lunedì 31 luglio 2017

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2017, lunedì 31 luglio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta dal Comando delle unità per la tutela forestale ambientale e agroalimentare nell'ambito della procedura riservata n. 203/5, autorizzazione COPASIR 501/3 [Operazione “FAVOLIERE” , N.d.V.] è stata registrata in data 30/07/2017, ore 07,12, dalla postazione fissa n. 3, sita nel Parco nazionale dell’Abruzzo, la seguente conversazione tra due PLANTIGRADI, provvisoriamente identificati come ORSA MARIANNA e ORSO GIORGIO. Sono in corso accertamenti sull’identità dei due plantigradi e su loro eventuali affiliazioni politiche. Si riporta di seguito la trascrizione integrale della registrazione suindicata.


ORSA MARIANNA: “Dio, Giorgio! Finalmente! Stai bene?”
ORSO GIORGIO: “Ma sì, sì…ho solo un mal di testa bestiale, mi hanno sparato la siringa di anestetico…Voi? I ragazzi? Tutto bene?”
ORSA MARIANNA: “Sì, sì, stavamo solo in pensiero per te…insomma, cos’è successo?”
ORSO GIORGIO: “Ma niente, ho sbagliato porta e sono entrato in cucina…”
ORSA MARIANNA: “Volevi andare a..”
ORSO GIORGIO: “…sì, a prendere un prosciutto in cantina, non l’ho trovato, ho preso la scala e bàm! Mi trovo in cucina!”
ORSA MARIANNA: “Ma era notte fonda, erano ancora alzati, loro?”
ORSO GIORGIO: “No, è che ho sbattuto contro la credenza, giù tutti i piatti, un casino…si svegliano, scende il padre, e patatrac.”
ORSA MARIANNA: “Oddio! Ti è andata bene che non ti ha sparato! E tutto per un prosciutto, te l’avevo detto che…”
ORSO GIORGIO: “Era per voi il prosciutto! Cos’è adesso, colpa mia?”
ORSA MARIANNA: “Ma no, dai, non ti arrabbiare. Era un pensiero gentile, il prosciutto piace tanto, ai ragazzi…Ma rischiare la vita, Giorgio…”
ORSO GIORGIO: “Rischiare la vita?! ma figuriamoci. Non ci possono sparare più.”
ORSA MARIANNA: “Sei sicuro?”
ORSO GIORGIO: “Se ci sparano gli danno delle multe che li rovinano, Marianna. Forse li mettono anche in prigione.”
ORSA MARIANNA: “Non ci credo.”
ORSO GIORGIO: “Non ci credevo neanche io. Me l’aveva detto, Antonio…”
ORSA MARIANNA: “Antonio è un vecchio rimbambito.”
ORSO GIORGIO: “Sì, ma guarda la tv degli uomini tutto il giorno, è fissato coi programmi di Piero Angela, sai quelli sugli animali che ci racconta sempre? E’ così, ti dico. Non ci possono più sparare. Anche stavolta: il padre ce l’aveva, la doppietta, stava lì appesa in cucina, gli bastava allungare una mano e la prendeva, e invece cos’ha fatto?”
ORSA MARIANNA: “Cos’ha fatto?”
ORSO GIORGIO: “Si sono chiusi in camera, dietro una porta che con una zampata la buttavo giù.”
ORSA MARIANNA: “E basta?!”
ORSO GIORGIO: “E basta. Guarda, ci sono rimasto a bocca aperta. La sorpresa, ma soprattutto, non so…non ho voglia di parlarne, Marianna, lasciami stare…”
ORSA MARIANNA: “Non tenerti tutto dentro, Giorgio, che poi stai male…sfogati, su…”
ORSO GIORGIO [pausa]: “Non è giusto, Marianna. Non è naturale. Ci trattano come…come se fossimo…non lo so, è…”
ORSA MARIANNA: “Ma non è meglio se non ci possono più sparare, scusa?”
ORSO GIORGIO: “Sì, però no, non è meglio. Cazzo, guarda qua…”
ORSA MARIANNA: “Giorgio! Certe parole! Ci sono i ragazzi di là!”
ORSO GIORGIO: “Ma vaff…scusa. Scusa, hai ragione. Insomma: guarda qua, le vedi queste zampe? Li vedi questi denti? Lo sai che se volevo me li sbranavo tutti, dal primo all’ultimo?”
ORSA MARIANNA: “Ma certo, caro, lo so, lo so…”
ORSO GIORGIO: “E’ che loro, loro non lo sanno più! Non sanno più niente, Marianna! Ci trattano come se fossimo finti, ecco! Degli orsetti di pezza!”
ORSA MARIANNA: “Ma no, dai, adesso esageri…”
ORSO GIORGIO: “C’era un patto, sì o no?”
ORSA MARIANNA: “Certo che c’era un patto, c’è ancora il patto! E’ antico come il mondo! “Orso mangia uomo solo per non morire di fame, uomo uccide orso solo per non farsi mangiare.”
ORSO GIORGIO: “E invece non c’è più, il patto. Siamo una cartolina per turisti, altro che patto. Li ho sentiti, sai? Chiusi in camera, telefonavano alla Forestale – ah, tra l’altro non c’è più, la Forestale, lo sapevi? C’è un’altra roba che non ho capito bene. E dalla pseudoforestale gli rispondevano, ‘Mi raccomando, restate calmi e non fate male all’orso…’ Non fate male all’orso! Ti rendi conto? Peso 150 chili, con una zampata gli stacco la testa e loro ‘Non fate male all’orso!’ [pausa] Che umiliazione, che vergogna…”
ORSA MARIANNA: “Su, dai…sarà un momento così…non ti fare il sangue cattivo…”
ORSO GIORGIO: “Mi è venuta una botta di depressione che mi sono seduto lì in cucina e mi sono scolato dieci bottiglie di birra. Quando mi hanno sparato l’anestetico ero già mezzo ubriaco. [piange]”
ORSA MARIANNA [lo abbraccia]: “Su, su…cosa te ne importa, poi…sono uomini, no? sono diversi. Ce ne restiamo tra noi, in famiglia, con gli amici…lasciali perdere quelli.”
ORSO GIORGIO: “Ma sì, hai ragione tu. [pausa] Però cosa vuoi che ti dica? Mi dispiace. Una volta erano diversi.”
ORSA MARIANNA: “Gli uomini?”
ORSO GIORGIO: “Gli uomini, sì. Erano strani, è vero. Piccoli, deboli, senza artigli, senza zanne, senza pelliccia, eppure…eppure…”
ORSA MARIANNA: “Eppure erano come noi, vero?”
ORSO GIORGIO: “Sì. Quasi. Quasi come noi.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.
M.Osvaldo Spengler



(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)

Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...






sabato 29 luglio 2017

La ricetta politica di Yahoo
Antifascismo a colpi di slide





Non è poi così curioso  che  a più di settant’anni dalla caduta del fascismo  si combattano  ancora i miti  su di esso: dai  treni  in orario, alla istituzione di  tredicesime,  pensioni, dopolavoro, eccetera, eccetera. Insomma, come per tutte le leggende  siamo dinanzi a  mezze verità,   né vere, né false. O comunque, a un fondo di verità, quindi materia ideale  per discussioni infinite, da animare secondo  la propria “fede” politica.      
A questo pensavamo, leggendo  le 10 slide “antifasciste” pubblicate da Yahoo, sotto il titolo “Bufale sul fascismo. La verità storica" (1). Ora,  a  parte le leggi razziali, imperdonabili a prescindere,  gli altri punti sono tuttora al centro di controversie storiografiche.  Insomma, crediamo non sia questo il piano sul quale debbano essere contrastate, e con successo,  le sirene di  quel  neofascismo, neppure troppo dormiente, che tuttora alberga  nell’inconscio collettivo di  molti italiani.           
Il punto  è un altro.  Il   fascismo  fu un fenomeno storico devastante, perché  impregnato fino al midollo dei veleni del  nazionalismo e dello  statalismo, cause  dei  mali successivi, compresa la sua caduta,  come vedremo più avanti.  
E di quei  veleni,  gli italiani  non si accorsero.  O meglio,  se ne accorsero quando era troppo tardi, a suon di bombe.  Anche perché, a parte alcune minoranze più o meno illuminate, gli italiani, giunti tardi alle istituzioni liberal-democratiche, per secoli in bilico tra anarchismo e servilismo politico, non avevano mai dato troppo peso alla libertà politica. E purtroppo, bisogna dire,  continuano a non darne. Qui, il nodo. Diremmo, antropologico.  
Pertanto, c'è qualcosa che non va in noi,  se perfino nelle conversazioni in taxi, al bar, in metro, talvolta nei luoghi più improbabili,  si continua  a ricordare del fascismo, addirittura con nostalgia,  il "momento" welfarista: quello della sicurezza sociale.  Che cosa non va?  Si pensi a  un italiano  assuefatto da secoli,  via Santa Madre Chiesa e via  tirannelli politici,  a scorgere nello stato e nel potere politico  un dio che atterra e suscita, per dirla con Manzoni.  Insomma,  una specie di padrone burbero ma benevolo. Altro che il moderno culto delle libertà politiche... Puro paternalismo.      
Discutere ancora, dopo settant’anni, di  tredicesime,  sorvolando  sul bellicismo  nazionalista e sull’anima totalitaria dello statalismo fascista,  significa mettersi sullo stesso piano dell’avversario. Il vero fiasco del fascismo  -  cosa  che può apparire  paradossale -  è nel fatto, che nonostante le adunate, le parate, il bellicismo e il nazionalismo sbandierati ai quattro venti,  mancò di  cultura della guerra.  Francesco Cossiga,  da  eccezionale osservatore della storia politica italiana,  ha giustamente rilevato, che

«fu una guerra disastrosa perché l’Italia era impreparata, l’esercito inadeguato, l’industria militare insufficiente. La sconfitta ebbe molti padri, ma il contributo di Mussolini fu decisivo. Dietro la maschera di Duce, dietro la spavalderia delle parole d’ordine, dietro il consenso delle folle oceaniche, le dure prove del conflitto da confini universali svelarono un  carattere politico debole, sempre incline al compromesso, tutto tattica e niente strategia, Così la guerra, punto centrale dell’ideologia nazionalfascista del Ventennio, fu la causa prima della crisi del regime. E l’uomo che aveva militarizzato la politica, cadde come un banale dittatore in seguito a un colpo di palazzo che aveva politicamente sottovalutato. Agli italiani  che tutto sommato non si erano lasciati “fare” consegnò un paese sull’orlo del baratro, con una guerra  ancora tutta da perdere e una guerra civile ancora tutta da combattere» (2).


Se Mussolini, come Francisco Franco (un militare, che conosceva benissimo l’arte della guerra e i suoi pericoli), avesse evitato le  sirene hitleriane e di imbarcarsi in un conflitto mondiale armato di un milione di biciclette,  il fascismo sarebbe morto di vecchiaia, tra le lacrime degli italiani:  tutti muniti di regolare libretto pensionistico e cassa mutua.  E, ovviamente  con la tessera del fascio in tasca. Piaccia o meno, ma   per l'italiota  la libertà politica era ed è un optional.  Tuttavia,  il fascismo, proprio  a causa della sua ideologia  bellicista e nazionalista, non fu in grado di evitare la guerra: se non avesse invaso  la Francia  avrebbe tradito se stesso. 
E qui si apre un’altra grossa questione.  Gli italiani furono ingannati? Se avessero saputo la verità sull’impreparazione militare, si sarebbero ribellati, eccetera, eccetera?   Forse.  Però, va osservato, che se l’ubriacatura sulle tredicesime continua dopo settant’anni,  tanto che Yahoo  deve contestarla a colpi di slide,  non è difficile immaginare, come nel 1940,  quelle "folle oceaniche" fossero in realtà convinte di poter vincere la guerra e continuare a ricevere la "befana fascista".
Il che significa due cose. La prima che il consenso intorno al fascismo era largo. La seconda, che quella mentalità welfarista-statalista, del barattare la libertà con  una  qualche forma di sicurezza sociale, vive e lotta insieme  a noi.  
Due cattive notizie, a prova di slide.  Che vanno oltre il fascismo stesso.

Carlo Gambescia


(2)  Francesco Cossiga (con Pasquale Chessa), Italiani sono sempre gli altri. Controstoria d’Italia da Cavour a Berlusconi, Mondadori, Milano 2007, pp. 118-119.

                         

venerdì 28 luglio 2017

La legge sui “vitalizi” sotto  le lenti della  sociologia economica
I see a bad moon rising





La  gara tra Pd e M5S  intorno  a chi spetti il merito della “legge anti-vitalizi”, approvata alla Camera,  crediamo siamo il punto più basso toccato  nell’intera storia repubblicana.
In pratica,  si sancisce il principio “anticasta”  che il “lavoro” del parlamentare è un lavoro come un altro e che quindi deve essere retribuito, anche sul piano pensionistico, come tutti  gli altri lavori, attenzione, dipendenti.
Dicevamo punto più basso. Per carità  non è nostra intenzione evocare la Costituzione, la natura particolare della magistratura parlamentare, il principio di irretroattività violato, eccetera, eccetera. Proponiamo al lettore  una pura analisi di sociologia economica.   Allacciarsi le cinture.      
La legge, si dice, colpisce il “professionismo politico”:   in realtà   attacca  forse la più  preziosa  innovazione  della modernità: la specializzazione (che rinvia a un'altra pratica moderna: la divisione del lavoro).   Non è forse vero che la modernità è   fondata  in tutti i campi  sulla specializzazione professionale?  Retribuita in base ai  valori di mercato?  
Quanto  più la specializzazione  è profonda, in termini di investimenti professionali, tanto   più alto il valore della retribuzione. Sempre che sul mercato ci sia richiesta di “specialisti” politici.  E qui veniamo al punto fondamentale della questione. 
Parificando, il lavoro di un parlamentare  a quello di un qualsiasi  lavoratore dipendente, lo si mortifica economicamente, dal momento che  lo specializzarsi come politico  impone investimenti piuttosto alti,  come per certe professioni liberali, quindi indipendenti.  Non solo: al professionista politico servono  non comuni capacità personali.
Inoltre, la  parificazione - altra cosa fondamentale  -  rappresenta  il punto di arrivo  di una vera e propria campagna speculativa, soprattutto mediatica,  che, nel corso degli anni,  ha azzerato il valore di mercato del “politico professionale”. Insomma,   prima l'ondata speculativa al ribasso,  poi la parificazione, o riallineamento verso il basso.  Et les jeux sont faits .
Le nuove retribuzioni, in prospettiva, che tipo di mercato politico produrranno?  Per un verso attireranno gli idealisti puri,  non sempre provvisti di quel realismo che in politica resta un fattore fondamentale. Per l’altro capteranno  quei notabili,  già  provvisti di mezzi propri,   che,  eccetto non siano al tempo stesso ricchi e  idealisti,   "scenderanno" in politica  con  finalità egoistiche.
Pertanto livellamento della retribuzione  e  parificazione con il lavoro dipendente  rischiano di creare un Parlamento composto in larga parte di  idealisti e  egoisti.  E gli egoisti potrebbero comprarsi gli idealisti. O per contro, gli idealisti tagliare la testa agli egoisti.  Risultato finale: si rischia  un Parlamento pieno zeppo di venduti,  incapaci e  prepotenti. Si chiama eterogenesi dei fini.
Insomma,  per dirla con una vecchia canzone dei Creedence Clearwater Revival:

I see a bad moon rising
I see trouble on the way
I see earthquakes and lightnin’
I see bad times today

A proposito,  con questa legge, "dicono", si risparmieranno 215 milioni di euro all’anno . Sapete a quanto ammonta il debito pubblico italiano?  2260, 3 miliardi di euro…



Carlo Gambescia

giovedì 27 luglio 2017

Perché in Italia è così complicato  creare un "fronte" politico moderato?
Il circolo vizioso




Perché Macron, Rajoy, Angela Merkel, per citare i casi più eclatanti, riescono a raccogliere intorno alle loro figure  un "fronte" politico moderato? E perché la stessa cosa non riesce Renzi? Per non parlare del variopinto centrodestra italiano ?
Probabilmente, innanzitutto,  esiste un problema di capacità individuali: Renzi non ha la visione di Macron, il sedere di pietra di Rajoy, l’intuito politico della Merkel.  Renzi, dopo un luminoso  decollo iniziale, si è sgonfiato e spento, come capitava ai volatili lampioncini colorati che punteggiavano le vie fiorentine durante la storica festa della Rificolona. A dire il vero, spesso colpiti da bucce di cocomero, lanciate a tradimento  da finestre, preventivamente oscurate.  Comunque sia, scorze giudiziarie o meno,  Renzi sembra incapace di andare oltre le battute, più o meno salaci, come si usava  tra i portatori di lanterne:  “La mia l’è co' fiocchi e la tua l’è co' pidocchi. E l‘è più bella la mia di quella della zia...”.  E così via…         
Dopo di che, secondo fattore,  in Spagna, Francia, Germania il ceto medio sembra essere  meno sensibile alle sirene del populismo. Per quale ragione?  Forse perché la democrazia rappresentativa e l’economia di mercato sono stati metabolizzati meglio. Di qui, la piena consapevolezza, che Parlamento e  Mercato sono l’orizzonte politico-economico, dal quale  potrebbe essere pericoloso fuoriuscire. Di qui, l’accettazione delle riforme economiche, riforme che si stanno dimostrando fruttuose: la Francia corre meno (del resto Macron,   da poco, ha afferrato il potere), ma Spagna e Germania sono in fuga.    
Va onestamente ricordato che la Spagna è passata attraverso una guerra civile (seguita da una dittatura via via fattasi più blanda); che la Francia rimane la terra per eccellenza della rivoluzione; che la Germania  ha dato i natali politici a Hitler. Eppure i ceti medi  spagnoli, francesi tedeschi hanno metabolizzato la democrazia liberale meglio degli italiani.  
Per contro, in Italia, paese che ha “inventato” il fascismo per poi liberarsene con una scrollata di spalle,  il ceto medio sembra tuttora  affascinato dalle sirene dell’antipolitica e del populismo, per non parlare della  nostalgia del duce.   Riuscirà il ceto medio italiano,  per usare la  classica metafora di Grass, a gettare alle ortiche  il suo puerile  tamburo di latta?  Dando prova, finalmente, di  maturità politica ? 
Va detto  che un  Renzi "appiccicato"  alle terga di  Grillo, con Gentiloni a ruota,  non aiuta:  si pensi solo alla legge, di filiazione ideologica grillina, sui vitalizi parlamentari, con il Pd  portabandiera in Parlamento. Come non aiuta,  un  Berlusconi, vecchio mago della pioggia,  che  dichiara ai quattro venti di voler diminuire le tasse e aumentare le pensioni.
Diciamo che in Italia, a differenza di Spagna, Francia, Germania,  si è sviluppato un pericoloso circolo vizioso  tra classe politica e ceto medio: ci si  sfida  sul chi sia capace  a  spararla più grossa. E a berla ancora più grossa.
Come ne usciremo?      


Carlo Gambescia 

mercoledì 26 luglio 2017

La riflessione
Complottismo e anticomplottismo, 
pari sono?


Il punto di vista dell'osservatore
La domanda posta nel titolo è insidiosa. Perché dal punto di vista ideologico, della razionalizzazione (giustificazione) della realtà,  quindi restando sul piano del fenomeno osservato,  complottismo e anticomplottismo sono due posizioni  che si  affrontano e negano l’un l’altra, impiegando gli strumenti retorici più diversi. Talvolta i due estremi finiscono addirittura per sfiorarsi.
Il discorso muta invece, se si ragiona dal punto vista dell’osservatore del fenomeno. Dello studioso. che deve giudicare le razionalizzazioni secondo la loro lontananza-vicinanza dalla realtà: nel caso, la realtà sociale. Ovviamente, la  nostra impostazione,  che definiamo sociologica, presuppone due pre-assunti cognitivi, che per ragioni di correttezza scientifica non possiamo non sottolineare: 1)  la distinzione tra la realtà dell’osservato (razionalizzata, secondo finalità retoriche e conflittuali,  che quindi si "sovrappone"  alla realtà)   e quella di chi osserva (che "combacia" o quasi con la realtà) ; 2)  un'idea, come poi vedremo,  della  realtà sociale, come entità oggettiva,  quindi sufficientemente vicina alla realtà fino al punto di aderire a essa,  che può servire di guida a colui che osserva, per giudicare le argomentazioni degli osservati.
Pertanto, ripetiamo,  studieremo il fenomeno dal punto di vista dell'osservatore e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva. E, nei "limiti" di questo approccio, proveremo a dare una riposta alla questione.  Una risposta non la risposta.

Julius Evola e Adam Smith  
Ora, cosa sostiene, in ultima istanza,  il complottismo?  Che i fili della realtà sociale sono ben tenuti, per i propri fini, da un  ristretto gruppo di individui, dotato di larghi mezzi, che decide per tutti gli altri. Cosa sostiene invece l’anticomplottismo? Che i fili della  realtà sociale sono mossi  dalle  azioni di  milioni e milioni  di individui,   tesi, a perseguire, con risorse molto differenti,  i propri interessi, nel senso che ognuno decide per se stesso.  Per dare un senso simbolico alla nostra affermazione:  da un alto c’è Julius Evola, prefatore dei “Protocolli”, dall’altro Adam Smith con sottobraccio la sua “Ricchezza delle nazioni”.  
Quale delle due teorie, per così dire, è più vicina alla realtà sociale così com’è, quale entità oggettiva. Sicuramente quella anticomplottista. Perché seppure esiste  un incappucciato,  il suo nome è "società". Ci spieghiamo  meglio.
Si prenda come esempio di fenomeno sociale il "capitalismo" (per usare la terminologia marxiana). Esso  non è  il magnifico frutto proibito  di una decisione presa a tavolino, del tipo “fondiamo il capitalismo”,  secondo  dettami  costruttivistici.  In realtà, si tratta  di un sistema economico-sociale  che si è prodotto, a livello macro,  non attraverso le leggi del materialismo storico (come sosteneva Marx) e neppure per mezzo delle decisioni segretissime di un gruppo di massoni, ebrei, senza dio assortiti (come sosteneva il pensiero reazionario),  ma si è sviluppato, a livello micro,  mediante le scelte,   poi  premiate (ma solo dopo), di milioni e milioni di individui: si potrebbe parlare di micro-decisioni confluite, senza alcuna intenzione più generale, nella macro-costruzione di un sistema storico. Giorno dopo giorno, senza che nessuno sapesse nulla della meta. L'opposto, quindi, dell'ipotesi costruttivista.

Logica del successo?
In altri termini, il capitalismo ha provato, attraverso un meccanismo di selezione evolutiva, di essere migliore di altri sistemi. E quindi di venire scelto come tale.  Ma solo dopo alcuni secoli. Marx fu il primo a trovargli un nome,  a posteriori e da nemico. Logica del successo? Certo. E proprio perché tale, non esclude che, sempre per quell’effetto di ricaduta dei  milioni e milioni di decisioni inintenzionali ( nel senso dell'assenza di "una" finalità collettiva prestabilita),  il capitalismo, in futuro, sempre ad opera di un meccanismo di selezione evolutiva, possa (preferiamo, il congiuntivo delle scienze sociali serie) essere sostituito da un altro sistema.  
Insomma, la "fabbrica sociale" - siamo  nel cuore cuore della nostra analisi -   funziona così. Eccoci finalmente dinanzi alla società come entità  oggettiva, o se si preferisce,  quale  "fatto sociale".  Ripetiamo, non esiste perciò un gruppo di "incappucciati", addirittura con nomi e cognomi, bensì un "sistema incappucciato" contraddistinto da interazioni decisionali individuali, dalle finalità collettive imprevedibili. Ciò significa, se non fosse ancora chiaro,  che  il complottismo, che parla di finalità prestabilite  ( quindi prevedibili), addirittura decise intorno a un tavolo da un gruppo di "illuminati",  è una forma di costruttivismo. Se si vuole, al suo grado zero.
Il che indica, sotto il profilo scalare (dal grado zero in su), che quel che rimane più difficile, se non impossibile, è l’imposizione dall’alto  di un  qualsivoglia sistema ( tipo “fondiamo questo, fondiamo quell’altro”).  L’analisi e i disegni costruttivisti, proprio perché si allontanano dalla realtà, come mostra l’ esperienza sovietica (il "top" in tale ambito),  hanno sempre durata limitata (certo, parliamo sempre di “tempi storici”). Insomma,  le società-fatto oggettivo, come insieme di meccanismi dotati di forza propria, perché frutto di milioni e milioni di micro-decisioni, non possono essere governate dall'alto, come caserme. Ad esempio, il grande storico Jacques Pirenne, scorgeva, addirittura all'interno della storia sociale dell'Antico Egitto, l'alternarsi di periodi segnati dall'assolutismo e da un individualismo che prepotentemente tornava sempre a riaffacciarsi. Anche tra le piramidi.
Per fortuna,  come la storia insegna, pur tra alti e bassi,  la libertà, che è, sostanzialmente, libertà di scelta, si vendica sempre, checché ne pensino i vedovi e le vedove inconsolabili dei francofortesi.

Il mago della pioggia e l'ingegnere
Perciò - ecco la lezione del "politico" -   se talvolta, si deve ricorrere alla costrizione, è bene  che si tenga sempre presente la logica del male minore e dei tempi brevi.  Regola, come insegna lo studio delle costanti o regolarità metapolitiche, che vale per ogni tipo di sistema politico-sociale ed economico. Ad esempio,  l'esistenza delle michelsiana ferrea legge dell'oligarchia, costante metapolitica per eccellenza,  rinvia alla forma dei rapporti politici e sociali, se si vuole al lato gerarchico, statico,  trans-storico,  del comando e dell'obbedienza,  non ai suoi contenuti,  intra-storici quindi  dinamici,  mutevoli, imprevedibili,  perché  esito dell'effetto di ricaduta del meccanismo micro-decisionale.        
Questo è quanto  dal punto di vista di chi osserva, il nostro, come già detto. Ovviamente, tra gli osservati, e qui pensiamo al conflitto  tra  complottismo e anticomplottismo, le posizioni risentono degli eccessi retorici  della sfida, anche verbale: il conflitto non è tra verità e realtà sociale, tra dover essere ed essere, ma tra due forme di dover essere. Sicché, il complottista finisce per  sentirsi dalla parte della ragione storica, ignorando i pericoli  del costruttivismo,  mentre gli anticomplottisti da quella della ragione scientifica,  sottovalutando il fallibilismo.
In realtà,  gli uni e gli altri mostrano, purtroppo,  di  non aver  mai  trovato  il tempo per approfondire le tesi di Popper sulla miseria dello storicismo (antinaturalistico e pronaturalistico).  Non è una battuta ( o almeno non solo),  perché l'aureo testo popperiano  spiega, alla stregua delle opere più sociologiche di Pareto, Hayek,  Schumpeter, come la predizione nell'ambito delle scienze sociali sia relativamente  più facile rispetto alla comprensione di ciò che non può avvenire mai, piuttosto che a quella di ciò che può accadere. Del resto, anche Mises, da par suo,  spingendosi più là,  prende le difese delle logicità argomentativa sul piano dei concetti, rispetto al calcolo statistico, giudicato, sul piano previsionale, imperfetto ed erroneo.
Ma, ripetiamo, con questi autori,  siamo  nell'ambito dell'osservazione del fenomeno sociale, e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva   non in quello delle razionalizzazioni degli osservati, spesso di basso livello e di natura tattica. Ciò non toglie che il buon giornalismo investigativo -  che sta alla scienza della società, come il mago della pioggia, che ogni tanto "ci prende", all'ingegnere, metodico costruttore di bacini e dighe -  non possa indagare e scoprire congiure, come dire, "localizzate". Anche Adam Smith preconizzava e temeva gli accordi segreti tra imprenditori monopolisti. E invitava opinione pubblica e potere politico a vigilare. Ma da qui a teorizzare, con Julius Evola,  un complotto mondiale, ce ne vuole.  

Il mistero sociologico
Chi osserva sa, soprattutto  il  sociologo, che la società, nelle sue varie forme storiche, quanto ai suoi fini, rimane una macchina misteriosa, affidata a milioni di "guidatori". Altro che il gruppetto di incappucciati soli al comando...  Sicché, inevitabilmente,  il sociologo-osservatore non potrà non nutrire comprensione per gli anticomplottisti,  che,  magari senza neppure saperlo,  contrastano il rigido costruttivismo complottista,  nonché, cosa fondamentale, il suo rifiuto del "mistero".
L'anticomplottismo, infatti,  prende atto,  anche se  in modo indiretto,  dell'unico vero grande mistero, almeno su questa terra: quello sociologico.  Che consiste  nell'indecifrabilità del senso collettivo delle azioni umane.  Un mistero, glorioso e doloroso insieme,  davanti al quale lo studioso di scienze sociali, il vero studioso, deve  "religiosamente"  inchinarsi.


Carlo Gambescia          

martedì 25 luglio 2017

La “crisi idrica” di Roma e  la forza devastante  dell’isteria ecologista,  
assecondata dall’opportunismo dei politici 
Finiremo male



Perché farsi  male  da soli?  Ormai, qualsiasi evento si trasforma in dramma.  L’isteria collettiva dilaga.  E la politica invece di  porre dei paletti,  sembra seguire la corrente,  mettendoci addirittura del proprio.
Si pensi all' "ultima venuta": la cosiddetta “crisi idrica” di Roma.   Esito, in realtà,  di una guerra locale a colpi di rappresaglie, tra la Regione, a guida Pd  e l’Acea e il Comune, “comandati” a bacchetta dal M5S. Ritenevamo Zingaretti,  Presidente  della Regione Lazio, un politico responsabile. E invece pare proprio che non lo sia.  Pur di danneggiare politicamente,  colpendo via Acea (occupata in chiave militare,  da Cinque Stelle) il Comune di Roma targato Grillo, Zingarelli si è inventato la storiella del Lago di Bracciano,  il cui apporto al sistema idrico della Capitale è minimo, come subito hanno sottolineato i vertici della partecipata. Evocando però -  ecco il punto  -  il razionamento, come rappresaglia politica contro  Zingaretti e il Pd. Si chiama guerra per bande.  E se razionamento  sarà, al momento del voto, i romani, gli unici danneggiati da  questa insensata lotta politica, scatenata da Zingaretti, si ricorderanno  di lui.  Anche perché la "sindaca" Raggi, nelle ultime ore, cogliendo la palla al balzo ("gentilmente" offerta da Zingaretti), furbescamente,  si sta auto-presentando, come l'unico politico "capace" di  preoccuparsi  dei romani...  A tal punto siamo.  
Comunque sia,  la sola  parola  razionamento, che tra l’altro  è la scelta più imbecille che ci sia, perché provoca accaparramento, mercato nero, crescita dei prezzi,  ha scatenato un putiferio mediatico, che di rimbalzo,  terrorizzando  i cittadini,  ha contribuito a dilatare  i confini dell’isteria collettiva.
Invece di parlare di cose serie -  possibilmente non in estate,  quando  Roma si svuota ( o forse proprio perché si svuota...) -  come liberalizzazioni e investimenti privati  per evitare gli sprechi sugli impianti,  che si fa?  Si chiudono le fontanelle (Raggi) e si insulta Trump (Zingaretti). Quando, come noto,  la chiusura dei  “nasoni” è  a risparmio zero  e  le dichiarazioni di Trump sull’accordo di Parigi, per ora sono  tali.   Non solo:  ci si mette anche il Vaticano  che  dichiara di voler  chiudere la fontane di Piazza San Pietro. Secoli di sapienza politica buttati a mare... Per inseguire i miti (tra l'altro paganeggianti) della pseudo-fede ecologista.  Inoltre,  l'atteggiamento "secchione" del Vaticano ricorda quel commercialista, che per  farsi dire bravo dal Ministero delle Finanze, insomma per eccesso di zelo,  fa  dichiarare al suo assistito  più del dovuto  (tipo: “Siamo nel 2017, caro cliente perché non versa anche l’acconto per il 2019? Così ci portiamo avanti...).  
Roma ha sempre abbondato di acqua, nei secoli. È la città degli acquedotti e dell’acqua zampillante per eccellenza. Discorso che si potrebbe estendere all’Italia, terra delle  Alpi e degli  Appennini.  E invece no: vince la vulgata ecologista, priva di qualsiasi fondamento scientifico, ma abilissima nel guadagnare il cuore degli anticapitalisti delle diverse fedi, annidati soprattutto nei media: gente che punta tutto sull’allarmismo e  sul  terrorismo informativo. 
Insomma,  la vulgata ecologista  sembra avere  un potenziale  enorme.  Parliamo dell' assoluta capacità di provocare stati isterici di massa,  evocando un inesistente Sahel appenninico. Mentre basterebbe intervenire sulle perdite legate alle cattive condizioni degli impianti.  Il che - ecco il punto -   implicherebbe quelle privatizzazioni,   odiate però  dallo statalismo ecologista.   E da buona parte degli italiani , da secoli abituati a socializzare le perdite e privatizzare i profitti.  
Gli italiani non hanno ancora capito  che senza  privatizzazioni, il costo dell'acqua  pubblica, così amata (come ha mostrato il referendum sulla liberalizzazione, che tra l'altro proponeva una modestissima apertura ai privati), arriverà alle stelle. Perché i soldi per evitare gli sprechi, intervenendo sugli impianti, si dovranno sborsare  due volte:  in bolletta (uno) e in occasione (due) della denuncia dei redditi.  Quindi, pre-pa-rar-si,  chi è causa del suo mal, eccetera, eccetera.
Ora, che il popolo, in fondo,  sia bue, con evidenti tratti isterici,  non è una grande scoperta. Ma che pure  i politici seguano a ruota incoraggiando l’isteria, per puro opportunismo…  E qui pensiamo ai  partiti di tradizione riformista e moderata che invece di reagire, smorzando i toni, strumentalizzano.  In che modo?  È sotto gli occhi di tutti.  Utilizzando  come risorsa politica contro gli avversari, all’insegna del tanto peggio tanto meglio,  il  “potenziale isterico ecologista”, come a proposito della presunta  “crisi idrica” di Roma.  Un comportamento che  non riguarda solo il Pd, ma anche Forza Italia,  Lega & Company,   che,  da perfetti incoscienti,  soffiano sul fuoco.
Finiremo male.  


Carlo Gambescia          

                     

lunedì 24 luglio 2017

Arma dei Carabinieri (*)
Nucleo di Polizia Giudiziaria di [omissis]
VERBALE DI INTERCETTAZIONE DI CONVERSAZIONI O COMUNICAZIONI
(ex artt. 266,267 e 268 C.P.P.)
L'anno 2017, lunedì 24 luglio, in [omissis] presso la sala ascolto sita al 6o piano
della locale Procura della Repubblica, viene redatto il presente atto.
VERBALIZZANTE
M.O Osvaldo Spengler
FATTO

Nel corso dell'attività tecnica di monitoraggio svolta nell'ambito della procedura riservata n. 432/5, autorizzazione COPASIR 329/3 [Operazione “PLUS ULTRA” , N.d.V.] è stata intercettata in data 23/07/2017, ore 16,25 la seguente conversazione telefonica tra le utenze 334***,  in uso a BERNASCONI SILVANO, ex Presidente del Consiglio dei Ministri  e 338***, in uso a SORRENTO PAOLO, regista cinematografico.

BERNASCONI SILVANO: “Caro Paolo, come stai?”
SORRENTO PAOLO: “Scusi, lei chi è?”
BERNASCONI SILVANO: “Non riconosci la mia voce e vuoi fare un film su di me? Andiamo bene…”
SORRENTO PAOLO: “Be’, buongiorno, volevo telefonarle io ma lei mi ha preceduto.”
BERNASCONI SILVANO: “Diamoci del tu, non farmi sentire più vecchio del necessario.”
SORRENTO PAOLO: “Come vuoi.”
BERNASCONI SILVANO: “Sai, io ti ho sempre apprezzato. Nessuno come te ha capito lo spirito degli anni Ottanta…”
SORRENTO PAOLO: “…la mistica degli anni Ottanta…”
BERNASCONI SILVANO: “Quanti anni avevi tu?”
SORRENTO PAOLO: “Sono del ’70, ero un ragazzino…”
BERNASCONI SILVANO: “Ero un ragazzino anche io…”
SORRENTO PAOLO: “…e lo siamo rimasti, no?”
[ridono]
BERNASCONI SILVANO: “Soldi come se piovesse, le modelle coi capelli cotonati, Colpo grosso…
SORRENTO PAOLO: “…la coca…”
BERNASCONI SILVANO: “I piagnoni comunisti che s’incazzano…”
SORRENTO PAOLO: “…Milano da bere, i film dei Vanzina, la coca…”
BERNASCONI SILVANO: “Uè, ma ciài la fissa della coca!”
SORRENTO PAOLO: “Silvano: lo sai che negli anni Ottanta solo i poveri non si facevano di coca…”
BERNASCONI SILVANO: “…e non sanno cosa si sono persi…”
[ridono]
Vedo che ci capiamo al volo, Paolo. Vienimi a trovare quando vuoi, se ti servono le mie case per i set basta chiedere. Sarà un grande film.”
SORRENTO PAOLO: “Grazie, Silvano. Però vedi, in questo film io vorrei cambiare registro.”
BERNASCONI SILVANO: “Giusto, sei un creativo, vuoi sperimentare. Cambiare registro come?”
SORRENTO PAOLO: “Drammatico, Silvano. Anzi, tragico.”
BERNASCONI SILVANO: “Tragico?!”
SORRENTO PAOLO: “Per la precisione, tragicomico, il genere italiano per antonomasia.”
BERNASCONI SILVANO: “Scusa ma non capisco.”
SORRENTO PAOLO: “C’è quest’uomo, diciamo che sei tu, ma è un personaggio di finzione, mi segui?”
BERNASCONI SILVANO: “Certo.”
SORRENTO PAOLO: “C’è quest’uomo, quest’uomo che è un italiano al centomila per cento, con i sogni di tutti gli italiani della sua generazione, anzi i sogni dell’italiano eterno. Il varietà, la passerella con le ballerine, il trucco geniale che ti cambia la vita, la vita leggera leggera che se ne vola via e va acchiappata per la coda…mi segui?”
BERNASCONI SILVANO [ridacchia]: “Ti precedo…”
SORRENTO PAOLO: “Un uomo che è un eterno ragazzo, un uomo leggero leggero, un uomo che sogna e all’improvviso sa trasformare il suo sogno nel sogno di tutti…ti ricordi il finale de I vitelloni? Con Monaldo che lascia la sua città di provincia e gli amici profondamente addormentati nel sogno provinciale di tutti gli italiani?”
BERNASCONI SILVANO: “Certo.”
SORRENTO PAOLO: “Quante volte l’hai visto?”
BERNASCONI SILVANO: “Tre. No, quattro.”
SORRENTO PAOLO: “E Monaldo, chiamiamolo così: “Monaldo” va nella grande città, e nella grande città non si sistema, non mette la testa a partito, non diventa un borghese ammodo che la domenica va a sognare al varietà, no! Lui non rinnega la sua gioventù di vitellone!”
BERNASCONI SILVANO [commosso, il pianto nella voce]: “No che non la rinnega.”
SORRENTO PAOLO: “Non la rinnega, no: la realizza e la regala a tutti, a tutti gli italiani, e gli italiani lo amano, tutti…lo amano anche quando lo odiano...”
BERNASCONI SILVANO [breve pausa]: “E’ bellissimo, Paolo. Grazie. Sarà un film meraviglioso.”
SORRENTO PAOLO: “Ma quando Monaldo è al culmine della sua gloria, e teme soltanto che non gli resti più nulla da desiderare, ecco che viene un momento che Monaldo non si aspettava, che è in contraddizione assoluta con tutto quel che Monaldo sa, capisce, ha vissuto. Che è assolutamente incompatibile con tutto quel che Monaldo è, come materia e antimateria.”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Scusa Paolo ma non ho capito.”
SORRENTO PAOLO: “Monaldo, il nostro Monaldo non può capire, Silvano. E’ questa la sua tragedia. Comica, perché Monaldo è un personaggio della commedia o del varietà, ma tragica, perché sognando sognando, Monaldo è diventato Presidente del Consiglio, e la politica è tragica, Monal…Silvano. Monaldo è diventato Presidente del Consiglio, e ha firmato un solenne ‘Trattato di amicizia’ con il leader dei Garamanti, anche lui, a suo modo, un personaggio del varietà che si circonda di una guardia del corpo di amazzoni, che quando va in visita di Stato dorme sotto una tenda, che si acconcia come un personaggio delle figurine fasciste…ti ricordi ‘il Feroce Saladino’?”
BERNASCONI SILVANO [pausa. Serio, teso]: “Vai avanti.”
SORRENTO PAOLO: “Pochi anni dopo, una coalizione di potenze europee decide di rovesciare il Feroce Saladino. Perché? Perché il Feroce Saladino ha tanto petrolio, che sinora ha fatto estrarre all’Italia, e perché il Feroce Saladino accarezza progetti, per l’Africa, che a queste potenze europee, che in Africa hanno interessi e progetti loro, non piacciono per niente. Ora, se il Feroce Saladino cade, che succede all’Italia? Che succede, Silvano?”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Non saprei, la storia la stai inventando tu. Vai avanti.”
SORRENTO PAOLO: “Tu non lo sai, Silvano, ma Monaldo lo sa, se non altro perché il Feroce Saladino glielo ha spiegato per filo e per segno. Succedono due cose: che il petrolio del Feroce Saladino non lo estrae più l’Italia, e che il Feroce Saladino non ferma più la marea di emigranti che salgono dall’Africa. E dove va la marea di emigranti dall’Africa? [pausa] Va in Italia, Silvano. A questo punto, cosa fa Monaldo?”
BERNASCONI SILVANO: “Senti, Paolo…”
SORRENTO PAOLO: “…Monaldo non fa niente, Silvano. Niente. Questa è una tragedia, e Monaldo non è fatto per la tragedia, è fatto per il varietà. Potrebbe protestare nelle sedi diplomatiche opportune, la UE, la NATO, l’ONU. Potrebbe dare assistenza militare al Feroce Saladino – non è forse il legittimo capo di uno Stato amico? Monaldo non ha forse un esercito, una flotta, un’aviazione ai suoi ordini? Ma Monaldo si smarrisce, di fronte a queste cose. Ha paura? Sì, forse ha paura. Ma più ancora della paura, è che Monaldo non ci si raccapezza più, quando escono di scena le ballerine, il comico e il fine dicitore, ed entrano i Prìncipi e la Ragion di Stato…’da destra ENTRA schiera di armati’, e non armati di spade di cartone, Silvano…così Monaldo…”
BERNASCONI SILVANO: [cupo] “…così?”
SORRENTO PAOLO: “…così Monaldo fa quel che facevano i suoi amici quando, tanto tempo prima, si mise in viaggio per la grande città. Te lo ricordi cosa fanno i suoi amici vitelloni, mentre Monaldo guarda dal finestrino del treno la sua piccola città che si allontana? Te lo ricordi?”
BERNASCONI SILVANO [lunga pausa]: “Dormono.”
SORRENTO PAOLO: “Dormono. Dormono di un sonno profondissimo, forse beato, chissà. Comunque, dormono. E Monaldo, stavolta, non parte per la grande città: stavolta, dorme con loro. Prima di infilarsi sotto le coperte, gli torna alla mente una frase latina che ha sentito al liceo: ‘Sic transit gloria mundi’. Parla del Feroce Saladino o di se stesso, Monaldo? Non si sa, non si può sapere: perché da quel momento in poi, Monaldo continuerà a dormire. A dormire un sonno agitato, un sonno pieno di sogni, a volte lieti e a volte tormentosi: ma continuerà a dormire. [PAUSA] Che ne dici? Ti piace la storia?”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Senta, Sorrento. Lei ha idea delle conseguenze? Ci ha pensato bene?”
SORRENTO PAOLO [lunga pausa]: “Ci hai creduto.”
BERNASCONI SILVANO: “Eh?
SORRENTO PAOLO: “Ci hai creduto sul serio, non me lo aspettavo.”
BERNASCONI SILVANO: “Scherzavi?”
SORRENTO PAOLO: “Certo che scherzavo. Cosa credevi?”
BERNASCONI SILVANO [pausa]: “Ammetto che per un momento…” [ride]
SORRENTO PAOLO [ridendo]: “Ci sei cascato, eh?”
BERNASCONI SILVANO [ridendo]: “Sì, ci sono cascato…”
SORRENTO PAOLO [ridendo]: “Veramente credevi che mi mettessi contro certa…?”
BERNASCONI SILVANO: “Confesso che per un momento ci ho pensato…”
SORRENTO PAOLO: “…per un momento ci si pensa, ma poi…”
BERNASCONI SILVANO: “…ma poi passa, vero?”
SORRENTO PAOLO: “Ciao Monaldo.”
BERNASCONI SILVANO: “Ciao Monaldino, vieni a trovarmi quando vuoi.”
SORRENTO PAOLO: “E dormi bene.”
BERNASCONI SILVANO: “Anche tu.”

Letto, confermato e sottoscritto
L’UFFICIALE DI P.G.

M.Osvaldo Spengler

(*) "Trattasi" -   tanto per non cambiare stile,  quello  della  Benemerita...  -   di ricostruzioni che sono  frutto della mia  fantasia di  autore e commediografo.  Qualsiasi riferimento  a fatti o persone  reali  deve ritenersi puramente casuale. (Roberto Buffagni)


Chi è il  Maresciallo Osvaldo Spengler?  Nato a Guardiagrele (CH) il 29 maggio 1948 da famiglia di antiche origini sassoni (carbonai di Blankenburg am Harz emigrati nelle foreste abruzzesi per sfuggire agli orrori della Guerra dei Trent’anni), manifestò sin dall’infanzia intelletto vivace e carattere riservato, forse un po’ rigido, chiuso, pessimista. Il padre, impiegato postale, lo avviò agli studi ginnasiali, nella speranza che Osvaldo conseguisse, primo della sua famiglia, la laurea di dottore in legge. Ma pur frequentando con profitto il Liceo Classico di Chieti “Asinio Pollione”, al conseguimento della maturità con il voto di 60/60, Osvaldo si rifiutò recisamente di proseguire gli studi, e si arruolò invece, con delusione e sgomento della famiglia, nell’Arma dei Carabinieri. Unica ragione da lui addotta: “Non mi piace far chiacchiere .” (Com’è noto, il carabiniere è “uso a obbedir tacendo”). Mise a frutto le sue doti di acuto osservatore dell’uomo in alcune indagini rimaste celebri (una per tutte: l’arresto dell’inafferrabile Pino Lenticchi, “il Bel Mitraglia”). Coinvolto nelle indagini su “Tangentopoli”, perseguì con cocciutaggine una linea d’indagine personalissima ed eterodossa che lo mise in contrasto con i magistrati inquirenti. Invitato a chiedere il trasferimento ad altra mansione, sorprese i superiori proponendosi per la sala ascolto della Procura di ***. Richiesto del perché, rispose testualmente: “Almeno qui le chiacchiere le fanno gli altri.”
***

Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...




domenica 23 luglio 2017

      Mafia, abbracci, acqua e liquidazioni: slittamenti progressivi verso il populismo generalizzato

E Grillo ringrazia... 



Basta dare  un’occhiata ai giornali di oggi per avere conferma dello scadimento del dibattito politico italiano.  Anzi, diremmo, degli slittamenti progressivi, e presto definitivi,   verso una specie di caotico e isterico populismo applicato e generalizzato. Come primo linguaggio politico, dalla destra alla sinistra. Una politica dalla retorica plebea che, quanto a modalità, non porterà nulla di buono. Salvo far vincere chi da tempo ne  detiene il copyright e detta l'agenda politica, anche quando tace:  il Movimento Cinque Stelle. 
Qualche esempio. 
La sentenza  che ha negato la “presenza della mafia” a Roma,  si è trasformata nella caccia politica al procuratore Pignatone, cocco dei Cinque Stelle.  Il quale,  a sua volta, intervistato dal “Corriere della Sera”, ormai su posizioni cairo-grilline,  si difende, gridando al complotto politico. Gettando così  altre palate di merda (pardon) sulla politica. Grillo, ringrazia.
Altro giro.  I fuoriusciti del Pd, si scagliano contro Pisapia, reo di aver abbracciato la Boschi, neppure fosse Claretta Petacci. E ciò che è più grave con l’aiutino di “Repubblica” che oggi solleva il problema criticando l'ex sindaco di Milano.  Parliamo di un  quotidiano che dovrebbe rappresentare i ceti medi riflessivi. Di sinistra.  Grillo   ringrazia.
Sulla liquidazione milionaria di Cattaneo,  si è invece scagliata la destra populista (si legga ad esempio “Libero”), in perfetta linea con la sinistra populista (“Manifesto”, "Fatto" e dintorni).  La questione è di principio:  siamo, insomma,  al punto che un un’impresa privata, sulla base dei valori di mercato, non può decidere quanto pagare un suo dirigente. Altro passo verso il  populismo reale. Anche qui, Grillo ringrazia.
Infine, la perla. Credevamo Zingaretti,  Presidente  della Regione Lazio, persona responsabile. E invece, non lo è. Pur di danneggiare politicamente,  via Acea (nuovo feudo lottizzato da Cinque Stelle), il Comune di Roma targato Grillo, si è inventato la storiella del Lago di Bracciano,  il cui apporto al sistema idrico della Capitale è minimo, come subito hanno sottolineato i vertici della partecipata. Evocando però -  ecco il punto  -  il razionamento, come misura, politicamente ritorsiva, contro  Zingaretti e il Pd romano-laziale: schieramento, ormai allo sbando,  che gioca al tanto peggio tanto meglio. E se razionamento ci sarà, al momento del voto, i romani, che sono gli unici danneggiati di questa insensata lotta politica, scatenata da Zingaretti,  si ricorderanno della sparata del "fratello di Montalbano".  Grillo ringrazia ( e forse, pure quel fascio-comunista di Camilleri). 
Basta così. Ormai,  abbiamo i populisti di complemento, che sono persino più bravi di quelli effettivi. Come un tempo avemmo i fascisti di complemento, i democristiani di complemento, e così via. "Sane" tradizioni italiane, forse.  Il dibattito politico, ripetiamo,  è dettato da Grillo, anche quando tace. Perché chi padroneggia lingua e modi e della politica  impone il terreno di gioco. Grillo, praticamente, ha già vinto. Che tristezza. 

Carlo Gambescia



sabato 22 luglio 2017

A Parigi l’incontro fra Haftar e Sarraj

Sostiene Macron



Presentato dai dementi della estrema destra italiana come “er fighetta”,  pedofilizzato da una professoressa allupata.  Una specie di ultimo imperatore, effeminato,  decadente, corrotto, in balia di una stepmother…    
Ma di chi parliamo? Di Macron, che invece si subito liberato,  da perfetto macho,  di   un generalone  che non voleva  stare al suo posto.   Rivendicando così il  ruolo della politica, come anticipazione della guerra con altri mezzi: puro gollismo in abiti civili.   E ora - ecco la notizia -   dopo aver  accolto Trump in pompa magna, il 14 Luglio,  al suono della Marsigliese, vuole  inserirsi di prepotenza nell’affaire libico, ospitando sul suolo gallico i due superboss dell’ex Quarta Sponda italiana (molto ex):  il presidente del Governo di  unione nazionale, Fayez al-Sarraj, e il generale Khalifa Haftar, l’uomo tosto della Cirenaica.  Il  vertice è  fissato a Parigi per martedì 25 luglio. Data funesta per fascisti, neofascisti e postfascisti italiani. Che risolverebbero "coraggiosamente" il problema libico (e degli sbarchi) chiudendo i nostri porti e  buttando la chiave…
Per inciso, vi immaginate  Trump alla Festa del Due Giugno?  Con la Boldrini che gli tiene muso, Grasso che lo guata come un mafioso, e i manifestanti fuori della zona rossa che spaccano vetrine "a piazèr"...  Tranquilli, tanto non verrà mai.  Ci considera delle merde (pardon). E non ha tutti i torti.  
Macron  fa politica, fa politica, fa politica. E noi invece stiamo a guardare. E soprattutto a litigare: evocando una Piazza Loreto giudiziaria per Renzi,  inseguendo le scemenze di Grillo e pure l’animalismo (di ritorno) di Berlusconi: uno che da sempre alla guerra preferisce l’amore. Alcuni dicono a pagamento. Ma questa è un’altra storia…
Insomma, sostiene Macron (per parafrasare il famoso libro di Tabucchi), che se si vuole risolvere il problema degli sbarchi, ci si deve sporcare le mani. Come?  Intanto,  provando  a  mettere in comunicazione le parti.  Sotto la Torre Eiffel però.   E noi? Sotto il Colosseo  facciamo sfilare i centurioni. Finti.    

 Carlo Gambescia           

venerdì 21 luglio 2017

La sentenza su “Mafia Capitale” e la delusione dei “Giornaloni Unificati”
A Roma non si usava la lupara




Sintomatica la delusione dei "Giornaloni Unificati"  (d'ora in avanti, GU),  a proposito della sentenza su “Mafia capitale” che azzera una bufala politica:  quella di Romolo e Remo  con la lupara…  Ma, sintomatica,  di che cosa? Di  aver visto andare a fondo il teorema  della “cupola”  di cui parlavamo ieri, applicato a Roma.   Così amato da certo giornalismo del  cupio dissolvi, per dirla dottamente. Oppure,  se si preferisce,  "del tanto peggio tanto meglio": il vischioso pantano ideologico dove  sguazzano beatamente i GU.   Che, consapevolemente o meno,  con questo fare giustizialista,  sono riusciti  a spianare la strada al populismo  grillino. Complimenti. 
Si dirà ma “Corriere della Sera”, “Repubblica”, “Stampa”, sono politicamente  moderati.  Sì, ma non quando si parla di giustizia.  Soprattutto se applicata alla destra berlusconiana e al centro-sinistra renziano: i nemici per eccellenza dei salotti buoni ("Ma che bontà, ma che bontà, questa sinistra qua"). Esiste, infatti,  una sorta di riflesso condizionato verso  tutto ciò  che si oppone a certo moralismo sinistrorso di casa nei GU.   Una reazione che, politicamente parlando,  ha radici antiche: si potrebbe arrivare fino a Felice Cavallotti (che però non temeva i duelli...).  Parliamo di  un moralismo flaccido che non va per il sottile, imperniato sulla "questione morale", ma solo quando tocca agli altri... O meglio, ai nemici politici.   E che interpreta la storia d’Italia  a senso unico:  come storia  di un leggendario malaffare, sullo sfondo del perverso  connubio tra  mafia e politica, cadendo così  nella fallacia (argomentativa) dell'accidente converso. Tradotto: della generalizzazione affrettata.    
Pertanto il “caso Roma”, per i GU  non rappresentava  che un altro ghiotto passo verso la prova definitiva di  un teorema  politico-giudiziario. Insomma,  gioco ricco mi ci ficco.  E invece è andata male.  Sembra che ogni tanto, anche in Italia,  ci sia un giudice a Berlino. Il che spiega i titoli aciduli.  
Invece di indagare sulle ragioni sociologiche  di quel “mondo di mezzo”,  il mondo degli appalti pubblici e della piagnucolose cooperative sociali,  i  GU  sono saliti in cattedra,  facendo finta di non vedere che il male è in un’economia pubblica, corrotta proprio perché pubblica. Che dispensa soldi dei contribuenti a destra e manca.  Perché?  Per la semplice ragione  che  i GU  continuano a succhiare finanziamenti pubblici, seppure indiretti, proprio come faceva il vampiro Buzzi: il principio era ed è lo stesso. Come   ad esempio  sul piano fiscale: IVA ridotta  o esente. Fortunatamente,  sono state sospese le agevolazioni postali (al 2012 le poste avanzavano crediti per 251 milioni euro) e quelle sul prezzo "politico" della carta (*). Si dirà, poca cosa alla fin fine. Ma, talvolta, a pensar male...
E comunque sia,  al di là delle questioni ragionieristiche, c’è un  male più profondo: quello dell’assoluta mancanza, da parte dei GU del senso della dignità nazionale. Qui siamo veramente al di sotto del minimo sindacale. Ci spieghiamo: l’idea che i panni sporchi si debbano lavare in famiglia, non ha alcuna nobilità morale. Ma che pensare  dell’idea di veicolare all’estero,  senza avere alcuna prova, l’immagine di una  Roma, capitale d'Italia,  armata di  lupara?  Che razza di  messaggio si è trasmesso?  E parliamo di  giornali italiani che fanno opinione all’estero. Che giornalismo di merda (pardon).    
Ora i giudici hanno rimediato. Ma l'immagine di Roma è compromessa. Al posto del sindaco, chiederemmo i danni...
   


Carlo Gambescia                
  
(*) Qui una dignitosa sintesi della questione: http://www.ilpost.it/2014/01/10/contributi-editoria-giornali/.  Qui invece sulla nuova legge: http://www.ilpost.it/2017/03/27/giornali-soldi-pubblici/                                                                 

giovedì 20 luglio 2017

Paolo Sorrentino  girerà un film su Berlusconi
Ahahaha - A far l’amore comincia tu…



Come sarà il film che Paolo Sorrentino vuole girare su Berlusconi? .  Intanto, da quel che si legge, si incentrerà sulla fase Bunga  Bunga, del declino politico-giudiziario(*). Sorrentino è un Fellini più furbo ("Canta Napoli! Napoli milionaria!"),  con minore immaginazione,  più cattiveria e un sovrano disprezzo per la natura umana. Il che non guasta,  perché mette riparo dalle fregature della vita.  Ma impedisce quel  "tutto capire, tutto perdonare", che animava la poetica  cinematografica felliniana (la diciamo all’antica):  il primo Fellini però (fino alla “Dolce vita”). Si pensi a pellicole come “ I vitelloni”,   “Il Bidone”,  "La strada".  Quest’ultimo film  incantò gli americani.   Gli stessi che oggi si accontentano di un   Sorrentino qualsiasi.  Anche Hollywood non  è più quella di una volta. Ma questa è un’altra storia.
Insomma,  un regista,  privo di sorprese.   Vende cartoline, magari coloratissime  e ritmate, secondo l’arte pubblicitaria della caciara caco-colorfonica,   ma  tutte uguali.  I suoi film su Andreotti,  su Roma  come la serie televisiva  The Young Pope  sono scontati.  Andreotti, Roma e il Papa, sono come  uno se li aspetta.   Che il potere corrompa, papi e politici,  è cosa che si sa da migliaia di anni.  Che Roma sia in decadenza, dalla morte di Marco Aurelio,  non  è  notizia freschissima. Che certa neo-borghesia, anche di sinistra, sia volgare non è rivelazione da far trascorrere  la notte in bianco.      
Che dire? Questo passa il convento. Il cinema è alessandrino. Oppure punta sui supereroi.  Sorrentino è un annotatore di testi classici,  quando va bene.  I suoi non sono film ma "scolii" dell’Iliade felliniana, secondo i parametri della biblioteca di Alessandria-Napoli, con il controcanto di un mediocre attore miracolato, forse da San Gennaro: Toni Servillo.  
Eppure,  da un regista "geniale"  ci si aspetterebbe  di più.  E invece,   gli altri suoi  film (pochi in tutto) sono incomprensibili.  Parabole di viaggi intorno al cervello di Sorrentino. Per dirla, citando un classico: un Pirandello (mai letto), però spiegato al popolo attraverso  i mezzi  di una  buona tecnica da spot televisivo.  Forse la sua  opera migliore  resta Le conseguenze dell’amore. Dove si  prova a scavare, ma  una tantum  (vivaddio...), nel privato di “privati” personaggi in cerca d'autore.  Per una volta,  il potere  studiato è quello dell’amore.  Che però  non salva, proprio come l’altro potere, quello degli uomini. Anzi, se si  inciucia con la mafia, le conseguenze dell’amore, con una  grandissima Olivia Magnani, sono il classico cappottino di cemento: nulla di nuovo sotto il sole. Salvo, forse,  l'ultimo pensiero per Dino Giuffrè...
Perciò come sarà il Berlusconi di Sorrentino? Barzellettiere, allupato e volgare. Sulla falsariga di   quell'universo romano di nuovi ricchi, sconcio e sudato, che balla dimenandosi  sulle martellanti note di un vecchio successo della Raffaella nazional-popolare: Ahahaha - Ahahaha - A far l’amore comincia tu… Ahahaha - Ahahaha -  A far l’amore comincia tu...  Fiore all'occhiello post-robespierrista de "La grande bellezza".    
Berlusconi, proprio come uno se lo aspetta.  Quindi un film scontato.  O peggio ancora inutile.   Come tutto il cinema (meno uno) di Sorrentino.      

Carlo Gambescia                        

mercoledì 19 luglio 2017

Falcone e Borsellino
Come Stanlio e Ollio?



Il titolo può sembrare irriverente, addirittura offensivo. In realtà, il riferimento alla coppia di comici americani, che, dopo anni di successi cinematografici, scomparve nel nulla, tra l’indifferenza generale, rinvia al mito politico, caro soprattutto alla sinistra,  costruito a tavolino intorno ai due magistrati siciliani. Dopo morti, ovviamente.
Oggi, Falcone e Borsellino, come Stanlio e Ollio, vivono gli anni di un successo, però postumo, usati in chiave complottista per tratteggiare quel ritratto dell’Italia in nero che piace ai professionisti dell’antimafia, tutti rigorosamente di sinistra, di regola,  post-comunisti.  E qui va ricordato che in vita, Falcone, venne duramente contestato perché vicino a Martelli,  e Borsellino, perché  "reo" di simpatie destrorse.  Criticati, insomma, dagli stessi che ora sono in prima fila, pronti ad applaudire due coscienziosi magistrati, che erano tali  prima e dopo la tragica morte. Quindi non a comando.   
Al professionista dell’antimafia ( magistrato,  uomo politico, giornalista)  non interessava e interessa la mafia in quando tale, ma solo  la mafia-leva politica,  lungo  un immaginifico percorso che va da Portella della Ginestra a Berlusconi.  Roba da fumetti per decerebrati,   tesa però  a  provare quel teorema politico  filosovietico, impostato sul gelatinoso  connubio mafia-politica-servizi segreti italiani e americani. Un accoppiamento poco giudizioso,  il cui scopo, secondo una leggenda condivisa anche dai Tafazzi neo-fascisti,  era quello di contrastare l’ascesa del Pci e “delle forze popolari e di sinistra”. Ascesa, in realtà, respinta al mittente,  con il libero voto degli elettori,  di tutti gli elettori italiani, non solo dei siciliani: particolare non da poco.
Tutto bene allora? No.  L'Unione Sovietica è morta e sepolta, eppure il teorema vive e lotta insieme a noi: come la goccia d’acqua che insiste sulla roccia, è penetrato nell’immaginario italiano, molto meno resistente  della  pietra e, cosa più grave, non insensibile, da sempre,  al fascino  perverso della  logica complottista.    
Sicché,  la politica, quella della destra, democratica,  moderata, conservatrice,  anticomunista,  si è dovuta adeguare, anche a colpi di commissari Cattani, romanzi criminali, padrini e Montalbani, eccetera, eccetera, all’istituzionalizzazione  di un teorema politico complottista, tutto di sinistra,  mai  provato.  
Si assiste così, nel corso delle celebrazioni pubbliche, "istituzionali", anche di questi di giorni,  al trionfo della retorica sulle  forze oscure, “del male”, in primis la Democrazia Cristiana,  forze  che avrebbero sviato la storia della Repubblica, dal suo radioso futuro, impersonato dalle solari forze "del bene", magnificamente rappresentate dall’ asse politico Togliatti-Berlinguer.  Purtroppo, nonostante la storia abbia tagliato la testa alla serpe comunista, il maledetto rettile  continua a mordere al cinema e  nei media. E i professionisti dell'antimafia,  pur non riuscendo a convincere del tutto gli italiani (fortunatamente), continuano a inquinare le menti.  
Il che spiega  la retorica complottista, come dire bipartisan, subita  dagli stessi post-democristiani, che pur lividi continuano a farsi sputare in faccia dai post-comunisti, invece più raggianti che mai. Nonché, spiega la vigliacca necessità  politica  di celebrare, applaudire, mettersi in fila per andare al cinema a vedere  il  nuovo duo Falcone e Borsellino. Perché,  "chi non salta davanti al botteghino mafioso è".  
La "festa del cinema"  durerà  fino a quando i due magistrati, caduti nella  guerra contro la mafia, quella vera che uccide, spietatamente,  senza prendere ordini se non da se stessa,  saranno utili. Fino a quando la sete di vendetta dei post-comunisti non si sarà placata.  Fino a quando l'ultimo democristiano non sarà "processato" a fil di spada.  Fino quando l'ultimo cretino complottista  crederà nelle "cupole".  
Dopo di che, come  per  Stanlio e Ollio,  nessuno parlerà più di Falcone e Borsellino.

Carlo Gambescia