ma   ben conosce, come dire,  la  “montagna” della politica.  E  ne teme le oscurità selvatiche e quei  dirupi che  possono aprirsi all’improvviso sotto i piedi di ognuno di noi… Perché, come ama  ripetere,  con la  montagna e con la politica  non si scherza mai.
La padrona di casa, che chiamerò  la Presidentessa,  ora in pensione,  si è trovata  per l’appunto a capo di una cooperativa sociale, che ha condotto con il  piglio  di un Benetton. Piccolina,  sempre graziosa, dagli occhi vivacissimi, come quei  bambini sempre in movimento,  che   una  ne fanno, cento ne pensano… E quel che è  bello, è che la Presidentessa, anche ciò che pensa lo porta, regolarmente,  a termine.  Se lui  è un  alpino italiano, lei è un fuciliere prussiano. Insieme,  fanno scintille. Spet-ta-co-la-ri.  A differenza del marito, la Presidentessa non ama molto la “politica”,  ma diciamo che  ha una sensibilità di sinistra.
Inevitabilmente, come accennato, si è parlato di questioni politiche. E con mia sorpresa, piacevole sorpresa, ho scoperto grande moderazione.  All’Alpino, non piace la politica urlata. Ma neppure  alla Presidentessa.  Tutti e due  avvertono la necessità delle riforme economiche, ma anche istituzionali.  E soprattutto credono fermamente  nell’importanza di porre i cittadini nella condizione di fare da soli. Detto altrimenti, laissez faire,  laissez passer. Sono nemici, fieri nemici, di ogni forma di autocommiserazione  e vittimismo politico.  Al centro della società scorgono un individuo libero, responsabile, creatore, ma capace al tempo stesso, per  buttarla sul geopolitico,  di sentirsi  veneto, italiano ed europeo. Di questi tempi, brutti, la quadratura del cerchio... Quindi,  si immagini  il mio entusiasmo di  noto  difensore delle cause perse.  Scherzando ho detto loro, " Siete liberali senza saperlo".  E sapete cosa mi hanno risposto?  “No! Sei tu, comunista senza saperlo!”.  Non ho replicato, però dentro di me ho pensato:  “Viva il comunismo allora!”  E viva pure l’amicizia.



Carlo Gambescia  

                  

venerdì 11 novembre 2016

Le manifestazioni anti-Trump
Attenzione a non sfasciare tutto…



E’ ovvio che la democrazia, proprio perché tale,  debba  ammettere  il dissenso, anche pubblico, quindi di piazza.  Il problema non riguarda  tanto le manifestazioni, quando la loro natura (pacifica o meno) e il grado di legittimazione politica delle medesime.  Nel primo caso, davanti agli  eccessi, la repressione spetta alle forze dell’ordine (e il giudizio sugli uni e le altre alla magistratura); nel secondo caso, dinanzi alla violazione dei valori  che regolano la democrazia (come la mutua accettazione di una sconfitta elettorale),  è compito delle élites politiche, soprattutto dei perdenti, ritirarsi in buon ordine ed evitare che le schede possano tornare a trasformarsi in pallottole (il famoso ballot x bullet).  La democrazia dei moderni consiste, principalmente, nella trasformazione  del conflitto armato in conflitto politico. In conflitto tra avversari,  non tra nemici. Equilibrio, in realtà, difficile da conservare.
A questo  pensavamo, leggendo  delle manifestazioni contro il neo-eletto presidente Trump. Il quale, indubbiamente, ha cominciato per primo. Come dimenticare le sue  dichiarazioni, prima della vittoria? Sul fatto  che egli  non fosse poi così sicuro di poter accettare un verdetto elettorale sfavorevole? Dal momento che diffidava del sistema?
Ecco, sono questi,  gli atteggiamenti che possono distruggere l'equilibrio democratico. Probabilmente i facinorosi che osteggiano Trump in piazza, anche se non provocati, avrebbero comunque protestato secondo modalità così clamorose.  Ma un politico, se serio e responsabile,  non deve  mai aizzare le folle contro le istituzioni, soprattutto quando democratiche.  Ora però il danno è fatto,  e oltre a Trump, che tra l’altro sembra aver sfoderato un nuovo alto profilo istituzionale, i suoi avversari democratici  e i media  spostati a sinistra  dovrebbero evitare di soffiare sul fuoco. 
Si pensi solo, senza andare troppo indietro nella storia, al caso italiano, dove, per oltre venti anni,  il giustizialismo e la contestazione politica  permanente e  feroce di chiunque fosse al governo,  hanno destabilizzato le istituzioni e portato acqua al mulino elettorale di pericolosi  movimenti antisistemici.
La democrazia liberale (liberale perché attenta al dissenso e ai diritti dei singoli) è un meccanismo estremamente delicato e riposa non tanto ( o comunque, non solo)  sul rispetto di regole scritte, quanto sulla necessità "politica" di capire, da parte dei partiti, di maggioranza come di opposizione (ma anche, cosa non secondaria, dell’apparato mediatico),  che una volta risvegliato  l’ istinto gregario e violento  degli elettori  non è facile tornare indietro. Pertanto,  è certamente  vero che Trump ha iniziato per primo, usando un linguaggio durissimo verso gli avversari, però è altrettanto vero che  tentare di delegittimarlo, dopo una regolare vittoria elettorale, significa davvero incamminarsi verso l’orlo del precipizio.
Qualcuno dirà, anche Hitler vinse eccetera. Ma il punto è proprio questo, Trump non è Hitler. Dove sono le SA o le SS? C’è un abisso tra un conservatore americano all’antica, che ha saputo fare un sacco di soldi,  che non  guarda oltre il  giardino di casa sua, e un militarista mitomane, professionalmente fallito, che voleva conquistare il mondo a  qualunque costo per purificarlo dagli ebrei. E poi il contesto degli  Stati Uniti di oggi  è completamente diverso da quello della Germania di Weimar.
Sono cose scontate, eppure, siamo costretti a ricordarle. Morale: come dicevano i nonni, che di sociologia non sapevano nulla di nulla,  chi ha buon senso, lo usi. Attenzione a non sfasciare tutto.

Carlo Gambescia