venerdì 29 agosto 2014

Democrazia elettronica? 
No, grazie 




Esiste un’ideologia “tecno-entusiasta”, generalmente di sinistra, erede degli sproloqui sessantottini, che scorge nel Web lo strumento per eccellenza di una futura democrazia totale. 
Non diciamo nulla di nuovo. Si tratta di una critica già brillantemente avanzata qualche anno fa da Andrew Keen, professore di scienze sociali, imprenditore informatico e autore di The Cult of Amateur. A suo avviso la Rete sarebbe il regno del narcisismo digitale e del dilettantismo. Milioni di persone, che senza alcuna preparazione specifica si danno sulla voce, parlando di tutti e di tutti. Ma, soprattutto, di se stessi. 
Si tratta indubbiamente di un libro molto polemico, che rinvia a un elitismo conservatore, molto anglosassone, che ama andare controcorrente, talvolta a tutti i costi. Non ci sentiamo però di dare torto Keen. E in particolare sulla qualità di ciò che si produce, culturalmente e politicamente, ogni giorno sul Web. 
Chi scrive ne ha viste di tutti colori: commenti offensivi, stupidi, egocentrici. Di più: grazie alla facilità del “copia e incolla”, pratica giustificata dallo sballato principio che online tutto debba essere gratuito e prodotto dal basso, l’Amministratore (cioè il sottoscritto) si è ritrovato citato e insultato in forum dai connotati ideologici a dir poco inquietanti. Per non parlare dei plagi subiti. 
Non desideriamo però commettere alcun peccato di narcisismo digital-giornalistico. Abbiamo accennato alle nostre “web-disavventure” solo per introdurre un argomento più nobile e interessante: quello della cosiddetta democrazia elettronica. Fermo però restando un punto: la base sociale di qualsiasi possibile democrazia elettronica resta, purtroppo, quella narcisista, aggressiva, credulona e illetterata di cui sopra. 
In argomento, c’è un bel libro, che si intitola appunto Democrazia elettronica (Editori Laterza), pubblicato qualche anno da Daniele Pittèri, docente di Sociologia della comunicazione politica e di massa alla Luiss di Roma. 
Ne vogliamo parlare per un’ ottima ragione: si tratta di un volume che va assolutamente letto, perché, a differenza dei fiumi di parole pubblicati in argomento, assolve due funzioni importanti. 
In primo luogo, trattandosi di un testo molto documentato, ci informa sugli strumenti della democrazia elettronica: dalla posta elettronica al voto online. E, in secondo luogo, aiuta a scoprire i possibili rischi di una forma di partecipazione, dai tempi troppo rapidi e probabilmente poco favorevoli alla riflessione. Ad esempio, votare istantaneamente e simultaneamente online con un sì o un no a un certo quesito, potrebbe far scivolare la e.democracy verso derive plebiscitarie. 
Probabilmente, il problema della democrazia elettronica rinvia a una questione normativa (etico-politica), di non facile soluzione: cosa si debba intendere per democrazia. 
Se si restringe la democrazia alla fase del dibattito pubblico, separandola da quella dell’elaborazione tecnica e della decisione, che invece riguarda Parlamenti e Governi, come sembra sostenere Pittèri, siamo davanti a una visione restrittiva, ma tutto sommato realistica. Dove la democrazia è essenzialmente “dibattito pubblico su”. Tuttavia, in questo modo la democrazia elettronica, rischia di trasformarsi, come del resto già avviene ( ad esempio con i sondaggi telefonici), in pura e inoffensiva trasmissione di orientamenti politici su alcuni problemi, all’interno di priorità fissate dalla classe politica. 
Se invece si estende la democrazia, come auspica la teoria democratica, al momento della decisione, si rischia di correre il pericolo contrario. Ovvero di considerare in senso troppo estensivo la democrazia, fino ad escludere il concetto stesso di classe politica. Ma fino a un certo punto... Si pensi, ad esempio, a un ipotetico referendum online con valore abrogativo, particolarmente gradito ai sostenitori della democrazia elettronica. In realtà, però, i “rappresentanti del popolo” rientrerebbero subito in gioco, per occuparsi della stesura “tecnica” della legge sostitutiva. Il problema è che la tecnica, in quanto forma di conoscenza (anche in chiave di capacità linguistiche e giuridiche acquisite), determina di per sé gerarchie tra chi sa e chi non sa. Morale della favola: anche la democrazia elettronica “di massa” e “diretta” non può non imporre l’esistenza di una classe politica. 
Siamo perciò d’accordo con Pittèri, il quale non nutre aspettative messianiche nei riguardi della democrazia online. Del resto, come accennavano, le classi politiche tendono sempre a riformarsi per ragioni sociologiche legate alle interazioni tra naturali differenze umane e condizioni sociali, economiche e culturali. Detto altrimenti: il mondo sociale, si divide e dividerà sempre, tra chi comanda e chi obbedisce. La democrazia, totale e diretta, è un mito. 
A riguardo va rilevato un punto importante. Secondo Pittèri la e-democracy, col suo principio della decisione digitale, trasparente, istantanea e di massa, porta con sé il pericolo del possibile uso politico, sicuramente fuorviante, di una devastante “logica della maggioranza”. Tradotto: sullo sfondo della democrazia elettronica rischia di ergersi, minacciosa, la fosca figura del “Grande Fratello” orwelliano, potenzialmente capace di influenzare e strumentalizzare il voto elettronico. In che modo? Schiacciando la minoranza sconfitta, in virtù - ecco il punto saliente - di un mandato conferito direttamente da “sua Maestà il popolo elettronico”. Che, in linea teorica, potrebbe sempre revocarlo. Ma come? Se anche la maggioranza “elettronica” si comporrà, come ora sul Web, di narcisi, sprovveduti e ignoranti? 

Carlo Gambescia
 Il selfie, dio,  la carne e il diavolo



Sorridono felici, sapete chi sono?  Scafisti, poi arrestati dalla polizia italiana, che prima di partire con il solito carico di disperati, si sono  concessi un  selfie sulla plancia della loro bagnarola.  Poveracci. Ma anche Obama,  che proprio povero  non è,  mostra di gradire l'autoscatto.
Inutile fare i moralisti,  il selfie cattura l’attimo fuggente in un universo sociale dove tutto scorre a duecento all'ora.  Altro che capitano mio capitano... Si è soli in pista.  E tutto corre per per tutti: dallo scafista mascalzone al presidente del politicamente corretto. Non è una questione di “liquidità”, come asserisce quel chiacchierone mai veramente pentito di Bauman,  ma di solidità. Certo, dell’immagine  e dello stile di vita. È il capitalismo bellezza: con una mano dà con una mano toglie. A differenza del comunismo che ti toglieva tutto, arrivederci e grazie.  
Anche perché la volontà di lasciare un segno, fosse pure un autoscatto, è lì da sempre,  più forte di qualsiasi rappresentazione, liquida o meno, della società:  dietro il selfie si nasconde  quella fame di eterno, che da migliaia di anni taglia in due  l'anima dell'uomo, lasciandola sospesa tra cielo e terra. Ovviamente il selfie è terra terra.  Nel senso che appaga la carne: mi selfo dunque sono.   E lo spirito? A quello ci pensano i network sociali, naturale pendant dell'autoscatto: reti che però  più che comunicare giudicano e che perciò rappresentano dio nell’epoca della riproducibilità tecnica. O il diavolo?                  
Carlo Gambescia

giovedì 28 agosto 2014

Calderoli e le macumbe
Leghismo magico?





Calderoli  si reputa vittima di una “macunba”…  scagliatagli contro, a suo dire, dal padre (anzi "papa") della  Kyenge,  più volte insultata dall'ex ministro leghista  per il colore della pelle…
Un amico antropologo  mi ha fatto notare che  macumba e macumbeiro rinviano alle culture africane trapiantatesi in Brasile, quindi Calderoli oltre che razzista sarebbe pure ignorante. Il che non è una recente scoperta. Diciamo che l'ex ministro leghista  crede nel malocchio e, come spesso  ha dichiarato, anche nei complotti…   
Questo atteggiamento rientra pienamente nell’humus culturale dell’autoritarismo magico.  Parliamo di quell' insieme di credenze  nei poteri dell’’ irrazionale che ritroviamo  in quei movimenti  di estrema destra  cui  Giorgio  Galli ha dedicato studi memorabili.
Il tema ovviamente va approfondito. Probabilmente parlare di leghismo magico potrebbe essere  prematuro. Tuttavia,  sarebbe interessante indagare i comportamenti  di dirigenti e iscritti, forse non meno  superstiziosi,  crediamo,  di Calderoli…  

Carlo Gambescia     

           

mercoledì 27 agosto 2014

Anticonformismo? 

Plus ça change, plus c'est la même chose...



A cosa sto pensando? Sto pensando che l'anticonformismo non esiste. Si è sempre conformi a qualcosa, a se stessi, alla proprie letture, al dio in cui si crede, alla mamma, alla befana,  eccetera...  Diciamo che il conflitto sociale è sempre tra due  forme di conformismo: quello "istituto",  di chi è il sella,  e quello "da istituire", di chi aspira a impadronirsi della sella.  Quindi non cambia mai nulla?  No,   mutano i contenuti (i valori) - che secondo alcuni però ruotano -   del conflitto, ma la forma (la lotta tra i due conformismi) resta la stessa. Purtroppo, semplificando,  ogni rivoluzionario è destinato, prima o poi, a trasformarsi in borghese più o meno gentiluomo...
Che fare? Più una società è pluralista, più è possibile che i conformismi siano più di uno ( o due). Certo, anche in questo caso,   non si sfugge  alla "regola", però si può scegliere... Il che non è poco.      
Carlo Gambescia

lunedì 25 agosto 2014

Decide la Magistratura: nessuna infusione per Noemi
Le staminali 
secondo Frank Sinatra


L'accostamento può apparire bizzarro.  E invece no.  
Di staminali non sappiamo nulla, né desideriamo entrare nel merito scientifico delle attività del professor Vannoni. E neppure  lanciarci  nell’ennesima  tirata  sullo straripamento di una politica che vuole legiferare su  tutto e di  una magistratura che  vuole sempre l’ultima parola, possibilmente  a telecamere accese.  Oppure su  un’Italia dove la colpa è sempre degli  altri… E dove lo “Stato”,  una specie di dio mortale,  deve sempre intervenire…
Abbiamo  un sogno.  Quello di vivere in un Paese dove ognuno  possa essere libero di curarsi senza dover passare attraverso le forche caudine di ministri, parlamentari, magistrati. Insomma pensiamo a quei  moralisti un tanto al chilo sempre pronti a dichiarare di sapere  a menadito  cosa sia bene o male per ogni  cittadino. Un Paese, sogniamo,  dove finalmente  si possa scegliere di  vivere o morire, per dirla  con il grande  Frank Sinatra di  My  Way,  nella maniera che si preferisce. Rischiando e pagando di persona.  


Carlo Gambescia      

domenica 24 agosto 2014

Tagli in cambio di investimenti? 
Draghi, Renzi e  i giochi di prestigio



Buongiorno a tutti! 
A cosa sto pensando? Sto pensando a quella che questa mattina  i media definiscono la strategia economica  Draghi-Renzi:  tagli (perché questo implicano le "riforme") in cambio di  investimenti (e quindi di flessibilità di bilancio): il che, a mio avviso, può soltanto  far crescere insieme disoccupazione e tasse...  
In realtà, l'unica strategia possibile rimane  quella di abbassare il carico fiscale (tasse e imposte), liberalizzare e privatizzare il più possibile, dando una scossa all'economia.  Il che a breve termine (un anno, forse due)  produrrebbe una crescita della disoccupazione (  di un punto, un punto e mezzo ) ma a medio termine (tre/quattro anni) rilancerebbe  l'economia. 
Ovviamente, nessuna ricetta è perfetta. Esiste sempre un margine di rischio.  La società italiana è corporativa e  sindacalizzata al massimo, quindi  il liberalismo economico rischia di incontrare  ostacoli addirittura insormontabili. Oppure  di essere diluito, come è accaduto in passato,  fino a trasformarsi in pappetta propagandistica per  coprire buoni affari.    
Tuttavia una cosa è certa:  lo scambio  tagli/ investimenti, di cui si parla,   è un puro gioco di prestigio , tipico di certa sinistra tassatrice, che consiste nello  spostare le voci di spesa (dai tagli ai nuovi investimenti), facendo comunque  pagare un conto salato  al contribuente.  
Qui invece, ripeto, serve una scossa.   

Carlo Gambescia     

venerdì 15 agosto 2014

A proposito della morte di Robin Williams
Quando un "mi piace" 
distrugge la morale
di Carlo Pompei





«Tu, solo tu, avrai delle stelle che nessuno ha... Io abiterò in una di esse. Io riderò in una di esse. Allora per te sarà come se tutte le stelle ridessero. Quando guarderai il cielo di notte, tu, solo tu, avrai delle stelle che sanno ridere. Ti voglio bene. Mi manchi. Proverò a continuare a guardare in su». Zelda, una delle figlie di Robin Williams, ha scritto questa frase su un social network per ricordare il padre, riportando approssimativamente (e imprudentemente) un passo de Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry. Questa sembra essere stata la leva che ha aperto le dighe del fiume di commenti dei "cinici a comando" della rete. Migliaia i messaggi inviati da frustrati, invidiosi, livorosi o semplicemente stupidi.
Sì, stupidi, perché non vogliamo affatto raccontarvi quanto fosse bravo o buono Robin Williams (cosa nella quale peraltro crediamo, forse ingenuamente), ma soltanto ricordare a chi se ne fosse dimenticato che vi è un momento nel quale importa soltanto il rispetto per una persona che non è più tra noi, almeno fisicamente. 
E questo a prescindere dal fatto che fosse miliardario e paradossalmente meno attaccato alla vita di quanto non lo sia il bambino africano o palestinese di turno, luoghi comuni spesso tirati in ballo senza cognizione di entrambe le cause (Milan Kundera ci scuserà se rivediamo la sua insostenibile leggerezza dell'essere, ma a volte occorre distinguere). 
E questo a prescindere dal fatto che i potenti mezzi di comunicazione scriteriatamente messi a disposizione di qualsiasi imbecille usi un cellulare, gli diano la sensazione che egli stesso possa divenire un opinionista dimostrando un livello di sensibilità etica e morale pari o inferiore a zero. Essendo questi parametri ineluttabili per essere "classificati" - appunto - "opinionisti", verrebbe spontaneo concludere che i commenti di codeste persone risultino ininfluenti; invece, purtroppo, sono dannosi. Sempre di più.
Per questo motivo non ci abitueremo mai a queste manifestazioni di stucchevole idiozia o di immotivata cattiveria. Accadono in occasione di ogni lutto che abbia una certa risonanza e vengono ravvivate ogni qualvolta un sostenitore di questo o quel personaggio defunto lo ricordi in concomitanza di anniversari, come se una persona scomparsa sia più importante di un'altra. 
Questi "opinionisti" cadono, infatti, nella "contraddizione egualitaria", cioè a dire che, siccome non si può celebrare pubblicamente ogni suicida (o presunto tale), non si dovrebbe parlare neanche dei noti, dimenticando che accendere una luce su un illustre depresso potrebbe illuminare anche tutti gli altri.
Un modo di pensare che scaturisce da un materialismo putrefatto il quale permea questi commenti di uno strato di cinismo egoistico aberrante mosso da invidie malcelate. Queste si appellano ad un buonismo d'accatto verso vittime terze, delle quali, peraltro, gli estensori dello stesso se ne fregano, ma le sfruttano ignobilmente.
Da Elvis Presley a Marilyn Monroe, da Jim Morrison a John Lennon, da Freddie Mercury a Michael Jackson, da Lady Diana a Steve Jobs, da JF Kennedy a Martin Luther King, da Malcom X ad Amy Winehouse – soltanto per citarne alcuni – vi è una tifoseria di "santificatori" e di "rottamatori" pronta a darsi battaglia verbale sulla morte, per la quale il silenzio è sempre il miglior commento.
Pertanto scusateci se ne abbiamo parlato.

Carlo Pompei