lunedì 28 febbraio 2022

Il Mein Kampf di Putin?

 


Suggeriamo la lettura di un lungo saggio di Putin, “Sull’unità storica di russi e ucraini”, uscito sul “Domani” (*), pubblicato in Russia nel luglio del 2021. Si tratta di uno scritto di grande interesse politico, anzi ideologico, noto agli specialisti ma non al grande pubblico.

Vi si ritrovano tutti gli argomenti tipici della famigerata unità, non solo tra russi e ucraini, ma tra russi e popoli slavi, argomenti che rinviano per gli accenti bellicosi alla cultura slavofila e soprattutto panslavista:1) unità spirituale necessaria, anzi doverosa, come detto; 2) disprezzo per i valori occidentali, individualisti e disgregatori; 3) sopravvalutazione del ruolo geopolitico della Russia, come fattore unificante; 4) indicazione di un modello di sviluppo economico controllato dalla Russia;

Tutto ciò che interferisce con i quattro punti viene definito come un attacco all’integrità della Russia e di tutti i popoli slavi. Il lettori più attenti potranno scoprire il pericoloso disprezzo verso il popolo polacco e i popoli baltici, come pure gli argomenti usati da Stalin sul carattere nazista di ogni opposizione alla sua politica, ingigantendo ogni dettaglio politico di collaborazione tra nazisti e popolazione slave, provatissime invece dalla feroce occupazione nazista.

In modo ossessivo, seppure apparentemente lucido, Putin indica nell’Occidente il nemico principale: se nel Marx ed Engels del Manifesto, il borghese, il nemico principale, era in qualche misura apprezzato, nel Mein Kampf di Hitler, per l’ebreo, altro nemico principale, non c’era scampo.

Nello scritto di Putin si mostra un disprezzo per l’Occidente, per l’uomo occidentale, pari a quello di Hitler verso gli ebrei. Come per contro, si elogia, rispettivamente, tutto ciò che è tedesco e russo.

L’intero testo è costruito intorno a un odio implacabile verso coloro che hanno sempre cercato “di minare la nostra unità”. Da ultimo, l’Occidente.

La visione storica che innerva lo scritto di Putin è quella della marcia dei popoli slavi verso un’unità che li sottende fin dalla remota antichità: Si legga questo passo illuminante:

«Russi, ucraini e bielorussi discendono dall’antica Rus’, che all’epoca era il più grande stato in Europa. Gli slavi e le altre tribù che vivevano in questo vasto territorio – da Làdoga, Novgorod e Pskov a Kiev e Černigov – erano uniti da un’unica lingua (che oggi chiamiamo russo antico), da relazioni economiche, dal governo dei principi della dinastia dei Rjurik e – dopo il battesimo della Rus’ – dalla fede ortodossa. La scelta spirituale fatta da san Vladimir, principe di Novgorod e granduca di Kiev, determina ancora oggi la nostra affinità. ».

Non si dice – solo per fare un esempio – che esiste una tesi storiografica, ben fondata anche a livello filologico, sulla Russia di Novgorod, che indica nei Rus’, (di qui il nome Russia), le popolazioni scandinave e che vivevano nelle regioni che attualmente appartengono all’Ucraina, Bielorussia e Russia occidentale.

Una tesi che faceva inferocire Stalin e tutto il pensiero panslavista prima e dopo Stalin. E come sembra anche Putin, che la ignora bellamente privilegiando la regola pseudoidentitaria della “tradizione inventata”.

Non desideriamo assolutamente avanzare paralleli tra Putin e Hitler, sarebbe antistorico.

Però il testo invita a riflettere sui reali moventi di Putin, visto che il confine tra il dire e il fare è già stato superato. E soprattutto spinge a interrogarsi su un fatto fondamentale: se la filosofia della storia di Putin è questa, l’attacco all’Ucraina, è solo il primo passo, verso la ricostituzione dell’ “unità spirituale” dei popoli slavi. Quindi, ci sono fondate probabilità, che l’invasione sia solo l’inizio di un progetto più vasto. 

Che poi Putin riesca portarlo a termine è un’altra storia, legata alla sua età, alla sua mediocrità e  altri fattori, tra i quali la capacità e la volontà dell’Occidente di opporsi ai suoi disegni.

Ci si chiederà, come però?

Probabilmente, se nei prossimi giorni l’escalation conflittuale non si sarà fermata, per accordi intervenuti e provvidenziali passi indietro (abbastanza complicati dopo le dichiarazioni di ieri di Putin (**), l’unica soluzione possibile, sarà purtroppo la più antica e rozza forma di competizione tra gli uomini: la guerra.

Nell’era atomica però. Perciò, chi crede in dio preghi, chi conosce gli uomini tremi.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/cosi-putin-ha-concepito-linvasione-dellucraina-xtrwuysf

(**) Qui il nostro commento: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/putin-agita-lo-spettro-nucleare-come-dire-la-cosa-giusta-nel-momento-sbagliato/

Putin agita lo spettro nucleare: come dire la cosa giusta nel momento sbagliato...

 


Due parole su ciò che si può definire la svolta dell’intera giornata: l’ ordine di Putin al ministro della Difesa e al capo di stato maggiore di mettere in allerta speciale le forze di deterrenza dell’esercito russo, “in risposta alle dichiarazioni aggressive dell’Occidente” (*).

Lasciamo stare repliche e silenzi degli altri attori politici, alleati e nemici. Concentriamo invece l’attenzione sulla tempistica del processo decisionale.

Agitare lo spettro nucleare dopo neppure tre giorni di guerra, dinanzi a un Occidente diviso e che parla solo di sanzioni economiche, indica solo un fatto: che Putin ha detto la cosa giusta nel momento sbagliato. Giusta perché tra l’arma nucleare e le altre armi c’è differenza di grado non di genere.

Inciso: il lettore non inorridisca, né perda la pazienza… Perché le critiche pacifiste all’agire di Putin (“è un criminale”) o alla sua salute mentale (“è un pazzo”), non aiutano a capire ciò che si sta scoprendo ora dopo ora: la mediocrità politica e militare del personaggio. Che come ogni mediocre dice le cose giuste nel momento sbagliato

Il che però non significa che i suoi limiti lo rendano inoffensivo. Al contrario la mediocrità può essere più pericolosa del talento.

E per quale ragione? Perché una carta, come la nucleare, è la classica carta di riserva: minacciare di usarla, ripetiamo,  dopo neppure tre giorni di guerra, significa due cose: 1) non avere assolutamente le idee chiare sul piano strategico, per non parlare di quello tattico; 2) non saper controllare i propri nervi, cosa gravissima per un comandante in capo. Detto altrimenti: l’atteggiamento di Putin è come quello di chi siede al tavolo da gioco, smanioso di vincere, senza troppo badare a quel che rischia di perdere. Uno stile di gioco che può condurre alla rovina. Soprattutto quando le risorse sono limitate.

Putin si sta rivelando un politico e uno stratega militare non all’ altezza della situazione. Il che è molto pericoloso dal punto di vista della possibile escalation del conflitto. Perché Putin vuole vincere, ma non importa come. E soprattutto non capisce assolutamente l’importanza del passo indietro. Perché nel conflitto politico quanto più si alza la posta in gioco, tanto più è difficile tornare indietro senza perdere la faccia.

Di conseguenza, evocare lo spettro atomico dopo neppure settantadue ore di guerra significa scegliere la politica del vicolo cieco, della strada senza ritorno. E per giunta in tempi brevissimi, senza alcuna necessità vera.

Di qui la pericolosa impoliticità di Putin. Altro che grande statista…

Bismarck e Cavour furono grandi statisti. Come pure Churchill. E perché no? Stalin, pur con i suoi giganteschi limiti umani e ideologici.

Perché il grande politico, soprattutto se realista, lascia e si lascia sempre una porta aperta.

Qui l’errore di Putin, qui la sua pericolosa mediocrità.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/02/27/ucraina-mosca-invia-altri-carri-armati-forze-russe-entrate-a-kharkiv-_deb92039-f003-4d61-be18-25e23fce54b6.html

domenica 27 febbraio 2022

Occidente, eroe per caso

 


Per capire in modo sintetico l’atteggiamento dell’Occidente euro-americano nei riguardi dell’invasione russa dell’Ucraina, quasi 45 milioni di abitanti, si legga il controeditoriale, diciamo così, di Francesco Battistini, pubblicato oggi sul “Corriere della Sera”, vanamente controbilanciato da un acuto editoriale di Angelo Panebianco, in cui si dicono più o meno – si parva licet – le cose che noi andiamo ripetendo da giorni (*).

E non dalle pagine di un blog, ma del “Corriere della Sera”. Eppure nessuno sembra ascoltare Panebianco (per non parlare del sottoscritto…), soprattutto a livello politico. Dove, come si dice a Napoli, si preferisce “Chiagnere e fottere”.. E la ragione di questo atteggiamento si coglie proprio nel pezzo di Battistini.

Battistini insiste, in quello che un tempo si sarebbe chiamato “pezzo di colore”, e neppure tanto tra le righe, sull’inutilità delle guerre, sulle sofferenze della gente comune. Nonché, punto fondamentale, sulla follia di Putin e in particolare della leadership ucraina che si ostina a resistere distribuendo armi al popolo.

Ecco, in poche parole, ripetiamo, la sintesi dell’atteggiamento dell’Occidente comprovato proprio ieri, da un dichiarazione di Macron, dai toni sinceramente tristi, fin troppo tristi. Vi si dice che “ci dobbiamo preparare” perché la guerra purtroppo durerà più del previsto… Alla quale fa compagnia un’altra clamorosa dichiarazione di Biden, tesa a creare consenso dentro e fuori di Stati Uniti sulle sanzioni economiche dipinte come alternativa alla Terza Guerra mondiale…

Il Presidente Usa con un’affermazione del genere lascia a Putin via libera, dal momento che in questo modo si riconosce ufficialmente che per ora l’Occidente non interverrà militarmente. Insomma, è come suggerire al leader di russo di sbrigarsi perché l’Occidente, al momento, resterà ai nastri di partenza.

Pertanto, negli Stati Uniti e in Europa, ci si augura che Putin faccia presto. E al tempo stesso, visto che ormai ci si è attrezzati per l’emergenze, la classe politica – la posizione sotto questo aspetto di Draghi resta esemplare – promette le consuete provvidenze a tutto e tutti. Detto altrimenti: anche questa volta, a causa della probabile pandemia da sanzioni economiche, “nessuno resterà indietro”.

In realtà, la vera domanda che l’Occidente sembra non porsi, è se Putin una volta raggiunto lo scopo si fermerà.

Cioè se la passività dell’Occidente, che in pratica accetta di sacrificare l’Ucraina, non accrescerà gli appetiti russi, proprio a fronte di un nemico che non vuole battersi, perché Putin così ci vede. Mai dimenticarlo.

In realtà, le probabilità che Putin si accontenti sono poche.

Storia e sociologia insegnano che le relazioni tra attori politici sono regolate da una logica di potenza che si dispiega fino a quanto non incontra una potenza superiore. Si può parlare di una regolarità metapolitica, che va dal Nuovo regno dell’egiziano Tutmose I alle campagne di conquista Assire e Persiane, passando per l’Imperialismo democratico ateniese, e quello repubblicano dei Romani, e così via fino a Luigi XIV, Napoleone, Hitler. Tutti questi attori politici alla fine trovarono un avversario, o avversari, più forti. Di potenza superiore. Che li piegò, o che comunque li costrinse a venire a miti consigli.

Anche l’Occidente ha avuto il suo periodo di gloria e conquista, durato alcuni secoli, grosso modo fino alla Prima guerra mondiale: fino a quando non ha incontrato forze uguali e superiori: forze esterne, in primis quella della Russia sovietica e poi della Cina comunista, e interne, rappresentate dai fascismi e dai processi centrifughi di decolonizzazione.

Una volta venuta meno l’Unione Sovietica, l’Occidente euro-americano ha avuto una specie di sussulto di gloria, un trasalimento di grandezza. Una specie di sindrome dell’eroe per caso. Di chi non riesce a non approfittare di una situazione favorevole, pur non avendo più la mentalità del conquistatore, e per varie ragioni, spiegate nei giorni scorsi (**). Diciamo pure che la logica di potenza, come la verità si vendica sempre. Viene fuori suo malgrado. Per dirla altro modo: i desideri politici non invecchiano mai.

Il che spiega il tentativo di estensione della Nato a Est. Un’estensione di potenza che però è entrata in collisione con la riorganizzazione sovietica sotto la Russia di Putin, che agogna “almeno” ai confini del 1945.

Diciamo che l’Occidente, si è messo da solo nell’angolo, non perché Putin sia un “convinto pacifista aggredito dai guerrafondai europei e americani”, ma perché ai desideri politici dell’Occidente non corrisponde più una pari determinazione, diciamo una volontà di potenza (perché la capacità esisterebbe) a cominciare dagli Stati Uniti, impero riluttante (***) .

Si parla tanto in questi giorni della Nato. Chi è l’attuale segretario? Un socialdemocratico norvegese, un burocrate. E chi è il referente militare? Uno sconosciuto ammiraglio olandese, da foto di famiglia sulla scrivania.

Il punto della questione non è sposare la logica della guerra a tutti i costi: la volontà di potenza per la volontà di potenza, come quando si dice l’arte per l’arte. Ma, come abbiamo più volte ripetuto, di considerare la guerra “uno” strumento della politica internazionale, non “lo” strumento. In sintesi: si accetta il rischio della guerra, senza per questo, eccetera, eccetera.

In tutta questa crisi, sfociata in una pura e semplice guerra di conquista, degna per la spietatezza dei condottieri assiri, l’Occidente euro-americano non ha dato mai l’idea di voler fare sul serio, accettando il rischio di cui sopra. Ma neppure di voler abbandonare , lucidamente, l’Ucraina al suo destino.

Abbiamo assistito alla debolissima politica del ni, che, facendo perdere tempo prezioso, ha portato a una vera e propria débâcle politica. Il parallelo con Monaco 1938, non è a sproposito.

Altro che il sano realismo di coloro, come il professor Panebianco, e si parva licet il sottoscritto,  che accettano il rischio insito in una visione politica che scorge nella guerra, senza per questo deificarla, la continuazione della politica con altri mezzi.

Di qui invece il realismo politico, da vigliacchi (non troviamo altro termine), che si nasconde dietro una vulgata parapacifista, largamente rilanciata dai media, e sposata, dettaglio non secondario, dagli amici euro-americani di Putin. Un pacifismo d’accatto, a destra come a sinistra, che si dispiace addirittura della resistenza degli ucraini.

Come nella vita di tutti i giorni, i problemi vanno sempre affrontati, così nella vita degli stati, non è nascondendo la testa nella sabbia, come gli struzzi, che si risolvono le guerre.

Ed è esattamente ciò che sta facendo l’Occidente. Purtroppo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.corriere.it/

(**) Qui, ad esempio: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la-guerra/

(***) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/stati-uniti-un-impero-acefalo/

sabato 26 febbraio 2022

L’Occidente e l’incapacità di pensare la libertà

 


Alcuni analisti sostengono che Putin si sentiva accerchiato dalla Nato e che quindi dietro l’invasione dell’Ucraina si nasconda un solido argomento difensivo, riassunto nell’antico “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Che Putin ha tradotto a modo suo, attaccando in termini di guerra dissuasiva, diciamo preventiva: metà conquista, metà minaccia.

Ovviamente, sul piano retorico, le ragioni evocate da Putin sono quelle classiche, diremmo quasi sovietiche, della “denazificazione” dell’Ucraina e della “pace mondiale”, negata invece – non sia mai – dai paesi occidentali.

Pertanto, secondo gli stessi analisti, il nodo da sciogliere, per far sì che Putin desista in futuro dal suo interventismo preventivo, sarebbe quello del passo indietro, a cominciare da ciò che si può chiamare, eufemisticamente, la neutralizzazione armata dell’Ucraina.

In che modo? Accettando l’esito scontato dell’ invasione dell’ Ucraina e la successiva cloroformizzazione della vicenda, grazie anche al lento rilascio delle sanzioni economiche.

Insomma, secondo alcuni analisti, l’Occidente euro-americano dovrebbe accettare i fatti compiuti, e cosa non meno importante, congelare l’allargamento militare della Nato, come pure quello dell’Unione europea, istituzione, quest’ultima, che viene vista dai russi come una pericolosa testa di ponte culturale ed economica.

Il punto è che oltre a non conoscere bene, se ci si passa l’espressione, cosa realmente frulli nella testa di Putin, uomo politico dal gelido temperamento autoritario, resta una questione strutturale: quella della secolare marcia verso Occidente della Russia e dal mai nascosto e sopito disprezzo, di larga parte della sua cultura, per i valori occidentali.

Asserire questo non vuol dire che l’Occidente non si sia mai proposto, per così dire, di occidentalizzare la Russia, anche attraverso l’uso della minaccia e della forza, come mostrano le imprese napoleoniche e hitleriane.

Sotto questo aspetto, l’allargamento della Nato, che ha raggiunto negli ultimi venti anni, quasi tutti gli ex stati satelliti dell’Unione Sovietica, indica che l’Occidente non ha rinunciato a esercitare una sua egemonia politica, munita di scudo militare, sull’Europa orientale.

La politica è potenza, come abbiamo più volte scritto in questi giorni. Però, non può essere ridotta al gelido conflitto deterministico tra atomi anonimi.

Perché è vero che le ideologie servono solo a giustificare e razionalizzare i fatti, magari meno nobili, però è altrettanto vero – nello specifico – che l’allargamento Nato e Ue non è frutto di interventi armati.

Detto altrimenti, i paesi che vi hanno aderito non sono stati costretti con la forza. Anzi hanno mostrato grande entusiasmo per il modello di vita occidentale. Gli atomi, per così dire, si sono pronunciati, pur costretti tra il caso e la necessità delle politiche di potenza. Sono questioni, in particolare quella della libertà umana, che la metapolitica non può assolutamente ignorare.

Ora, il modello occidentale, può piacere o meno, però resta il fatto che la libertà di scelta è cosa diversa dall’imposizione a cannonate di una scelta. Napoleone e Hitler sono una cosa, Biden, Macron, Ursula von der Leyen, Mario Draghi, pur con evidentissimi limiti personali e politici, un’altra.

Quindi se Putin, in questi giorni rappresenta solo la forza, l’Occidente rappresenta la forza e la libertà. Diciamo il libro e la spada.

In teoria però. Perché l’Occidente euro-americano, nel caso dell’invasione dell’Ucraina, sembra aver ceduto, in termini di libertà, alla forza russa. Che ora sta facendo strame della libertà ucraina.

Si dice, che cedere ai missili russi a tappeto su Kiev, sia un atto di realismo politico. Di qui la ragionevole scelta della linea meno dura, se non morbida, delle sanzioni, che poi andranno discusse, eccetera, eccetera.

Del resto, piaccia o meno, ormai l’Occidente sembra temere persino la guerra economica, perché si preoccupa più di clima, cultura di genere e di  come pagare le pensioni e altre previdenze sociale che di quello spirito di libertà, difeso anche con la spada, che lo ha fatto grande. Qui i pesanti limiti  politici  di Biden, Macron, Ursula von der Leyen, Mario Draghi

Ieri parlavamo dell’incapacità dell’Occidente di pensare la guerra (*). Però riteniamo stia dando prova, nonostante i paroloni, di non saper più pensare neppure la libertà.

Attenzione, la libertà teorizzata da una tradizione liberale e realista al tempo stesso, unica per la sua originalità storica. Una tradizione che va da Burke a Berlin, passando per Tocqueville, Pareto, Croce, Ortega, Mosca, Weber, Ferrero, Röpke, De Jouvenel, Freund, Aron e altri ancora (**).

Si dirà che è solo filosofia politica, chiacchiere. E che bisogna stare ai puri fatti.

Giustissimo. Si è cosi sicuri che Putin si fermerà qui? Che ne sarà della Georgia e della Moldavia,? Questioni per ora “congelate”. E quale sarà la sorte dei paesi dove esistono minoranze russofone? Li attende il modello ucraino della “denazificazione”? Chi ci assicura che la benevolenza cinese di queste ore, non nasconda il via libera della Russia alla Cina su Taiwan?

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://cargambesciametapolitics.altervista.org/loccidente-e-lincapacita-di-pensare-la-guerra/
(**) Sul punto si veda il nostro Liberalismo triste. Un percorso da Burke a Berlin, Edizioni Il Foglio 2012 ( https://www.ibs.it/liberalismo-triste-percorso-da-burke-libro-carlo-gambescia/e/9788876064005 )

venerdì 25 febbraio 2022

L’Occidente e l’incapacità di pensare la guerra

 


Le notizie di queste ore, come ovvio, sono frammentarie e imprecise, ma militarmente non può esserci partita tra la Russia al 2° posto nella graduatoria mondiale degli gli eserciti e l’Ucraina al 22° (*).

La Russia sembra aver puntato al bersaglio grosso: alla sconfitta e all’occupazione militare dell’Ucraina. Ovviamente non è ancora noto se l’occupazione sarà temporanea o meno. E se si procederà alla immediata rimozione dell’attuale presidente e all’ eliminazione, anche fisica, di qualsiasi altro ostacolo politico all’egemonia russa sull’Ucraina.

L’Occidente euro-americano, caratterizzato da un atteggiamento per metà passivo e per metà isterico, parla di sanzioni economiche durissime. Con più convinzione gli Stati Uniti, con meno l’Unione Europea, che dipende,e in modo rilevante, a differenza degli Usa, per le forniture di gas dalla Russia (45 per cento), come del resto l'Italia (40 per cento).

 Va subito sottolineato che le precedenti sanzioni per l’occupazione della Crimea non hanno finora causato gravi danni sociali ed economici. Per quale ragione? La popolazione russa  è abituata da sempre a tirare la cinghia e fare i conti, sopportando, con un basso tenore di vita e di consumi.

Permane naturalmente la debolezza costitutiva della Russia in non pochi settori. Ne indichiamo tre: 1) dipendenza dal settore degli idrocarburi, l’andamento del prezzo del barile, condiziona, di volta in volta verso l’alto o verso il basso l’economia russa; 2) instabilità finanziaria e deflussi di capitale; 3) volatilità del rublo e insufficiente livello degli investimenti pubblici e privati (**).

A fronte di questo quadro, un atteggiamento più fermo, e per tempo, dell’Ue, degli Stati Uniti, quindi della Nato, perciò sul piano militare, avrebbe costretto Putin a rivedere i suoi calcoli.

In realtà, l’Occidente, man mano che si sviluppava la crisi, soprattutto dopo l’occupazione della Crimea, non ha saputo appoggiare apertamente l’Ucraina, cooptandola nella Nato, né abbandonarla, altrettanto pubblicamente, al suo destino. Si è temporeggiato, non per ragioni strategiche, né tattiche, ma per pura incapacità politica di pensare la guerra.

In questo modo, si è permesso alla Russia di puntare sulla politica dei colpi di mano successivi (la prossima volta potrebbe toccare alle repubbliche baltiche… ), incoraggiata dalla passività chiacchierona e uterina dell’Occidente.

Sotto questo aspetto, la politica delle sanzioni economiche, frutto di una controproducente politica dell’indignazione (molte parole, pochi fatti), peggiorerà la situazione economica di tutti (in particolare dei più sfavoriti: russi ed europei), come pure i rapporti, già complicatissimi, tra Stati Uniti e Russia. Senza migliorare quelli con i paesi dell’Europa dell’Est che, dentro la Nato o meno, non possono non scorgere nel triste destino dell’Ucraina, anche simbolicamente, la sintesi perfetta, ripetiamo, dell’incapacità dell’Occidente euro-americano di pensare la guerra.

Purtroppo, in questa profondissima crisi, la differenza fondamentale tra la Russia e l’ Occidente è rappresentata dal pacifismo. Ossia dall’incapacità dei leader europei e americani di considerare la guerra come uno strumento normale della politica internazionale. Ecco cosa significa “pensare la guerra”. L’esatto contrario della vulgata pacifista che ritiene  si possa abolire la guerra per legge.

Come in Italia, dove probabilmente facendo di necessità virtù, ci si nasconde, come i famosi porcellini del cartone di Walt Disney, dietro la casetta di paglia del rifiuto della guerra scolpito, come si proclama gonfiando il torace, nella Costituzione.

Putin invece continua a considerare la guerra come un fatto normale. Di conseguenza, ogni volta che l’Occidente si siede al tavolo delle trattative, si accomoda con un braccio legato dietro la schiena (se non due). Il che lo rende un partner inaffidabile, comunque poco credibile. E soprattutto una preda facile per chiunque continui a scorgere nella guerra la prosecuzione della politica con altri mezzi. Proprio come Putin.

Ciò non significa, come abbiamo visto, che il leader russo sia invincibile. La Russia ha i suoi punti di deboli, economici e sociali e forse pure militari. Inoltre, ogni espansione trova la sua soglia augustea, il punto limite, dopo il quale inizia la discesa, come provano il tracollo sovietico nel 1991 e il processo europeo di decolonizzazione, dopo il 1945, per citare esempi abbastanza vicini a noi.

Però, la questione è che c’è uno spazio temporale – di tempo storico – tra l’avvio del processo egemonico e il perseguimento della soglia augustea. Uno spazio che può essere storicamente più o meno lungo. Distinto, per così dire, dalle conseguenze dispotiche del caso: guerre, occupazioni, deportazioni, spoliazioni economiche, eccetera, eccetera.

Ora, quanto più si facilita al nemico il processo di conquista, tanto più si favorisce lo scatenamento dei suoi appetiti, dal momento che l’espansione del potere nudo, basato sulla pura costrizione, come nel caso di una conquista militare, trova un limite solo in un altro potere nudo di forza superiore. Non esistono vie di mezzo.

Si ripete, soprattutto da qualche secolo, anche nobilmente per carità, che il potere nudo può essere contrastato con il potere legale, con la forza del contratto, insomma dei trattati, intorno al tavolo, eccetera, eccetera.

Perfetto, allora, in queste ore, si provi a spiegarlo a Putin…

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.forzeitaliane.it/gli-eserciti-piu-potenti-al-mondo-classifica-aggiornata-2022L’Italia è all’11° posto.

(**) Per una rapida rassegna di questi aspetti si veda qui:https://www.infomercatiesteri.it/rischi_economici.php?id_paesi=88   . Sulla questione della dipendenza energetica europea e in particolare italiana si veda qui:https://www.avvenire.it/economia/pagine/che-succede-se-la-russia-chiude-i-rubinetti-del-gas-all-europa-e-all-italia ; 

giovedì 24 febbraio 2022

Stati Uniti, un impero acefalo



 

Sui gravissimi sviluppi della crisi ucraina, l’Europa non è vittima di alcuna trappola tesa da Biden.

Sempre che non si voglia ridurre l’analisi politica a pura esercitazione complottista.

L’Europa, eventualmente, è vittima della sua stessa debolezza politica, tipica di un antico impero in disarmo, che pur cedendo al nemico più forte, pretende, per salvare la faccia, che il tributo pagato al “barbaro”, sia dipinto come un dono…

Assai diverso invece il caso degli Stati Uniti. Cosa nota a chiunque conosca la storia della politica estera e della cultura americane. Quindi l’approccio analitico per capire le reazioni Usa non può che essere strutturale.Pettegolezzi e complotti non meritano alcuna attenzione.

Storicamente parlando, gli Stati Uniti hanno perseguito il massimo della sforzo egemonico, durante e dopo la seconda guerra mondiale, rispondendo, prima alla sfida dell’Asse e poi alla sfida sovietica, nel contesto di un gioco di azione e reazione: quindi non sempre in modo convinto, con riluttanza fino all’ultimo momento, sospinti dagli eventi.

Dopo di che gli Stati Uniti, soprattutto nelle due fasi della disorganizzazione e riorganizzazione russa, hanno inanellato una serie di insuccessi (incluse le due guerre “vittoriose” del Golfo) frutto di una titubanza costitutiva, incapacitante, o se si preferisce inadeguata allo svolgimento di un ruolo imperiale che abbraccia – semplificando il concetto – la guerra come il dopoguerra.

Non pochi analisti hanno parlato negli ultimi trent’anni di un Impero controvoglia, riluttante, ravvisandone le cause nella cultura morale delle tradizioni autarchico-isolazioniste e democratico-illuministe americane.

Tradizioni culturali che ricoprono ideologicamente l’interno scenario politico americano, dalla destra repubblicana alla sinistra democratica ( o liberal come si dice negli Usa).

L’unica eccezione, che però non fa regola politica, fu rappresentata dall’intervento Nato nel 1995 contro la Serbia, imposto da Clinton agli alleati europei. Per il resto, come scritto, non si può assolutamente parlare di una politica imperiale né imperialistica in senso storico e sociologico.

Non perché gli Stati Uniti siano privi delle necessarie risorse militari ed economiche per attuarla (come invece nel caso europeo), ma più semplicemente perché mancano di una volontà imperiale.

Come è stato scritto, altra cosa è la ricerca di un predominio soft, culturale, economico, sociale. Che, per così dire, resta agli atti, come prova certo americanismo diffuso, per alcuni addirittura trionfante, che abbraccia però solo i modi di vita, i consumi insomma.

Cosa, quest’ultima, che può piacere o meno, ma che non ha alcuna relazione con la volontà imperiale, politica e militare: quel potere hard, che ha sempre innervato i più potenti imperi della storia, perfetta combinazione di forza e volontà.

Perciò la questione è un’altra. Nessun complotto ai danni dell’Europa, ma più semplicemente scarsa o nulla volontà di battersi, per ribadire egemonicamente, con le armi in pugno, il proprio potere imperiale.

Di qui l’evidente ma scontata e ricorrente contraddizione, vivissima nell’ establishment Usa, e che disorienta gli alleati, tra il nominale linguaggio dei diritti violati e la reale assenza di reazioni politico-militari, o comunque sia, quando registrate, sempre a singhiozzo.

Una contraddizione che ha toccato il culmine, in termini di insulsaggine politica, fino a sfiorare il ridicolo, questa notte, dopo l’attacco russo. Al bombardamento dell’aeroporto di Kiev e di altre basi strategiche ucraine, Biden ha risposto evocando nuovamente le sanzioni economiche.

Un atteggiamento impolitico che rivela un vero e proprio stato d’impotenza, prima che imperiale, psicologica e culturale. Una disastrosa condizione mentale. O forse anche peggio. Perché qui non si tratta di pacifismo o di doppio gioco, ma, ripetiamo, del rifiuto, quasi precognitivo, di esercitare un ruolo imperiale.

Altro che le trappole di Washington… Siamo invece dinanzi a un impero riluttante, strutturalmente riluttante.

Un gigante economico che naviga a vista, e che purtroppo ogni volta rivela di essere ciò che realmente è: un impero acefalo.

Carlo Gambescia

mercoledì 23 febbraio 2022

La questione ucraina e le leggi della metapolitica

 

La politica, o meglio la metapolitica, ha le sue leggi o costanti legate ai conflitti di potenza. Regolarità che non obbediscono alla retorica di solito usata dagli attori politici per nobilitare e nascondere, talvolta perfino a se stessi, la verità effettuale, per dirla con Machiavelli.

Ecco due esempi in argomento, diciamo attuali.

La destra nazionalista, non solo in Italia, riconosce a Putin il diritto di invadere o comunque di frazionare l’Ucraina in nome del proprio interesse nazionale e delle minoranze russofone. Quindi rivendica l’uso della forza.

L’internazionalismo liberale, condanna Putin perché offende i diritti sovrani di un altro stato, l’Ucraina per l’appunto, aggredendola militarmente. Quindi condanna l’uso della forza.

Chi ha torto? Chi ragione?

In realtà, la questione ucraina è il classico caso in cui, piaccia o meno, la guerra si impone alle parti in campo come la prosecuzione della politica con altri mezzi. Si può rivendicarla, come i sostenitori delle tesi nazionaliste, oppure negarla come i seguaci dei principi internazionalisti, ma resta il convitato di pietra, insomma la presenza incombente.

La Russia, può accampare le sue ragioni, i liberali ne possono avanzare altre. Inutile elencarle: si tratta di strumenti retorici che servono a giustificare precise scelte politiche, nazionaliste e internazionaliste.

Tuttavia, dal momento che la pace, per ragioni culturali e morali oggi dominanti, sembra essere considerata come la scelta migliore, Putin viene giudicato male: il cattivo. Per contro tutti coloro che sostengono la tesi pacifista, sono giudicati positivamente: i buoni.

In realtà, in politica, non ci sono buoni né cattivi ma solo ragioni di potenza, ossia di lotta per l’egemonia, cioè per estendere il proprio potere su un altro attore politico. Un processo che trova il suo termine temporaneo, storicamente temporaneo, solo dinanzi a una potenza superiore. Si può anche parlare di equilibrio tra potenze di forze uguali o quasi. Equilibrio però, che come tale, è sempre instabile, sicché la lotta per l’egemonia, storicamente parlando non ha mai fine. La cristallizzazione politica di un sistema, di un regime, di una istituzione è sempre temporanea, ovviamente, dal punto di vista de tempi storici, quindi anche per secoli.

Un’ultima precisazione oggi i politologi, inchinandosi dinanzi alla vulgata pacifista, preferiscono parlare non più di logica di potenza ma di interessi o preferenza nazionali. Per dirla, con i nonni, se non è zuppa è pane bagnato…

Chiarito questo punto, torniamo alla questione ucraina.

Gli Stati Uniti, non considerandosi minacciati direttamente e non fidandosi degli alleati europei preferiscono temporeggiare. Se l’Ucraina, fosse stata in Centroamerica, gli Stati Uniti avrebbero scelto l’immediata risposta militare, diretta o indiretta.

L’Europa, debole militarmente e divisa al suo interno, si pone solo problemi di natura economica e di budget assistenziale. Di qui la cautela mostrata, se non addirittura il timore verso  quelle che sono liquidate come  inutili  avventure militari. E, quando improcrastinabili, come  "missioni di pace", alle quale però mettere fine subito.

Di conseguenza, la scelta delle sanzioni è la foglia di fico per nascondere il proprio disinteresse (Stati Uniti) e l’ impotenza militare (Unione Europea).

Ovviamente sono cose che non si dicono davanti alle telecamere e ai delegati Onu. Sono cose che si mascherano evocando i grandi ideali di pace, eccetera, eccetera.

Putin, che può contare sulla benevola neutralità della Cina (che per ora vede negli Stati Uniti un nemico) e su un’ importante forza militare, quantomeno regionale, può perciò tirare dritto per la sua strada, che come scrivevamo ieri, rinvia alla marcia verso Ovest della tradizione zarista, e prima ancora bizantina. Torna in ballo, se si vuole ragionare per grandi cicli storici di potenza, la riunificazione, certo cosa di lungo periodo, della parte orientale e occidentale dell’antico Impero romano.

Ovviamente, sono cose, tra l’altro tuttora teorizzate da alcuni intellettuali russi, che però non si dicono pubblicamente ( e infatti Putin nega). Cose che si preferisce nascondere dietro la retorica dell’autodeterminazione dei popoli come leva ideale per garantire la pace tra i popoli, eccetera, eccetera. Questa la tesi di Putin.

Si può sostenere, sempre in termini di logica di potenza, che, all’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991 (come dopo il Trattato di Brest-Litovsk, stipulato dai bolscevichi con gli Imperi centrali nel marzo del 1918), la Russia venne messa all’angolo, perdendo territorio, potere, risorse, e che ora reagisce (come reagì l’Unione Sovietica nel 1945) recuperando, eccetera, eccetera.

Dal punto di vista delle leggi della politica, si tratta di un’interpretazione che non fa un una piega. Infatti, il vero nodo dell’intera questione è che Putin sa esattamente quello che vuole: l’egemonia sull’Europa. Una scelta in perfetta linea con quelle che sono le leggi della politica, o detto altrimenti della metapolitica.

Per contro, l’Europa e gli Stati Uniti cincischiano, parlano di grandi ideali, ma in realtà non vedono al di là del proprio naso: l’Europa vuole fare solo buoni affari anche a costo di perdere la propria dignità; gli Stati Uniti vivono di sondaggi elettorali e polemiche interne sul politicamente corretto. Manca, di qua come di là dell’Oceano, una autentica visione strategica.

Un lusso che gli Stati Uniti, per ora, si possono permettere, perché la distanza tra Washington e Kiev è di quasi diecimila chilometri. Ma l’Europa no. Perché la distanza tra Bruxelles e Kiev è  poco più di duemila chilometri.

Carlo Gambescia

 

martedì 22 febbraio 2022

Putin e il baricentro russo

 


Putin, per dirla alla buona, non è un imbecille né un criminale. Putin, per alcuni addirittura con abilità, lavora intorno a uno dei due grandi baricentri della politica estera russa, almeno a far tempo da Pietro il Grande.

Il primo è rappresentato dall’espansione verso l’Occidente, il secondo da quella verso Oriente.

Se si osserva la carta geografica dello sviluppo politico della Russia negli ultimi tre secoli,si nota subito, come il punto di massima progressione egemonica, sia stato raggiunto a Oriente e Occidente, intorno agli Cinquanta del Novecento.

Per contro il punto di massima regressione risale agli Novanta sempre dell’altro secolo, durante la caotica dissoluzione del comunismo negli anni Novanta in Russia e negli stati satelliti.

Quindi cosa sta accadendo? Che Putin, dal momento che la strada verso Oriente è sbarrata dalla Cina, dall’India e dal caos islamista, sta tentando di risalire la corrente in Occidente.

Qual è invece il baricentro dell’Europa e degli Stati Uniti? L’Europa lo ha praticamente perduto nel 1945, dopo due tremende guerre civili. In precedenza, il suo baricentro era il mondo: alla fine del XIX secolo, gli stati europei erano ovunque, con forti presenze militari e navali: gli storici parlano di uno spazio geopolitico tra il settanta e il novanta per cento del globo terracqueo. La decolonizzazione mise fine a tutto questo.

Quanto agli Stati Uniti, si può osservare che il baricentro è tuttora rivolto al Pacifico e all’America Latina. Di conseguenza, il gigante Usa si è occupato e si occupa dell’Europa (e del resto del mondo) controvoglia, se ci si passa il termine.

Ora, da una parte abbiamo la Russia che non ha quasi mai perso di vista il suo baricentro storico, quello europeo; dall’altro l’Europa che vive alla giornata, senza alcun baricentro, illudendosi, come tutti i deboli, che il contratto possa sostituirsi alla spada, e per sempre addirittura.

Gli Stati Uniti, che invece avrebbero la forza necessaria, guardano altrove: al Pacifico, alla Cina, al Giappone. E questo, per inciso, è un altro motivo, che spinge la Russia, di rimbalzo, a rivolgersi verso Occidente.

Paradossalmente, come quando piomba in casa un ospite maleducato e sgradito, trent’anni fa, la dissoluzione dell’Unione Sovietica accrebbe i problemi europei invece di diminuirli. Perché all’improvviso mise l’Europa occidentale, che si cullava sugli allori pacifisti, davanti a una politica estera con il baricentro, per così dire, calamitato a Est.

Sicché l’Europa occidentale si ritrovò in mezzo ai campi minati di una nuova e burrascosa situazione, di popoli, usciti di prigione, quasi tutti digiuni di democrazia liberale, affamati di libertà ma incapaci di usarla.

Uno scenario impensabile fino a pochi anni prima. Una situazione che l’Europa, disabituata alla spada, continua tuttora ad affrontare con gli strumenti del contratto: blandisce, aiuta, conforta, talvolta rimprovera. L’Europa confida nel fascino dei buoni affari e nella misteriosa forza epocale e psicologica della democrazia. Si punta, ritenendole l’ultimo ritrovato della scienza politica, sulle purtroppo barcollanti istituzioni Ue e Nato: organismo, quest’ultimo, ormai più diplomatico che militare, ultima e pallida incarnazione di un famoso slogan sessantottino: “Mettete dei fiori nei vostri cannoni”.

Tuttavia, una volta riassestatasi, anche con l’aiuto europeo, la Russia putiniana, è tornata inevitabilmente all’antica politica del baricentro a Occidente. Come prova quel che è accaduto in Crimea e ieri in Ucraina.

In sintesi: la Russia non disdegna l’uso della spada, anzi. L’Europa gira disarmata, gli Stati Uniti riservano la spada per il Pacifico.

Questi sono i termini “reali” della questione. Perciò, anche questa volta, al di là delle proteste formali e di eventuali sanzioni, che non influiranno minimamente sulla Russia, l’ipotesi che Europa e Stati Uniti lascino fare sembra essere quella più probabile.

Del resto non è la prima volta  che  nei rapporti tra Europa e Russia  sembra vincere la logica dei fatti compiuti.

Si pensi alle tre, anzi quattro spartizioni della Polonia (l’ultima tra Hitler e Stalin). Oppure al triste destino della Cecoslovacchia (dei frutti avvelenati di Monaco, in seguito beneficiò nel 1945 anche l’Unione Sovietica), nonché alla malinconica sorte delle cosiddette democrazie popolari nel secondo dopoguerra.

L’Ucraina, perciò, non è che una tappa di quella marcia verso Occidente, che, ad esempio, già condusse alla fine delle guerre napoleoniche, le armate russe a occupare Parigi.

Ecco, Napoleone, per fare un contro-esempio, usò troppo la spada. E ne pagò le conseguenze. E lo stesso vale, al contrario, per la pretesa di usare troppo il contratto.

Serve equilibrio. E soprattutto non può, anzi non deve, mai mancare il baricentro.

Carlo Gambescia