sabato 11 ottobre 2025

La questione palestinese e l’importanza del jukebox

 


La parola pace è una parola seria. Ciò che è stato raggiunto in Medio Oriente è una specie di tregua d’interessi. Qualcosa di limitato nel tempo, per permettere a Trump e Netanyahu di salvare la faccia. Non meno di Hamas e dell’Autorità palestinese. Inclusi i paesi arabi più conservatori, in senso politico (di conservazione dello status quo), che vedono nei palestinesi e in Israele pure e semplici mine vaganti. E aspirano a una qualche forma di pace.

In realtà, la questione palestinese è molto più di tutto questo. Dal punto di vista metapolitico rinvia ai processi di modernizzazione e al ruolo del tradizionalismo religioso nei processi politici.

La modernizzazione è una cosa seria. Come del resto lo spirito capitalistico e liberale.

Ora, qual è la situazione attuale, diciamo al momento della “pace”? Israele è nelle mani della destra nazionalista e arcitradizionalista. Gaza, e l’universo socio-politico palestinese, è prigioniero di Hamas, che vede il mondo islamico nel quadro della Umma, una comunità amministrata secondo la legge islamica.

La stessa Autorità palestinese, forse più laica, dal punto di vista del vecchio nazionalismo arabo sembra ben lontana da qualsiasi modello politico liberale di tipo pluripartitico.

Se ci si passa la metafora: sia Hamas che l’Autorità odiano il jukebox, un tempo in Occidente segno di costumi liberi e libertà — per ragazze e ragazzi — di divertirsi. Tipo: "Con te sulla spiaggia, con te sulla spiaggia, eeeeeeeh".

Attenzione: non la spiaggia-striscia vacanziera vaticinata da Trump e Netanyahu, dove il palestinese sarebbe ridotto a pura forza lavoro, non secolarizzato, ma quella vera, dove si può ballare senza bisogno di innalzare bandiere e bandierine.

Il cupo tradizionalismo politico israeliano resta minoritario, sebbene decisivo per gli equilibri governativi. Inoltre il nazionalismo di Netanyahu, proprio perché predominante, si sta sempre più allontanando dall’eredità liberale, con conseguenze inquietanti per il futuro del Paese.


Cosa vogliamo dire? Che i palestinesi — e non da oggi — andavano sedotti. Da cosa? Dalla modernità.

Quindi dall’ideologia del jukebox, che rinvia a una società borghese, di larghi ceti medi, con figli al seguito (non troppi) che vogliono divertirsi. E che non pensano a spararsi a vicenda in difesa dei “sacri confini” della “patria”.

Il che, ovviamente, implica il preventivo sviluppo capitalistico, l’inurbamento, la vittoria dell’individuo sulla comunità, contratto vs status, eccetera, eccetera.

E qui Israele — l’Israele un tempo laburista, che a dire il vero, pur senza volerlo esplicitamente, ha secolarizzato non pochi arabi diventati cittadini dello Stato — avrebbe potuto fare di più. Si immagini una società realmente multiculturale, con i suoi conflitti all’inizio, però poi piano piano…

Insomma, senza secolarizzazione del palestinese e recupero della modernità politica israeliana non vi sarà mai vera pace. Tutte le chiacchiere sui due popoli, due stati, che in Occidente piacciono a destra come a sinistra, sono quel che sono: inutili. O peggio ancora un esempio di realismo politico a breve termine.

Lo stato palestinese rischierebbe di trasformarsi in una teocrazia, e lo stato israeliano in una toracrazia (da Torah) Sarebbe, perciò, guerra permanente.

 


Si dirà che, allo stato dei fatti, meglio una tregua che nulla. Certo. E che la secolarizzazione ha tempi lunghi. Vero. Però senza una piena accettazione della modernità liberale in Medio Oriente non vi sarà mai pace. 

E va detto che qualcosa si muove, addirittura nel campo della moda (*). Di qui l’importanza del jukebox:  "Con te sulla spiaggia, con te sulla spiaggia, eeeeeeeh".


Finché i due popoli non canteranno insieme, niente pace: solo rumore di fondo. Di droni, missili e bombe.

Carlo Gambescia

(*) Si veda qui: https://www.vanityfair.it/article/moda-palestinese-ott-brand-che-raccontano-e-supportano-il-popolo-della-palestina .

2 commenti:

  1. L'equivoco di fondo della questione palestinese è quello di considerarla una lotta per il riconoscimento di una nazione. È così che gli sprovveduti occidentali interpretano la faccenda (con tutta la solita retorica sulle terre rubate, sui coloni, sull'imperialismo, ecc) senza rendersi minimamente conto della volontà del popolo palestinese e di tutto il mondo islamico. Basta leggere i commenti degli arabi su fb (il traduttore automatico ormai funziona abbastanza bene) per comprendere che il loro vero desiderio non è la convivenza pacifica di due stati ma l'abbattimento di quello ebraico. Non un solo commento per la pace (anzi il delirante vanto di una vittoria) non una minima autocritica rispetto alle farneticazioni del Corano, non una riforma religiosa, non una invocazione alla tolleranza. I musulmani non sono minimamente afflitti dai sensi di colpa che attanagliano l'occidentale medio. Eppure si potrebbe opporre la considerazione che, storicamente, gli ebrei hanno sempre vissuto più o meno pacificamente in quelle terre (e in tutto il mondo islamico). Certo ma in condizioni di sottomissione all'Islam. Ciò che i musulmani trovano inaccettabile è l'idea di un ebreo non più sottomesso grazie allo stato d'Israele. Se questi sono i presupposti, la modernizzazione dei musulmani e (in particolare) dei palestinesi, mi pare pura illusione. Ad ogni modo una cultura millenaria, per essere "riprogrammata", richiederebbe centinaia di anni (anche in base al grado di permeabilità di quella cultura).
    Saccone

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  2. Grazie Caro Saccone dell'interessante commento. Io purtroppo i commenti degli arabi su Fb non posso più leggerli. Comunque (leggo l'inglese) seguo la stampa dei due "fronti" diciamo così. Il suo discorso fila. La metapolitica, che come lei ben sa è un mix di politologia, storia e sociologia, ci dice che la modernizzazione, come scrivo, è l'unica ancora di salvezza. Mentre i fatti come giustamente lei mi ricorda, vanno in altra direzione, probabilmente contraria. Lenin le risponderebbe peggio per i fatti. Io invece prendo atto. Tristemente.

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