venerdì 28 settembre 2012



Todos democratici? 
Il “test” di José Ortega y Gasset

José Ortega y Gasset (1883-1955)

Tutti democratici? Ma cosa significa essere democratici? E qual è la differenza specifica  tra il democratico e il demagogo?  Per capire meglio, chiediamo aiuto al grande José Ortega y Gasset, il quale ci propone un “test”:
« E se prima dicevo che non è lecito essere “anzitutto” democratico, adesso aggiungo che è neppure lecito essere “solo” democratico. L’amico della giustizia non può fermarsi al livellamento dei privilegi, all’assicurare l’uguaglianza di diritti per quello che in tutti gli uomini vi è di uguale. Sente la stessa urgenza di fare leggi, di legittimare quello che vi è di disuguale tra gli uomini. Qui abbiamo il criterio per discernere dove il sentimento democratico degenera in plebeismo. Chi si irrita nel vedere trattati diversamente gli uguali e non si commuove nel vedere trattati ugualmente i disuguali, non è democratico, è plebeo» (J. Ortega y Gasset,  Lo spettatore,  Bompiani,  1949,  vol. I, p. 153).
Con il termine «plebeismo» Ortega rinvia a una forma mentis pre-politica  la cui assenza, favorisce la metamorfosi della democrazia in demagogia:  Perché  - ed è bene ripeterlo  -    chiunque si  infastidisca «   nel vedere trattati diversamente gli uguali e non si commuove nel vedere trattati ugualmente i disuguali, non è democratico, è plebeo».  Può sembrare paradossale, ma per il filosofo spagnolo, ogni buon democratico non può non essere anche aristocratico… Anzi,  deve essere prima di tutto un  aristocratico. Impresa non facile, ai suoi come ai nostri tempi.  
Concludendo, todos democratici?   Il  “test” di Ortega,  merita una verifica, individuale:   avvertiamo fastidio e  commozione quando, eccetera, eccetera?   A ognuno di noi il compito di rispondere.

Carlo Gambescia

giovedì 27 settembre 2012

Oggi proponiamo due recensioni, a firma di Carlo Pompei e  Teodoro Klitsche de la Grange, dedicate a libri apparentemente diversi,  anche nel genere: un romanzo e un  saggio politico-economico.  In realtà, lo sfondo comune dei testi resta la crisi della politica.  Questione che rinvia, innanzitutto, alla crisi dell’individuo. Alla quale Borni (Oltre l’arcobaleno) e Tremonti (Uscita di sicurezza) rispondono esaltando - per semplificare - il romanticismo esistenziale (il primo) e politico (il secondo): un occasionalismo, per  dirla con Carl Schmitt.  fatto di scelte  talvolta improvvise, talaltra improvvisate,   che tuttavia  vanno sempre  oltre la fredda ragione calcolante degli ingegneri dell'anima . 
Diciamo che la riposta di Borni   sembra essere più convincente, forse  perché coerentemente vissuta. Meno sincera appare   quella di Tremonti.  Il quale,  in modo   contraddittorio,  ora,  che è fuori dalla stanza dei bottoni,  invoca la politica. E per giunta  dopo aver spezzato  il pane  con i tecnocrati e introdotto, da perfetto ragioniere,  i tagli lineari di bilancio.  Certo,  quando  le idee di un libro (almeno alcune)  sono buone, si può anche prescindere   dalla coerenza  dell'autore...
 Buona lettura. (C.G.)

***

Il libro della settimana: Fabrizio Borni, Oltre l’arcobaleno: non puoi smettere di essere quello che sei , Seneca Edizioni 2012, pp. 192, Euro 15,00 -   (recensione di Carlo Pompei).

http://www.senecaedizioni.com/index.php?pageid=collane&collanaid=4

 

Con Oltre l’arcobaleno: non puoi smettere di essere quello che sei  (Seneca Edizioni) - libro che ha sottili riferimenti in comune con il precedente Il Settimo Angelo - Fabrizio Borni si conferma romanziere nel più autentico senso del termine. Il genere letterario, infatti, non è ascrivibile a quello della scrittura di pura fantasia: Borni lascia intendere come l’autore sia - in parte - anche il protagonista dello scritto. Ma d'altronde qualsiasi uomo alla soglia dei “cinquanta” che abbia avuto una vita intensa e varia si riconoscerebbe più o meno in Marcello Terzi.
Ciò non banalizza affatto la composizione, anzi: l’abilità di Borni nello scrivere in maniera coinvolgente e fluida fa sì che il volume esiga e debba esser letto tutto d'un fiato. Se si vuole interrompere la lettura, occorre farlo dove l'autore stesso lo consiglia, con improvvisi cambi di scenario, peraltro ben strutturati.
La “trama” - a tratti sembra proprio di leggere la sceneggiatura di un film - è avvincente perché è un mix di descrizioni delle azioni e reazioni di un eroe d’altri tempi, ma anche di un “Uomo Qualunque” - quello pensato da Guglielmo Giannini, per intenderci - con le sue incertezze, debolezze e fragilità e con la dignità di “Un borghese piccolo piccolo”, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, prodotta per la regia di Mario Monicelli ed interpretata da Alberto Sordi.
La figura di Marcello Terzi oscilla come il Pendolo di Foucault: non passa mai esattamente per il centro e ha comportamenti diversi - se non opposti - a seconda delle latitudini: padre e marito affettuoso e protettivo, seppur scatenato sciupafemmine, per poi tornare inguaribile romantico e paladino di una “giustizia giusta” nonostante – e malgrado - i trascorsi non proprio cristallini.
Insomma, un personaggio in prima battuta enigmatico, sempre in bilico tra coerenza ed incoerenza che merita di essere conosciuto più a fondo, perché da lui possiamo imparare molto: possiamo capire che cosa fare in futuro e, forse, soprattutto, che cosa non fare…

Carlo Pompei 


Carlo Pompei, classe 1966, “Romano de Roma”. Appena nato, non sapendo ancora né leggere, né scrivere, cominciò improvvisamente a disegnare. Oggi, si divide tra grafica, impaginazione, scrittura, illustrazione, informatica, insegnamento ed… ebanisteria “entry level”.


http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/


Il libro della settimana: Giulio Tremonti, Uscita di sicurezza, RCS Milano 2012, pp. 260, euro 12,00 -     (recensione di Teodoro Klitsche de la Grange). 


A chi scrive piace sottolineare di questo libro di Tremonti, in primo luogo la tesi che la crisi internazionale ha effetti (sicuramente) e natura (in parte) politica; cosa sostenuta da pochi, tra cui il qui recensore. Scrive infatti l’autore: «Una volta il pronunciamiento lo facevano i militari. Occupavano la radio-tv, imponevano il coprifuoco di notte eccetera. Oggi, in versione postmoderna, lo si fa con l’argomento della tenuta sistemica dell’euro, con il connesso capo d’accusa spiccabile contro un Paese di fare fallire per sua specifica colpa l’intero eurosistema, come se questo da solo e per suo conto fosse invece davvero stabile(!); lo si fa condizionando e commissariando governi e parlamenti; sperimentando la cosiddetta nuova governance europea ‘rafforzata’. Ed è la finanza a farlo, il pronunciamiento, imponendo il proprio governo, fatto quasi sempre da gente con la sua stessa uniforme, da tecnocrati apostoli cultori delle loro utopie, convinti ancora del dogma monetarista; ingegneri applicati all’economia, come era nel Politburo prima del crollo; replicanti totalitaristi alla Saint-Simon».
È chiaro che l’ex ministro si riferisce alla vicenda dell’intronizzazione di Monti, senza affrontare i connessi problemi – politici - di iniziativa, interessi e risultati (il pagamento del “tributo” per lo spread con l’aumento delle imposte): ma comunque la prospettiva è (almeno in parte) la medesima.
Nella stessa logica, Tremonti critica l’euro; questa moneta è nata in un “«vuoto di potere», con una banca centrale a poteri limitati e, soprattutto, senza un’istituzione politica alle spalle; onde è una moneta politicamente neutrale, debole di fronte ad attacchi esterni, a dispetto della potenza economica degli Stati dell’Unione. Mentre, in tale situazione «nessuno o pochi ancora si rivolgono al vero colpevole, e cioè la finanza».
La politica può uscire da questo stallo, da questa fase di colpevole abulia e complicità, e rimettersi al servizio dei popoli, solo se ha la forza di cominciare con una prima mossa concreta e decisiva, la forza di mettersi sopra la finanza”.
È necessario non dimenticare che prima delle riforme volte a realizzare il capitalismo assistenziale, “messe in opera” nella prima metà del secolo scorso, basate sui due capisaldi dell’aumento delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e della spesa sociale, lo scopo di evitare le crisi ricorrenti e di cambiare la politica, era stato già visto – decenni prima – da alcuni economisti. Scriveva J. A. Hobson, criticando l’imperialismo, causato dalla (troppo) diseguale distribuzione dei redditi e dall’eccesso di risparmio (inutilizzato). «L’imperialismo è il frutto di questa situazione; le “riforme sociali” sono il rimedio. Lo scopo principale delle “riforme sociali”, se si usa il termine nel suo significato economico, è quello di elevare il livello dei consumi pubblici e privati di una nazione, in modo da permettere ad essa di raggiungere i suoi più alti livelli di produzione».
Ora quel modello economico - sociale che ha dominato per quasi un secolo è finito. Occorre ripensarlo daccapo, e non pare che le linee siano state anticipate, come successo invece un secolo fa.
Tremonti propone due soluzioni: la riorganizzazione delle istituzioni europee, e il recupero delle leggi bancarie degli anni ’30, «sul tipo della legge Glass-Steagall del 1933, scritte per dividere l’economia produttiva dall’economia speculativa»; nuove regole per la finanza e la possibilità d’emissione degli eurobond. Il tutto al fine di rimuovere alla radice la causa della crisi, lo strapotere della finanza. Tornando così al primato della politica: per tempi in cui va di moda l’antipolitica, una posizione originale.

Teodoro Klitsche de la Grange


Avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica“Behemoth" ( http://www.behemoth.it/  ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009).



mercoledì 26 settembre 2012

Finanziamento pubblico dei  partiti 

e filosofia del  tranvai...

 
Gaetano Mosca (1858-1941)


Nel carteggio  Gaetano Mosca-Guglielmo Ferrero, citiamo a memoria, Mosca, all’epoca (fine anni Dieci del Novecento), deputato, senatore,  Sottosegretario, si scusa con Ferrero, perché non potrà recarsi alla Camera, e così inoltrare una lettera, a causa « dello sciopero del tranvai». 
La classe politica alla quale   apparteneva Mosca, i cui  membri (certo non tutti...)   non potevano  permettersi neppure  la carrozza,   venne liquidata dal fascismo come totalmente corrotta e inetta.  Quei liberali, in realtà onesti, pur avendo vinto la guerra - e che guerra -    persero il dopoguerra… Ma questa è un'altra storia.  
Cosa vogliamo dire?    Che tra  Gaetano Mosca  e  Luigi Lusi,  tesoriere della Margherita  (Fiorito è ancora sotto inchiesta), c’è in mezzo una "cosa" che sia chiama finanziamento pubblico dei partiti. Una  stortura  che va  assolutamente eliminata. Certo, non si  sopprimerà  del tutto  la corruzione: gli uomini sono esseri imperfetti...  Siamo perciò  davanti a una scelta di male minore.  Si tratta, insomma,  di  ridurre le tentazioni...  E, per dirla  fuori dai denti, di evitare che siano finanziate -   le tentazioni -   a spese dei cittadini.  
Semplifichiamo troppo? Forse.  Ma una cosa è certa:  i partiti, a tutti i livelli,  non vanno più foraggiati pubblicamente. Che si arrangino.   Non sono in grado di autoriformarsi?  Ebbene,  si provveda immediatamente  per decreto legge.  Qui servono fatti.  Napolitano e Monti,  se volessero potrebbe  intervenire, e con il  plauso dell'Europa. Questa volta, a differenza del "golpetto" bianco per far cadere Berlusconi,  avrebbero l'appoggio totale  della pubblica opinione.  
Ora,  basta!  Che i nostri deputati tornino a prendere il “tranvai” come faceva Gaetano Mosca.

Carlo Gambescia



Le dimissioni di Renata Polverini
La favola di Cappuccetto Rosso





E così Renata Polverini si è dimessa in tempo per il telegiornale delle ore venti.  Una scelta  - sia le dimissioni, sia la sincronia -   da vera furbetta mediatica.   Del resto, in settimana,  già aveva fatto il giro delle varie "piazze" televisive con    canestrello  regolamentare al braccio,   mantellina  rossa d'ordinanza  e  immancabili  occhioni sgranati.
In  realtà,  Cappuccetto Rosso  era Presidente della Regione, perciò sapeva della paccottata di milioni ai partiti,  e non ha fatto nulla: salvo tagliare le auto blu a grana scoppiata… Dopo di che,   un bel passo indietro con le dimissioni all’ora del telegiornale,   contando però  di   farne due  avanti nella sua futura la carriera politica. Mai dimenticare che l'ex amministrativa della Cisnal missina ha compiuto cinquant'anni  il maggio scorso: politicamente è  ancora giovane...  
Ci spieghiamo meglio. Con le sue dimissioni Renata-Patata affonda il Pdl laziale ( che, a dirla tutta, strameritava il siluro...),  e fa un grosso favore ai suoi avversari.   Ma affonda anche se stessa?   Gli elettori  del Lazio  come la prenderanno?  Boh...   Comunque sia  - ecco il punto -   la Polverini se ne frega, e alla grande, dell’ elettorato di centrodestra, perché si appresta a passare al centrosinistra, via Casini. Per l’incasso politico. Cappuccetto rosso  aspira a uno scranno da deputato  e  spera, soprattutto,  in qualche prestigioso incarico istituzionale.  Cosìcché  la politicamente furbetta della Pisana si ritroverà insieme a Rutelli, Casini e Fini. E chissà,  pure  in compagnia del suo predecessore,  Vladimir, pardon Piero,  Marrazzo. Insomma, il   nuovo che avanza...



Carlo Gambescia

martedì 25 settembre 2012



Cara donna Mestizia,
per ragioni professionali (sono avvocato divorzista) sto seguendo con preoccupato interesse il dibattito sui diritti civili degli omosessuali: matrimonio, adozioni (di bambini già sussistenti o fabbricati on demand), etc. Oggi come oggi, la giurisprudenza è univoca: in caso di separazione o divorzio, la donna si prende casa, figli e soldi, l’uomo se la prende in quel posto. Ma con il matrimonio omosessuale, come andrà? Quale coniuge vince, quale coniuge perde?
Principessa del pisello

Cara Principessa del pisello,
non ha motivo di preoccuparsi. I diritti civili degli omosessuali sono una conquista democratica, e come sempre in democrazia, vincerà chi ha più soldi.

***

Cara donna Mestizia,
di fronte allo spettacolo offerto dal ceto politico attualmente al governo della Regione Lazio, e in particolare dal consigliere Fiorito, alias “Batman”, che ha scialacquato milioni del pubblico denaro in aperitivi, pastarelle allo zabajone e spaghettini N° 5 “cacio e pepe”, sto seriamente meditando di emigrare in Patagonia con tutta la famiglia, dopo aver bruciato su apposita pira funebre il tricolore con motto “Dio e popolo” che garrì su Castel Sant’Angelo al tempo dell’eroica difesa della Repubblica romana di Mazzini, Armellini e Saffi, e che sino ad oggi custodivo gelosamente fra i cimeli di famiglia.
Exitalia
Caro Exitalia,
persino Giuseppe Mazzini, Apostolo dell’indipendenza italiana, ha avuto i suoi momenti di sconforto. Suvvia, non disperi, e non lasci la nostra bella Italia per un paese dal clima tanto inospitale, e dove mi dicono si mangi malissimo! Perché invece non apre un baretto, una pasticceria o una trattoria nelle vicinanze della sede della Regione Lazio?

***

Cara donna Mestizia,
ingiustamente accusato di gravi delitti, la giovinezza bruciata in un carcere di massima sicurezza, evado rocambolescamente per consumare la mia vendetta contro i falsi amici che hanno distrutto la mia esistenza e i miei affetti più sacri. Impadronitomi di un favoloso tesoro, ricompaio in società sotto le mentite spoglie del misterioso Conte di M., e avvicino i traditori per guadagnare la loro fiducia e render loro pan per focaccia. Essi però mi riconoscono immediatamente e mi accolgono a pacche sulle spalle, con gioviali proposte di fare una bella rimpatriata. Uno di loro – il più malvagio, quello che mi ha fatto più male - m’ha apostrofato così: “ ‘A Edmondo, sai che te trovo bbene? Dimagrito, abbronzato, pure pieno de sordi me pari, anvedi che macchina che ciai… e chi t’ammazza a te?” (Testuale). Sono perplesso.
Conte di M.

Caro Conte di M.,
dice un grande poeta che la maturità è tutto (coi soldi e la salute, mi permetto di aggiungere io). Lei la salute ce l’ha, i soldi pure: ha fatto trenta, faccia trentuno e non si neghi la maturità. I suoi amici – falsi, veri, così così: chi siamo noi per giudicare? - hanno messo una pietra sopra agli errori di gioventù. Faccia altrettanto, e se non ha potuto godersi la giovinezza, invece di rovinarsi anche l’età matura, se la goda.

***

Cara donna Mestizia,
nasce l'uomo a fatica, ed è rischio di morte il nascimento. Prova pena e tormento per prima cosa; e in sul principio stesso la madre e il genitore il prende a consolar dell'esser nato. Poi che crescendo viene, l'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre con atti e con parole studiasi fargli core, e consolarlo dell'umano stato: altro ufficio più grato non si fa da parenti alla lor prole. Ma perché dare al sole, perché reggere in vita chi poi di quella consolar convenga? Se la vita è sventura, perché da noi si dura?
Metafisico 2012

Caro Metafisico 2012,
bella domanda, la Sua, a cui purtroppo non posso rispondere: non vorrà che mi esponga a 7.068.091.622 (popolazione mondiale attuale. Fonte: http://www.worldometers.info/it/ ) cause legali per violazione della privacy (con relative richieste di risarcimento danni esistenziali)?



Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

venerdì 21 settembre 2012

Lo scandalo alla Regione Lazio




Lo scandalo che sta devastando l’immagine,  già peraltro compromessa della Regione Lazio, ha messo in luce le cifre da capogiro percepite dai politici  e   l' uso distorto del denaro pubblico, sul quale sta indagando la magistratura.
Che fare? Per alcuni la soluzione possibile -  al di là perciò delle sciocchezze sulla  democrazia diretta per sessanta milioni di italiani - resta quella di eliminare  a qualsiasi livello istituzionale, il finanziamento pubblico dei partiti.
L’idea non è sbagliata. Come hanno mostrato fior di studi,  peculato e corruzione allignano in quella zona grigia, come nel caso dei partiti, dove interesse  pubblico e privato si intersecano. Del resto,  come  rilevano gli abrogazionisti,  la natura umana è quel che è… Inutile perciò pensare -  si legge -   che l’ educazione possa mutare quelle caratteristiche che secondo Hobbes, rendono da sempre l’uomo pericoloso.  Tradotto, un po'  alla buona:  se l’occasione fa l’ uomo ladro perché non ridurre drasticamente il “numero” delle  occasioni?  E quindi perché non privatizzare i partiti?
Tuttavia, esistono almeno due  controindicazioni.
La prima è che un taglio di  tali  proporzioni  difficilmente può essere accettato dai partiti, istituzioni, che come tutte le istituzioni, lottano per la propria autoconservazione.  Di qui, la necessità (ma anche il pericolo) , di dover introdurre il megataglio per vie extralegali, o meglio extracostituzionali… C'è chi, addirittura, ha proposto, una dittatura a termine di tipo romano repubblicano.
La seconda è che  il megataglio  rischia di far diventare la  politica  appannaggio di coloro che hanno i  mezzi economici per praticarla, o comunque per influire su di essa. Certo, si possono sempre istituire dei controlli.  Ma chi controllerà i controllori? E chi controllerà i controllori dei controllori? E così via?
Come si può notare,  la questione non è facilmente risolvibile. E comunque, qualunque scelta si faccia, esistono sempre  controindicazioni. Diciamo che si dovrebbe optare per il male minore. Ma qual è in questo caso il male minore?

 Carlo Gambescia 

giovedì 20 settembre 2012

Il libro della settimana: Reinhold Niebuhr, L’ironia della storia americana, a cura di Alessandro Aresu,  testo inglese a fronte, Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano 2012, pp. 466, Euro 25,00.   


http://bompiani.rcslibri.corriere.it/

Reinhold Niebuhr, scomparso nel 1971,  è un teologo che continua a parlare al mondo. Su questo blog ce ne siamo già occupati  (http://carlogambesciametapolitics.blogspot.it/2006/10/riletture-reinhold-niebuhr-1892-1971.html ),  evidenziando il suo interessante realismo sociologico e  politico. Siamo infatti dinanzi a uno studioso di teologia   dai   piedi ben piantati in terra. Niebuhr non ha mai evocato l'impossibile, sotto forma di    utopie religiose e sociali  in scatola  da aprire e consumare  su questa terra. Ma neppure si è schierato con la conservazione sociale,  spezzando lo stesso  pane raffermo dei  profeti (al contrario) dello status quo.  Ma il mondo lo ascolta ancora?  Così così… Diciamo che nel dibattito politico americano il suo nome  ricorre ciclicamente, a destra come a sinistra. Da ultimo,  il presidente Obama  ha dichiarato di apprezzare il suo realismo privo di cinismo.  In Europa invece lo si studia e basta. E  in particolare  nelle università confessionali.  In Italia, tra gli altri (non molti),  si è occupato di Niebuhr, Gianni Dessì, attento studioso di filosofia politica soffermatosi  sulle radici  agostiniane del suo pensiero. 
Per Niebuhr, novello e inquieto Agostino,  esiste il male nel mondo. E  l’uomo spesso ( e volentieri) lo abbraccia.  Che fare allora?  E qui viene fuori l’originalità della risposta di Niebuhr, il quale non prende la facile scorciatoia del realismo cinico, ma si inerpica sull'aspra risalita del  realismo ironico. Ci spieghiamo subito.
Il realismo cinico si nasconde dietro quella che Albert  Hirschman ha chiamato la tesi della perversità della azioni umane: le azioni degli uomini a causa dell' imperfetta preveggenza umana,  produrrebbero, come da sempre ripetono  i realisti disincantati, effetti  indesiderati e  negativi; di qui,  la difesa a spada tratta dell'esistente. 
Per contro,  il realismo ironico prende atto degli effetti inaspettati, ma non per questo predica l’inazione: se esiste l’ironia della sorte, esiste anche l’ironia maieutica - ecco il "sale" del  realismo - che combatte la presunzione e impedisce di fare altri errori, pur non credendo nella possibilità di un  paradiso in terra, per riassumere il titolo di un denso libro di Christopher Lasch. Dove, detto per inciso, lo storico americano   collega arditamente il realismo politico  di  Niebuhr alla necessità  di  temperare,  o « to mitigate»,  il ruolo del risentimento nei conflitti, da sempre  fonte  di« cruelties ». Insomma,  il realismo niebuhriano  come  esito,  non sempre scontato,  di una  «spiritual discipline against resentment»  (cfr. C. Lasch, The True and  Only Heaven. Progress and Its Critics,  Norton 1991, pp. 369-378). 
Un’ottima occasione per approfondire il realismo ironico di Niebuhr è rappresentata  dall’uscita, per i tipi di Bompiani, nella splendida collana "Il Pensiero Occidentale", diretta da Giovanni Reale, de L’ironia della storia americana , opera  che può anche essere considerata come  una  buona  introduzione  al realismo  tout court.   Il testo, uscito nel 1952 in piena Guerra Fredda,   mette a  fuoco  una serie di  effetti indesiderati. Semplificando (e sintetizzando) al massimo,  ecco la catena "ironica" individuata da Niebuhr: da un lato c'è una  nazione, gli Stati Uniti,  fin dall’inizio proclamatasi libera, ma costretta dall'altro  a ricorrere alla minaccia di una guerra,  quanto di più coercitivo possa esistere (prima ironia), guerra per giunta nucleare, senza ritorno quindi (seconda ironia), contro un'altra  nazione l’Unione Sovietica, che in nome degli stessi ideali di libertà ( terza ironia), vuole edificare  un mondo ancora più libero e felice di quello americano (quarta ironia).
È perciò facile immaginare le polemiche  che il libro provocò.  Del resto,  L’ironia della storia americana , ruotava  intorno al problema, allora epocale,  del conflitto Stati Uniti-Unione Sovietica,  nazioni, viste da Niebuhr  quasi come  due facce della stessa medaglia... Un "quasi",  sul quale aprirono il fuoco i  critici di Niebuhr.  I risvolti interni della polemica, sia in   chiave di politica americana ( le reazioni della scuola realista di politica internazionale),  sia di cultura politica autoctona ( le discussioni  evergreen  sulla perdita dell’innocenza; sull' impero americano votato al bene, eccetera),  sono dottamente affrontati da Alessandro Aresu nella  ricca Introduzione. Il quale è  autore anche di un eccellente Indice concettuale delle parole chiave.  
A noi invece interessa in particolare l’ultimo capitolo,  l’Ottavo,    (pur ovviamente  consigliando la lettura dell’intero libro, che andrebbe però affrontata tenendo sulla scrivania The Cycles of American History   di Arthur M. Schlesinger Jr., buon amico di Niebuhr). Perché?  Nell'Ottavo Capitolo  Niebuhr spiega il «significato dell’ironia». Insomma, mai dimenticare che il Nostro  è un teologo cristiano che - ripetiamo -  vuole  parlare al mondo e non solo alla società americana. E  in che modo?  Cercando di conciliare analiticamente,  attraverso l’ironia (delle e sulle vicende storiche Usa), realismo politico e cristianesimo, come dire, particolare e  universale...  Ma lasciamo a lui la parola : «L’effetto ironico del potere e della sicurezza che diventano debolezza e insicurezza per il tentativo di oltrepassare i propri limiti è uguagliato dall’ironia della virtù che si muta nel vizio. Il fariseo viene condannato e il pubblicano viene preferito perché il primo “ringrazia Dio” di non essere “come gli altri uomini” e cerca con convinzione ma inutilmente di nascondere le fragilità umane dietro la maschera del conformismo. Israele è senza dubbio una nazione “buona” se paragonata alle grandi nazioni che la circondano. Ma le sue pretese di virtù sono tanto offensive per Dio quanto le pretese di potenza. Si ha la sensazione spiacevole che l’America, in quanto nazione potente e “virtuosa” sia vittima  di pericoli ironici che mettono insieme le esperienze di Babilonia e Israele » (p. 425).  Che respiro!  C’è veramente di che meditare.  In fondo,  il succo ermeneutico  del discorso di Niebuhr è tutto qui: «Il primato dell’ironia sta nel fatto che anche le più ovvie forme di successo  sono da ultimo portate a fallire» (Ivi). Grande verità. Che finisce sempre per  vendicarsi,  storicamente,  della sciocca vanità degli uomini. 
Di conseguenza, promuovendo l’umiltà ironica  a valore euristico-politico, il realista Niebuhr ci  insegna   che   non vanno mai  sottovalutati neppure gli effetti positivi delle azioni sociali… Ogni azione implica una reazione… Il che non significa che essa  implichi sempre un effetto negativo.  Quindi il destino dell'uomo resta aperto.  Ciò, alla fin fine,  può sembrare banale.  Come può apparire  scontata, almeno agli occhi dei profeti  della grandiosa etica dei princípi,  ogni  umile  etica  della responsabilità:  etica… da pubblicani, che però Salva.  
E questa è la grande lezione di Niebuhr. Da non dimenticare, soprattutto  in un mondo politico  tuttora popolato di farisei.


Carlo Gambescia 

mercoledì 19 settembre 2012

Italia in retroguardia...



Consigliamo un' attenta lettura del Rapporto sul mercato del lavoro 2011-2012, curato da Carlo Dell’Aringa, presentato lunedì al Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro presieduto da Antonio Marzano. Il documento, corredato di inoppugnabili  grafici e  tabelle,  è scaricabile qui: http://www.cnel.it/53?shadow_documenti=22786  .  Il consiglio, in particolare, è rivolto a coloro che sono "affamati" di analisi concrete. Il Rapporto, insomma, costituisce l'esatto contrario di quello che gira sulla Rete  
I media ieri ne  hanno pubblicato ampi resoconti, ponendo  giustamente l’accento sul rilevantissimo calo di produttività  nel settore manifatturiero dagli anni Settanta ad oggi (tecnicamente,  dell'output per   ora lavorata).  In realtà,  un passo del Rapporto è  stato trascurato. Ragion per cui  lo  riportiamo integralmente: «È palese che ancora per diverso tempo i paesi della periferia tenderanno a perdere terreno, dato che la crisi limita le opportunità per nuovi investimenti, un passaggio necessario per qualsiasi recupero di efficienza. La caduta degli investimenti caratterizza non solo il settore privato, ma anche il pubblico, visto che le esigenze di bilancio si traducono in minori risorse da destinare al rafforzamento della dotazione infrastrutturale. Si ricade quindi pienamente in una situazione che giustifica un allargamento del gap di produttività fra i paesi della periferia europea e le economie dell'area tedesca».
Naturalmente, tra i paesi della periferia, ci siamo anche noi. Il che significa che la crisi, oltre ad approfondire  il  solco produttivo tra paesi periferici e no, in Italia durerà più a lungo che altrove, perché legata, stante l’impossibilità interna per le «esigenze di bilancio» di accrescere gli investimenti infrastrutturali, alla ripresa esterna delle economie non periferiche.
Concludendo, ormai siamo economicamente in retroguardia: le carte non siamo noi a darle. La partita si gioca altrove.    

Carlo Gambescia
Passera e Marchionne
La posta in gioco


Passera  ha battuto il classico colpo. Ora sappiamo che c'è.  E cosa ha  detto? Che la Fiat deve rendere conto al Governo? E Marchionne ha risposto http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/daassociare/2012/09/18/Marchionne-mercato-Italia-picco-mai-detto-voler-andare-via_7490780.html  ). Ma non  per le rime... Perché avrebbe dovuto chiedere  al Ministro per lo Sviluppo Economico di tirare fuori il piano di politica industriale…  La famigerata isola che  non c'è... 
In realtà, la mission che si nasconde dietro il tira e molla di Marchionne è stanare  governo e parti sociali  su una questione di vita o di morte per la  Fiat:  scoprire se la multinazionale  potrà contare  non tanto su aiuti  diretti  quanto su aiuti indiretti.   Infatti,  Marchionne  nella sua replica  fa riferimento  al  difficile (per l'investitore)  contesto  italiano. E qui per capire occorre fare un passo indietro.   
Negli Stati Uniti, come ha notato  Mucchetti sul Corriere, la Chrysler si è risollevata «con i soldi del governo Usa che, oltre ai prestiti, si è accollato circa 2 miliardi di dollari di perdite nella liquidazione della vecchia Chrysler» (http://www.corriere.it/economia/12_settembre_16/futuro-sostenibile-auto-fiat_6cb4b4a2-ffc7-11e1-8b0a-fcb4af5c52c7.shtml   ). Quindi aiuti diretti o quasi...  Il che è vero, ma è solo una parte della storia. Dal momento che Marchionne è un buon manager, i sindacati americani sono più pragmatici   e, cosa importantissima, negli Stati Uniti la magistratura non si sostituisce al sindacato né decide quel che un’impresa debba produrre o meno. Con questo non vogliamo dire che Marchionne sia un santo, che i sindacati  debbano essere aconflittuali, e la magistratura prona ai potenti.  Diciamo solo che un sindacato e una magistratura   poco sincronici   forniscono un alibi alle imprese multinazionali (come la Fiat) a non   investire in Italia.        
Pertanto, al di là del tira e molla di Marchionne,  governo e  parti sociali dovrebbero discutere non tanto di massimi sistemi,  bensì del  contesto:  di come ricostruire, ovviamente per gradi ma con  fermezza,   un quadro di certezze politiche, giuridiche e giudiziali in cui le imprese (tutte le imprese) possano operare. Un "contesto"    di tipo americano? Di tipo tedesco? Non ci pronunciamo. L'importante  è che non sia di tipo italiano.
Ecco la vera posta in gioco. Tutto il resto è fumo.


 Carlo Gambescia 

lunedì 17 settembre 2012




Cara donna Mestizia,
di recente, per finalizzare una trattativa d’affari (ho intenzione di associarmi a un’impresa operante nel settore del riciclaggio rifiuti) come di prassi ho incaricato un collaboratore di telefonare alla controparte, rendendole noto che conosco a perfezione gli itinerari quotidiani dei membri della sua famiglia: misura che di solito prelude a una rapida conclusione del negoziato. Bene: la controparte ha risposto, testualmente (e mi scuso della volgarità): “Se mi togliete dai piedi quelle sanguisughe mi fate un piacere.” Dove andremo a finire?
Non c’è più religione

Caro Non c’è più religione,
a volte i mutamenti del costume ci lasciano spiazzati, ma tutto sta a sapersi aggrappare saldamente, nella tumultuosa metamorfosi dei tempi, ai pochi punti fermi che, se lo lasci dire, non mutano mai. Immagino che il Suo collaboratore avrà registrato la conversazione telefonica con la controparte. La faccia ascoltare alle “sanguisughe”, e vedrà che come ieri, anche oggi il sangue non è acqua.

***

Cara donna Mestizia,
qualche notte fa m’è apparso in sogno mio padre. Indossava la divisa da brigadiere dei carabinieri che tanto mi impressionava da bambino, e seduto al tavolo di legno bianco della nostra antica cucina mangiava una zuppetta di pane e latte, con sgradevoli rumori di risucchio. Io, adulto, gli sedevo di fronte. Indossavo il maglione blu che oggi è diventato un po’ il mio brand personale, però sui calzoni corti che portavo da bambino. Ero divorato dalla fame, ma la mia tazza era vuota. Allungo la mano per prendere il pane e il latte, ma papà estrae fulmineo la pistola d’ordinanza, me la punta contro e fissandomi negli occhi mi dice: “No, tu no! Tu sei un traditore della Patria!” Poi si porta la pistola alla tempia, si spara e rovesciando la sedia si accascia a terra. Senza turbarmi, io allungo il braccio, prendo la sua tazza, e mi metto a mangiare ingordamente la sua zuppa. Era buonissima, mai mangiato niente di più saporito. Però, da quando ho fatto questo sogno, ho sempre i bruciori di stomaco. Lei che ne dice? Suo
Marcone

Caro Marcone,
che cosa Le dice il Suo sogno, con encomiabile chiarezza? Che non c’è zuppa per tutti. Veda un po’ Lei se preferisce mangiare e avere i bruciori di stomaco, o restare digiuno.

***

Cara donna Mestizia,
stanotte, mentre facevo rifornimento a un distributore automatico sull’Autostrada dei Fiori e brontolavo tra me per il vertiginoso rincaro del carburante, il cielo stellato si è aperto, m’è comparso uno sterminato esercito di angeli armati di spade fiammeggianti, e una Voce mi ha apostrofato così: “Péntiti! Il Giudizio è vicino!” Ammetto che ci sono rimasto un po’ corto. Secondo Lei, c’ è da preoccuparsi?
Lupo Ezechiele


Caro Lupo Ezechiele,
non si preoccupi. Il mio consulente tecnico mi informa che si tratta di un sistema d’allarme, certo ingegnoso e a suo tempo leader sul mercato, ma ormai obsoleto, del quale restano ancora in uso gli ultimi esemplari. La ditta produttrice, fallita da tempo, non esegue più la manutenzione periodica, e il dispositivo è soggetto a frequenti malfunzionamenti.

***

Cara e onorevole donna Mestizia,
obbedendo al comando di Sua Maestà l’Imperatore, resisto ormai da 68 anni in questa soleggiata isoletta del Pacifico. La dieta sana, l’esercizio fisico, la meditazione zen mi hanno conferito ottima salute e longevità. Confesso però che sono un po’ curioso di sapere come vanno le cose nel più vasto mondo. Può gentilmente aggiornarmi?
Bushido 2012

Caro Bushido 2012,
sarebbe interessato a ricoprire una mansione di responsabilità in un resort turistico? Mi invii a stretto giro di marea le coordinate della Sua isoletta e un Suo CV dettagliato, specificando le Sue eventuali competenze in questi campi: cucina e giardinaggio giapponese, arti marziali, danze etniche, sessualità tantrica, ikebana, cerimonia del tè, origami, suicidio assistito.



Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

venerdì 14 settembre 2012

Renzi come Blair?



Chi è Matteo Renzi? Un  situazionista che vuole far carriera? O peggio, come talvolta si legge,  una quinta colonna berlusconiana a sinistra? Oppure, come scrivono i suoi ammiratori, un politico intelligente? Addirittura un piccolo Blair italiano?

Renzi è politicamente  molto preparato,  ambizioso qb (quanto basta), come chiunque scelga i riflettori della politica  e, cosa più importante, ha ben intuito, oltre a quella della sinistra,  la crisi politica e sociale   in cui versa la destra italiana.  E qui si pensi  a un   Pdl  che si è rivelato  non solo  incapace   di parlare da destra, ma di   praticare, un volta al governo, politiche di destra: sburocratizzazioni, delegificazioni, privatizzazioni, liberalizzazioni  e,  in primis, come si impose la Thatcher, di ridurre drasticamente il potere dei sindacati.
Renzi ha capito tutto questo, e da un pezzo. Quindi, perché meravigliarsi del suo appello agli elettori del Cavaliere?  A quei poveri sfigati (se ci si passa l’espressione), che votano un partito mezzo socialista, mezzo democristiano; mezzo missino, ma che di  thatcheriano, soprattutto sul piano della politica economica, non ha mai avuto nulla, se non le chiacchiere di Berlusconi.
Certo,  questo non è un programma di sinistra.  Diciamo che Renzi, strizzando  l’occhio all’elettore di destra, ogni volta che accelera su privatizzazioni, liberalizzazioni eccetera,  punta a  perseguire il progetto di una sinistra socialmente  maggioritaria, capace di aggregare  anche il voto moderato di destra:  quel che è riuscito a Blair in Gran Bretagna.  E qual è lo  scopo di Renzi?   Isolare l’estrema sinistra, saltare il centro e, al tempo stesso, combattere, recependone alcune istanze, la cosiddetta antipolitica. L’esatto contrario di ciò che si propone Bersani. Il quale aspira a   mettere insieme, solo politicamente , sinistra e centro,  secondo il classico modello del Compromesso storico, per isolare la destra e i suoi elettori ( cui somma i "fascisti" antipolitici di Grillo). In questo modo però, Bersani persegue, come  per imprinting,  la  tradizionale linea del partito comunista. Per farla breve:  Renzi si ispira a  Blair, Bersani a Berlinguer.
Concludendo, Renzi è un piccolo Blair, che però - cosa fondamentale -  non può contare su un  sistema elettorale come quello britannico. Perciò, ammesso e non concesso che possa vincere, difficilmente potrà  governare.

Carlo Gambescia 

giovedì 13 settembre 2012

Il libro della settimana: Marco Iacona, Il liberalismo, pref. di Alain de Benoist, Solfanelli  2012 pp. 96, Euro 8,00. 
Partiamo dall’attualità più stringente. È liberale, rispondere all' uccisione di un diplomatico inviando la flotta? Naturalmente, parliamo della reazione  del Presidente Obama all’assassinio dell'ambasciatore americano in Libia, da parte, sembra, di un gruppo terroristico ultraislamico,  tristemente noto.
Un liberale, nel caso di Obama un liberal (ma la famiglia politico-vegetale è la stessa, diciamo ramo di sinistra), deve contare o tagliare le teste? Diciamo che il liberalismo, come tutte le altre forme di pensiero politico, essendo al tempo stesso dottrina, teoria e pratica, le teste qualche volta deve  tagliarle.  Se vuole sopravvivere, ovviamente… Soprattutto in un mondo dove, finché ci saranno anche due soli uomini vivi, la politica  non potrà non essere regolata, in ultima istanza, da puri e semplici rapporti di forza e  potenza. 
Di riflesso, il liberalismo può essere studiato come dottrina, evidenziandone le contraddizioni con il verbo liberale; come teoria, analizzandone, le capacità interpretative della realtà alla stregua di una qualsiasi teoria sociologica; come pratica politica o di governo. Dal punto di vista ideale, la migliore analisi - ma anche la più complicata - del fenomeno liberale, resta quella capace di intersecare i tre livelli (dottrinario, teorico e pratico).
Ma non vogliamo farla troppo lunga. Il libro di Marco Iacona, Il liberalismo (Solfanelli), si incentra sul primo dei tre livelli analitici:  quello dottrinario.  Nel senso che indaga, tra l’altro in modo sottile (Iacona è dottore di ricerca in pensiero politico), le contraddizioni tra la dottrina liberale e la realtà. Incoerenze, sulle quali martella inesorabilmente Alain de Benoist nella vivace prefazione.
Iacona, però, è più possibilista, perché cerca di rispondere, senza dare per scontata la risposta, a una domanda precisa: dove ha “tradito” la dottrina liberale? O ancora meglio: che cosa le  manca per mandare  a effetto i suoi assiomi dottrinari? E in primis  quello della  massima libertà individuale?  Libertà, detto per inciso, che affascina molto il libertario Iacona.
E quali sono le sue conclusioni? «Il liberalismo», osserva, costituisce l’unica vera rivoluzione dei tempi moderni, è un punto di non-ritorno, una meta conquistata tappa dopo tappa: l’orizzonte di una liberazione del genere umano. Ma una rivoluzione incompleta anzi imperfetta» (corsivo nel testo). Il che non rappresenta una chiusura. Anzi… E allora? Tuttavia, sottolinea Iacona, «l’acquisizione del concetto nuovo di libertà presuppone l’abbandono lento ma categorico di qualsiasi vincolo comunitario e/o trascendente. Ma all’individuo soggetto pensante e libero attore, l’individuo in nome e per conto di quale liberalismo si è battuto, non ha vinto alcuna scommessa e ha conquistato ben pochi traguardi. Quale reazione attendersi, allora, dal pensiero liberale posto innanzi al temerario, o inaspettato e per molti aspetti assurdo, colpo di coda, di un imprevedibile nemico? Quale sarà -  conclude Iacona - la sorte di Golia nel XXI secolo?».
Quella, se vuole sopravvivere, come ogni altra forma di pratica politica, di inviare innanzitutto  la flotta…  Primum vivere, deinde philosophari .

 Carlo Gambescia

mercoledì 12 settembre 2012

Le politiche del 2013 e l'Europa 


In primavera si voterà. E, infatti, già sono iniziate le grandi manovre: Renzi contro Bersani, Vendola contro Casini,  Casini contro se stesso, Alfano contro La Russa, Maroni contro Bossi, Di Pietro e Grillo contro tutti. Il quadro politico è disastroso. A questo punto il problema sembra essere non tanto quello di chi vincerà quanto se il vincitore riuscirà a governare…
In Europa, a parte la Grecia (altro esempio di patologica autodistruttività), solo l’Italia si è affidata, per quanto ne sappiamo, a un governo tecnico, o presunto tale, altrove ci si è fisiologicamente divisi, si è votato, e la parte che ha vinto (come in Spagna e  Francia) sta governando. Negli Stati Uniti, altro esempio, a novembre si sceglierà il nuovo Presidente,  e sulla base di due schieramenti precisi, puntando su proposte politiche totalmente differenti, e  su tutti i temi,  dal fisco all’aborto. Solo qui in Italia tutti i partiti sembrano parlare la stessa confusa lingua del qualunquismo politico.
Certo, in Europa, c’è un problema in più: quello dettato dalla necessità di proposte politiche compatibili con la permanenza dell’Italia nella Ue.  Dal momento che,  in un mondo di blocchi geopolitici, l'unica  realistica base di ragionamento ( piaccia o meno la Signora Merkel), per tutti i partiti italiani ed europei, non può non essere quella dell’unità come imprescindibile quadro di fondo. Qualcuno si è chiesto  perché, per fare una politica economica europea (certo, lacrime e sangue, ma senza uso di armi  atomiche...),   sia stato chiamato al potere un tecnico? Presto  detto:  per la manifesta incapacità dei partiti politici italiani di comprendere l’ importanza di fare parte di un comune blocco europeo. Certo,  per ora geo-economico, ma destinato in futuro, per forza di cose, a trasformarsi in geo-politico.
Perciò, delle due l’una:  o i partiti italiani (tutti)  prendono atto, e non solo a parole, della necessità di un’opzione europea (come strada senza ritorno), « modulando »  idee e  programmi , pur necessariamente come accennato differenti,  sulla comune volontà di restare in Europa, oppure dopo le elezioni,  a fare il lavoro «sporco»,  sarà  nuovamente chiamato  il professor Monti.

 Carlo Gambescia 

martedì 11 settembre 2012

Due parole sull’ Alcoa




Sull’ Alcoa  politici e opinionisti sono divisi, grosso modo, in due fronti: da una parte la sponda liberista che insiste su una triste verità, che un’impresa in perdita deve chiudere; dall’altra il versante socialriformista, che persiste nel sostenere l’esatto contrario: che un’impresa può chiudere ma non licenziare. Tutti però, indistintamente, soprattutto quando le telecamere sono accese, dichiarano che per gli operai dell’ Alcoa si deve trovare una soluzione. Senza però mai indicare, concretamente, quale.
E il Governo? Prima ha detto  no al salvataggio, dopo ni, ora (sembra) sì. È quindi comprensibile che i dipendenti dell’Alcoa, costretti a vivere nell’incertezza, siano sull’orlo di una crisi di nervi e “pronti a tutto”. Anche perché, gli stessi sindacati nazionali sembrano, e da un pezzo, andati nel pallone.
In realtà, almeno in linea di principio, hanno ragione tutti: in una società di mercato il profitto è sacro, ma anche il lavoro non può essere considerato meno importante. Scegliere il mercato significa puntare su una società, come quella americana, dove si pagano poche tasse, ma si cambia lavoro in continuazione; privilegiare il lavoro implica una società dove si pagano più tasse, come quella tedesca, ma dove il lavoro è stabile e sicuro.
E in Italia? Paghiamo più tasse  di americani e tedeschi,  ma continuiamo a perdere  posti di lavoro.

 Carlo Gambescia 

lunedì 10 settembre 2012





Cara Donna Mestizia 
mi sveglio nel cuore della notte con le pulsazioni a duecento, la memoria mi tradisce, il cibo mi disgusta, bevo troppo, ho ricominciato a fumare come una ciminiera, sotto le lenzuola è un fiasco dopo l’altro, apro un libro e dopo dieci pagine lo butto. Sarà la crisi?
Momento difficile


Caro Momento difficile,
stia tranquillo: Renzi è un bravo ragazzo, che come tanti altri giovani italiani cerca un lavoro all’altezza delle sue aspettative. Provi a dargli un posto in Segreteria, e vedrà che tutto si risolve.

***
Cara Donna Mestizia,
il povero papà mi diceva sempre che i nostri interessi di destra li difendeva meglio la sinistra, e in effetti ho constatato che aveva ragione. Peccato che dai e dai, di questa sua trovata cominciano ad accorgersene anche gli italiani, perfino quelli di sinistra. Che fare?
Ragazzo invecchiato che non doveva pensare

Caro Ragazzo invecchiato che non doveva pensare,
temo Lei si trovi a un bivio esistenziale: o diventa adulto, o si cerca un altro papà. Diventare adulto significa pagare di persona, dunque cercarsi un altro papà è assai più conveniente. Per chi sia ben provvisto di mezzi - come Lei grazie all’avvedutezza di Suo padre - sono disponibili gli ultimi modelli di papà con hardware progettato dai più avanzati Reparti Ricerca & Sviluppo tedeschi e americani, e software customizzato per l’Italia. Riscuotono già un vasto successo, nonostante alcune piccole imperfezioni quali la robotica monotonia del timbro vocale e la povertà lessicale del dizionario standard, che tende a reiterare ossessivamente i termini “Europa” e “rigore”. Comunque, sempre meglio che parlare (e pensare) da soli, non trova?
***

Cara donna Mestizia,
i miei genitori mi asfissiano con lo studio, il senso del dovere, il rispetto delle regole, ma ho scoperto che sono ignoranti come capre, rubano appena possono e fanno gli scambisti. Un ragazzo di sedici anni come la dovrebbe prendere, secondo Lei?
Sbigottito 2012


Caro Sbigottito 2012,
si fa presto ad accusare! E’ proprio sicuro che le cose stiano così? Ha indagato a fondo? Ha le prove di quel che sostiene? Anzitutto metta al vaglio i suoi sospetti, e documenti le trasgressioni dei Suoi genitori: oggi il mercato offre a prezzi interessanti vari dispositivi per l’intercettazione ambientale e telefonica. Qualora poi acquisisse la certezza che le cose davvero stanno come Lei dice, depositi in luogo sicuro copia del materiale probatorio raccolto, commetta a persona di fiducia una lettera da inviare alla magistratura in caso Le capitasse un incidente, e apra una franca discussione con i Suoi genitori. Vedrà che dopo un primo momento di sconcerto, tra Lei e i Suoi genitori si ristabilirà la comprensione reciproca, e la Sua famiglia si ritroverà più unita di prima.
***

Cara donna Mestizia,
mi sono accorto che i soldi non danno la felicità. E adesso?
Sbalordito 2012

Caro Sbalordito 2012,
ma è sicuro di averne abbastanza per esprimere un giudizio? Mi scriva in privato allegando un rendiconto patrimoniale veritiero, e poi ne riparliamo.
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Cara donna Mestizia,
mi sono accorta che l’amore non dà la felicità. E adesso?
Sbalordita 2012

Cara Sbalordita 2012,
alla buonora! Mi scriva in privato allegando un book fotografico senza veli autenticato da pubblico ufficiale o notaio, ed eventualmente La metterò in contatto con Sbalordito 2012.

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Cara donna Mestizia,
mi sono accorto che la verità non rende liberi. E adesso?
Porcaloca!

Caro Porcaloca!,
e adesso, mi chiede? Adesso che si è liberato da questa Sua mania della verità, potrà impiegare più proficuamente il Suo tempo.


Roberto Buffagni è un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo fondamentalista, musiche di Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli. Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...

venerdì 7 settembre 2012

La tachipirina di Mario Draghi



E così Mario Draghi ce l’ha fatta. L’Eurotower comprerà, senza fissare un limite, i titoli di stato dei paesi che richiedono l’assistenza finanziaria dell'Europa, mettendo di fatto in gioco le sue imponenti risorse finanziarie. Il che merita due parole, ovviamente da economisti dilettanti…
Non desideriamo entrare nel merito della misura, ma solo far notare che la decisione del Presidente della Bce, seppure condivisibile (perché qualcosa per abbassare la febbre-spread si doveva pur fare), ricorda tanto la famigerata politica - e in Italia ne sappiamo qualcosa - della svalutazione competitiva, ma, come dire, a metà...  Perché, se è vero, come si legge nei manuali, che  all’intervento delle autorità monetarie sui mercati per acquisire titoli e valuta, deve in parallelo affiancarsi la svalutazione pilotata o meno della moneta  per favorire le esportazioni e il rilancio dell’economia, è altrettanto vero che Draghi, anche per vincoli “statutari”, si  comporta come il classico uomo con il braccio legato dietro la schiena: con una mano può comprare, con l’altra non può svalutare. Se ci si passa la battuta: la tachipirina di Draghi, pur abbassando la febbre del malato, non serve a curare la malattia di cui soffre.
Naturalmente la svalutazione competitiva ha controindicazioni, anche serie, ad esempio fa salire  l’inflazione e penalizza gli importatori: non è insomma una panacea.
Ma non è questo il punto. Il vero problema è il braccio legato.

Carlo Gambescia 

giovedì 6 settembre 2012


 I libri della settimana: Gordiano Lupi, Storia del cinema horror italiano. Volume 3 – Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il cannibal movie, Edizioni Il Foglio 2012, pp. 234, Euro 15,00; Matteo Mancini, Spaghetti Western. Volume 1 – L’alba e il primo splendore del genere (anni ’63 - ’66), Edizioni Il Foglio 2012, pp. 416, Euro 18,00. 

www.ilfoglioletterario.it .


All’editore Gordiano Lupi piace il cinema.  E proprio quello che, ingiustamente,  viene chiamato di Serie B.  Basta sfogliare il catalogo delle piombinesi Edizioni Il Foglio, di cui è il patron,  per viaggiare con l’immaginazione tra Zombi all’amatriciana, robusti vampiri della Val Trompia,  tettone platinate con spiccato accento siculo, poliziotti di Testaccio nati a L'Avana.  

In realtà, Lupi è una specie di Zeman dell’editoria, anche se molto più giovane e colto. Pubblica libri che ti fanno divertire e gioca all' attacco  come il boemo.  E pubblica “a più non posso”, riabilitando registi, sceneggiatori, attori, attrici, altrimenti malgiudicati e dimenticati dalla storia del cinema di Serie A (?). Oltre ovviamente a editare tostissimi saggi di letteratura, cultura, politica e varia umanità, nonché ottimi romanzi, con straordinarie aperture verso una  cultura cubana che finalmente sembra avere messo le ali (della libertà), per volare  via da un Fidel Castro, che  ormai  rischia di  assomigliare al protagonista di un cannibal movie.
A questo proposito -  e non ci scusiamo con Castro... -   va segnalata l’ultima fatica del Lupi-Zeman editore e scrittore (ma, in passato, anche calciatore e arbitro): Storia del cinema horror italiano.  Joe D’Amato, Pupi Avati, Ruggero Deodato, Umberto Lenzi e il cannibal movie, (il terzo dei sei previsti), dove, aprendolo, ci siamo subito  buttati a corpo morto  su Pupi Avati. Di cui ricordavamo un avvicente film horror: Zeder (1981), con Gabriele Lavia, bravissimo protagonista. E, infatti, colpito e affondato. Ma lasciamo la parola a Lupi: «Avati crea un originale gotico italiano ambientato in epoca contemporanea e scava nella paura prodotta da antiche credenze popolari […], e gira una convincente versione personale del mito degli zombi […]. Il film è originale anche per l’ambientazione sulla riviera romagnola, in una colonia marina location insolita per un film horror». E giustamente si  sottolinea  la scena più macabra del film: «la sequenza della resurrezione del prete». Chi scrive, mai dimenticherà,  l'inquietante ghigno dipinto sul volto del morto vivente in clergyman, che con feroce agilità scivola via dal sepolcro, mentre una telecamera lo sta riprendendo… Ma quel che colpisce del capitolo-Pupi Avati è la particolarissima  rilettura  della sua opera: i film di successo, quelli del  cantore introspettivo del piccole cose, sono considerati quasi incidenti di percorso. Mentre  vengono valorizzati, e giustamente,  i film più in sintonia, citiamo alla rinfusa, con la vena ctonica  del regista bolognese: la sua opera prima Balsamus, l’uomo di Satana (1968),  La casa dalle finestre che ridono (1976), Tutti i defunti tranne i morti (1977), Zeder,di cui abbiamo detto, L’amico d’infanzia (1994), L’arcano incantatore (1996). Approccio, "a rovescio", che potrebbe essere la griglia per una rilettura, non conformista, dell’ intera opera cinematografica di Pupi Avati. Insomma, come dicono gli accademici di storia del cinema:  per una... monografia. Ovviamente, non passano neppure inosservati i corposi ritratti di Joe D’Amato, al secolo Aristide Massaccesi, un Ed Wood italiano, nonché del geniale Ruggero Deodato, passato, per dire, da Cannibal Olocaust (1980) a Incantesimo 8 (2008), fiction televisiva di successo. E in che modo?  Quasi miracoloso:  Deodato sembra  attraversare i diversi  generi  con lo stesso scioltissimo passo  con cui il Prof. Dott. Guido Tersilli-Alberto Sordi, primario di Villa Celeste, faceva il giro mattiniero dei malati.
Proviene sempre, per così dire, dalla scuderia Lupi, Matteo Mancini, laurea in legge e, altra laurea, anzi un vero e proprio dottorato in cinefilia (si dice così?) sul campo. Autore di Spaghetti Western. L’alba e il primo splendore del genere (anni 1963-1968), un ponderoso volume, il primo di una trilogia in argomento il cui obiettivo è « di avvicinare il pubblico giovane a un genere che al giorno d’oggi (insieme al peplum e al c.d. macaroni combat ) è il più sconosciuto e sottovalutato dalla cinematografia italiana». E ingiustamente, perché, come si legge, «dal 1964 al 1978 in Italia furono realizzati quasi seicento film western». E qual è il filo conduttore di un' impresa così nobile e difficile? Cosa resta   impresso  nella zucca del lettore?   Presto detto: oltre alla accuratissima ricostruzione (tra l’altro ottima la scelta di inserire l' Indice finale dei film trattati),  si intuisce che dietro  lo spaghetti western c’è la progressiva americanizzazione europea (e italiana) dei costumi culturali  e sociali. Ma, attenzione, come spiega Mancini, non in chiave di una banale imitazione di modellli, ma di  creativa  interazione, per dirla in sociologhese, tra cultura americana della frontiera e cultura italiana - siamo a metà degli  anni Sessanta - di una protesta sociale e politica via via sempre più consistente. Insomma,  lo spaghetti western, anche se può sembrare paradossale, permetteva di dire a registi e sceneggiatori, si pensi ai film rivoluzionari di ambientazione maccheronico-messicana, cose che non si potevano dire nei film di Serie A.   Cosicché  - e sarebbe un'ipotesi da esplorare -  con il forte consolidamento  del cinema politicamente impegnato  degli anni Settanta, post-1968 (dei Rosi, dei Maselli, e così via), che diceva le cose fuori dai denti, lo spaghetti western  diverrà inutile e perciò  costretto al  letargo. E qui si pensi, ad esempio a Lizzani, il quale, probabilmente, anche per «contropartita», come scrive Mancini, aveva girato negli anni Sessanta due western; uno dei quali però Requiescant (1966), addirittura con Pier Paolo Pasolini come guest star letteraria.  Lizzani  girò  quei  film  solo per motivi alimentari? Su questi temi si veda il bel film documentario di  Gianfranco Pannone, L'America a Roma, (1998), dove parlano  i protagonisti dell' epoca, a partire dagli  spericolati stuntman promossi attori sul campo . Solo per fare alcuni nomi:  Guglielmo Spoletini (William Bogart), Gino Marturano (Jin Martin), Remo Capitani (Ray O'Connors). Giovanni Cianfriglia (Ken Wood).
Insomma, sarebbe interessante indagare, nuovamente, nome per nome, la biografia politica e l’itinerario cinematografico di sceneggiatori, registi e anche  attori dello spaghetti western (Spoletini, ad esempio, era un acceso militante comunista), per scoprirne, in particolare,  il  destino politico:   un lavorare per frammenti esistenziali, mettendo insieme, Quentin Tarantino e Roland Barthes. Detto altrimenti, e giriamo al bravo Matteo Mancini una domanda, solo apparentemente  surreale: che lo Spaghetti Western  sia  culturalmente alle origini del cinema  impegnato degli Anni di Piombo? 
Carlo Gambescia