Comunque andrà, non finirà bene.
Gioire per i due milioni in piazza, come dice la sinistra? Deridere e minacciare, come fa la destra? Da una parte Landini, dall’altra la Meloni. L’Italia peggiore.
Per difendere Spartaco, pardon Maurizio Landini, si invoca la modernità del conflitto sociale, brandendola come un’arma contro la destra, che non ne coglierebbe il valore di sale della democrazia. Dall’altro lato, Giorgia Meloni, come Alberto de’ Stefani, primo Ministro del Tesoro e delle Finanze di Mussolini, oppone la calcolatrice del ragioniere, che misura in euro il costo di uno sciopero generale per il Paese.
Siamo davanti a due forme di populismo.
La prima, di sinistra, sogna una sorta di rivoluzione permanente: un nuovo Sessantotto sindacale e politico. Non un conflitto per le riforme (come in ogni buona liberal-democrazia), ma l’assalto al Palazzo d’Inverno.
La seconda, di destra, ricorda quella fascista che faceva funzionare la reta tramviaria nell’Italia del 1922: quel populismo volgare che vede nello scioperante uno scioperato, o peggio ancora un nemico della pace sociale, un amico della rivoluzione.
Gaza, a fronte di questo scontro tra necrofori della liberal-democrazia, maestri di ignoranza politica – a destra come a sinistra – non è altro che un pretesto.
Pseudo-umanitario per una sinistra che non ha mai scioperato contro Putin: autoritaria, anticapitalista, antisemita.
Pseudo-occidentale per una destra che parteggia per Israele, ma solo per rifarsi il trucco. Al fondo, animata dagli antichi demoni.
Ripetiamo: Gaza è un pretesto, qualcosa a cui aggrapparsi: una specie di sostegno ideologico per covare odio reciproco e diffonderlo a piene mani tra la gente. A destra come a sinistra.
Per farla breve: in questo modo si favorisce la dissoluzione del patto liberal-democratico. Per ora i proiettili, invece delle schede elettorali, sono solo verbali. Ma non è detto. Per dirla alla buona, dalle parole ai fatti, è un attimo…
Poveri Palestinesi. Un popolo che avrebbe bisogno di conoscere la modernità dei valori: di una secolarizzazione e di un’integrazione – qui la responsabilità degli ultranazionalisti israeliani – mai veramente tentate.
La soluzione, come abbiamo più volte scritto, è quella di un unico popolo sotto la bandiera della modernità. Ci vorrà tempo: il processo di secolarizzazione in Occidente ha appena un paio di secoli, e ancora non è riuscito del tutto. Quindi serve pazienza.
E invece i populismi di destra e sinistra cosa propongono? "Due popoli, due stati".
Cioè – alla luce della lezione dei nazionalismi, vissuti come pericolose religioni civili – uno stato di guerra permanente.
Per capirsi meglio: lo spirito di nazione, per non degenerare in nazionalismo, deve essere sostenuto da istituzioni liberali, politiche ed economiche (stato di diritto, parlamento, libero mercato) e da processi di secolarizzazione basati sullo sviluppo di un sistema di diritti politici, civili ed economici.
Semplificando: la secolarizzazione deve precedere la politicizzazione.
La politicizzazione senza secolarizzazione si traduce in fascismo, o comunque nel trionfo della reazione: più o meno in ciò che la destra oggi evoca quando parla di “dio, patria e famiglia”.
La secolarizzazione senza politicizzazione si trasforma invece in ciò che oggi è la sinistra: un misto di populismo economico e utopia welfarista, di lagne umanitariste, però a senso unico.
Due populismi, a destra e a sinistra, che alla fine si toccano. Perché sull’idea dei “due popoli, due Stati” c’è accordo perfetto.
Perciò, come dicevamo all’inizio, non andrà a finire bene.
Carlo Gambescia

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