giovedì 31 maggio 2018

Mattarella consegna l’Italia ai fascio-stellati
Il cardellino democristiano 
ha detto sì

 
Sergio Mattarella nel 1983
Il Riccardo Cuor di Leone, come si sapeva, era il fratello Piersanti,  ucciso dalla Mafia. Lui il cucciolo, "u picciriddu", era  l’amoruzzo di mamma. Cresciuto perciò  introverso, timido, studioso. Costretto a scendere in politica, come capita nelle famiglie aristocratiche, anche della politica, in particolare se democristiane e siciliane,    per senso del  dovere: toccava al cadetto sostituire il  coraggioso Pupo, alla Regione,  caduto combattendo  contro  i feroci  Mori  di Totò  Riina.
Dunque entrato in politica, controvoglia, incarichi di routine, carriera rapida  nella Dc di sinistra, qualche volta ministro.   Dopo Tangentopoli però, un sussulto antiberlusconiano, in nome di una sana antipatia evangelica per tutto quello che odora di donne, vernice e velocità.  E una buona legge elettorale, o comunque migliore  di quelle -  pessime -  approvate dopo il “Mattarellum”.  
Un solitario e timido cardellino democristiano, che delizia gli ospiti del Colle,  con la sua retorica latte e miele,  ma che si impaurisce al primo stormire di foglie. Un amico dei popolo (il rovescio del pauperismo), che  una volta diventato Presidente della Repubblica, non poteva perciò non favorire il matrimonio con altri due amici del popolo, ma prepotenti,  come Salvini e Di Maio. Che come i Bravi di Don Rodrigo lo hanno spaventato a morte. Del resto, anche ammesso e non concesso che avesse voluto dirlo questo benedetto no, dove avrebbe trovato il coraggio il nostro Don Abbondio... 
E così è stato.  

Carlo Gambescia
             
Un aspetto singolare della crisi italiana
La mancanza di coraggio





L’aspetto più singolare di questa crisi, unica in Europa (quanto meno  nell’’Europa dei firmatari dei Trattati del 1957),  è quello che in Italia,  tutti o quasi (partiti, media, social),   scorgano nella Lega e nel M5S due forze politiche “normali” che potrebbero addirittura “governare insieme”.
Sul piano politico, non si vuole capire o si finge di non capire, che è come se si facesse il tifo per un’alleanza politica tra fascisti e comunisti. Insomma, per le forze eversive dell'ordine liberaldemocratico. 
Curiosamente,  gli unici che vi si oppongono, apertamente, sono i post-comunisti (Pd e  LeU). Che però (Renzi per primo) giocano sul piano delle proposte sociali al rialzo, quindi, per così dire, giocano  a fare i superfascisti e i supercomunisti. O come si dice oggi, i  superpopulisti.  
Forza Italia, l’unico partito, con qualche rimasuglio liberale,  quindi di antifascismo e anticomunismo, purtroppo,   è  nelle  mani di un Berlusconi più amletico che mai. Che, infatti, non prende posizione, né pro né contro l’ipotesi giallo-verde. Vegeta.
Mattarella, che avrebbe potuto, fin dall’inizio, imporre,  un  governo del Presidente, sul filo (come vedremo) della Costituzione,  ha invece assunto un rapsodico atteggiamento legalitario (che, ovviamente, ha scontentato tutti), risoltosi nell' ulteriore legittimazione del nemico leghista e pentastellato. Nemici, entrambi, di quell’universo di valori liberaldemocratici che negli ultimi settant’anni  ha consentito all’Italia di svilupparsi nella libertà e nel benessere.  
Purtroppo, anche mass  media e  social fanno a gara nel legittimare  due forze eversive  come Lega e Cinque Stelle. In queste ultime ore,  si sospira addirittura perché Salvini e Di Maio riescano a formare un “governo politico”,  officiato da un  evanescente Mattarella.
Tutti, politici, media, social ( con l’unica eccezione del “Foglio” di Cerasa)  si nascondono dietro  una pseudo-verità. Quale?   Che  M5S e Lega  - così dicono -  rappresentino  del tutto legittimamente il 50 per cento dell’elettorato.   Ma allora se proprio, dobbiamo dare ascolto alla logica democratica, va precisato che Cinque Stelle e Lega  non rappresentano  tutto il  popolo, ma solo una parte di esso. Quindi cerchiamo di non scambiare, facendo lo stesso errore olistico dei  dittatori, la parte con il tutto.
Inoltre,  cosa recita  la Costituzione?   Che  (art. 1) la sovranità appartiene al popolo, ma che viene esercitata “ nelle forme e nei limiti della Costituzione”.   Pertanto,  se lo si volesse veramente,   solo sulla base dei principi fondamentali (1-12), se ne potrebbero trovare di ragioni, costituzionalmente lecite, per impedire formalmente non solo un governo giallo-verde, ma addirittura per mettere  fuori legge due partiti eversivi come Lega e Cinque Stelle. Per non parlare, infine, di un uso mirato (se non perfido)  degli strumenti informali, dalla magistratura alla guardia di finanza.  
Però, un’operazione del genere, di largo respiro politico e  poggiante su un'idea di democrazia protetta, che sicuramente riceverebbe l’appoggio dell’UE e dei mercati (per semplificare), impone un coraggio (e una mano ferma, se non spietata, in caso di reazioni)  che purtroppo  manca  non solo alla nostra classe politica (e amministrativa), ma anche  alla stessa classe dirigente.  Che infatti -  parliamo di quest’ultima -  come mostra la linea editoriale dei giornali a grande tiratura e dei media  radiotelevisivi più importanti, ha già  deciso, e  da un pezzo, di patteggiare.  
Ora, che sui i social, rifugio di tutti i falliti, impazzino gli arruffapopoli e gli spostati, è cosa comprensibile, ma che la classe politica e soprattutto la classe dirigente treschino con  le forze eversive, no.  
In questo, come dicevamo all’inizio, risiede l’aspetto più singolare e pericoloso della nostra crisi. In Francia, in Spagna, Germania,  non si tratta con i populisti, né li si legittima.  In Italia, invece,  come si usa parlare oggi, "anche" sì.  Che dire?  Siamo sempre all'avanguardia, nel e del peggio.  Non dimentichiamo che l'Italia inventò il fascismo.  Hitler si rivolgeva al Duce chiamandolo "Suo Maestro". 
Del resto, con Mussolini, non  accadde la stessa cosa? Classe politica e dirigente patteggiarono.  E finì male.  

Carlo Gambescia           

     

  

mercoledì 30 maggio 2018

L’Otto Settembre del Quirinale
Dal caos rispuntano Salvini e Di Maio



Che spettacolo avvilente. Il Consigliere per la stampa e la comunicazione del Colle, Giovanni Grasso, che, senza alcun rispetto per il protocollo,  farfuglia qualcosa,  in mezzo a una folla di giornalisti che si accalca intorno a lui. E si comporta così,   evidentemente,  perché privo di ordini precisi. La nostra memoria non può non riandare  - certo,  concettualmente -  a un’altra brutta pagina della storia italiana, l’Otto Settembre:  generali in fuga, soldati allo sbaraglio, caserme saccheggiate dalla plebaglia.  
Purtroppo, l’Italia -  elezioni o non elezioni -   sembra cotta a puntino  per qualsiasi avventura.  Nelle strade:  dal giornalaio al tassista, dalla cassiera all’impiegato, dal pensionato allo studente, con chiunque si parli, il mantra è sempre lo stesso: “Dobbiamo farci rispettare dall’Europa. E se non ci rispetterà, faremo da soli”. Insomma, il ritornello  è quasi lo stesso:  "Popolo italiano corri alla Lira...". I sondaggi attestano il nostro impressionismo sociologico.  Mussolini,  invitava gli italiani  "A correre alle armi...".  Qualche inguaribile ottimista, potrebbe giudicarlo un miglioramento...  
In realtà, non è così.  I  partiti, tutti, dal primo all’ultimo,  chiusi nel loro, ormai naturale, egoismo, giocano al rialzo.  Ieri, per dirne una,  il Pd, quel che ne resta, implorava,  senza credervi più di tanto, un fronte politico repubblicano, giustamente pro-europeo, in caso di elezioni anticipate. Ma  con dentro tutti,  Renzi,  Gentiloni, Calenda, D’Alema, Grasso, Boldrini. Emiliano, magari Prodi… Che credibilità può avere un'iniziativa, da medicina della rianimazione? 
Inoltre, dispiace ammetterlo,  ma la lunghissima crisi ha minato anche la credibilità  politica  del  Presidente Mattarella, che si è  mostrato incapace di  individuare il vero nemico dell'Italia: il Movimento  Cinque Stelle.  E di agire conseguentemente.
 Invece, a causa del Dna pauperista, non ne ha azzeccata una.  La sua antipatia da democratico cristiano di sinistra, per tutto ciò che odora di donne, vernice e velocità,  lo ha condotto, prima,  a sostenere, più o meno velatamente,  un'alleanza tra  il M5S  e un Pd ("derenzizzato"), senza però riuscirvi.   Poi, errore colossale, ha permesso  che Salvini e Di Maio si unissero.  Invece, di isolare, da subito, Cinque Stelle, ha facilitato, quello che non avrebbe mai dovuto favorire, la rottura interna al Centrodestra e la conseguente promozione politica dell'altro gemello diverso del populismo italiano a partner di un tranquillo governo di paura.   Errore, ripetiamo, madornale.  
Quando  però  qualcuno dei suoi consiglieri  gli ha sottoposto il Piano B, condiviso  dal  futuro Ministro dell'economia del governo giallo-verde,  Paolo Savona ( un Piano, lo si legga,  che equivale a un  atto di banditismo internazionale e nazionale, che va ben oltre la questione dell’Euro*),  Mattarella, preoccupatissimo per il pericolo di una svolta balcanica,  ha fatto marcia indietro, per chiamare, tra i crucifige dei Social, il dottor Cottarelli, uno scialbo ragioniere per così dire, neppure seriamente interessato alla patata bollente.  La scelta peggiore. 
Il che spiega la quasi fuga del Presidente incaricato dalla porta di servizio del Quirinale, nonché i penosi balbettii  concettuali del portavoce  del Colle:  mandato allo sbaraglio, davanti ai giornalisti, da un Mattarella,  se ci  si perdona l’espressione, nel pallone, perché prigioniero  delle sue ataviche antipatie politiche, mal nascoste da un carattere che non sembra brillare per fermezza e dal  rapsodico uso delle prerogative costituzionali.  Un disastro totale.  Di fatto e di diritto.  
Questa mattina Cottarelli si recherà di nuovo  al Quirinale. Potrebbe declinare. Potrebbe...  Ieri, sotto il fuoco, più che giustificato, dopo mesi di (paziente) bonaccia, dei mercati,  si è parlato addirittura di elezioni anticipate a luglio.
Infine, non va dimenticato il colpo di scena finale.  Ieri sera,  Di Maio, dopo aver minacciato una nuova Marcia su Roma,  ha chiesto di poter  tornare al tavolo con Salvini.  Quest’ultimo, da bravo compagno di avventure, sembra essere  d’accordo. Oppure no?   E Mattarella?
Per dirla con Manzoni, lo sventurato potrebbe rispondere.



martedì 29 maggio 2018

Euro. Botta e risposta tra Teodoro Klitsche de la Grange e Carlo Gambescia   
Meglio Sciaboletta...
di Teodoro Klitsche de la Grange



La crisi istituzionale innescata dal rifiuto di Mattarella di firmare la nomina di un euroscettico come Savona nel governo M5S-Lega, ricorda tante cose. Di una voglio scrivere: che il tutto fa pensare a detti ed atti di Vittorio Emanuele III. Il quale, partecipando al convegno delle potenze dell’Intesa dopo Caporetto disse che “in guerra si va con un sacco per prenderle e con un bastone per darle”. La massima, essendo la guerra la continuazione della politica con altri mezzi, si può applicare anche a quest’ultima.
Onde se si deve trattare una revisione della politica e/o dei trattati con l’Europa, è chiaro che un governante italiano, il quale tuteli gli interessi dell’Italia deve, non fosse per altra ragione che per rafforzare la propria posizione negoziale, prevedere – e prospettare – che in caso di mancato accordo, l’Italia sia disposta a decisioni più dure, fino ad uscire dall’euro. Con riflessi - forse - negativi (per tutti).
Ma se il suddetto negoziatore esclude, al momento di iniziare la trattativa di giocare il proprio “tris d’assi”, state sicuri che, di fronte a tanta eurodevozione, i vari Juncker, Merkel (e annessi e connessi) risponderanno con buffetti e parole commoventi di elogio, apprezzamento ed eterna amicizia. Ma lo lasceranno con poco o nulla nel carniere.
Se la Thatcher fosse andata a trattare in Europa, invece che ripetendo i celebri tre “No” alle richieste di Delors, e prima avvertendo che voleva indietro i quattrini della Gran Bretagna, l’avrebbero accontentata con le bazzecole. Oltretutto la “Dama di ferro” avrebbe dato un pessimo esempio se, per così dire, fosse stata di gomma. Un esempio fatto d’imperizia (nella cura dell’interesse nazionale), pavidità e scarsa dignità.
Forse è (anche) a quei tre “no” che si deve la decisione sulla Brexit: ma è comunque certo che i negoziati condotti dalla Thatcher diedero un assetto al rapporto Europa/UK stabile per oltre un trentennio: a conferma del fatto, spesso ripetuto nella storia, che, gli accordi durevoli si fanno a) con i nemici o reali avversari; b) sulla base di interessi (reali) e non su idee o aspettative astratte e future. Per cui mandare in Europa un ministro già pronto con il cappello in mano e la lingua pendula non è una furbizia  ma un esempio di complice dipendenza.
A seguire la regola – realistica – del sacco e del bastone, oltre a guadagnare in dignità, spesso i risultati non sono deludenti. A Caporetto seguirono le battaglie del solstizio e Vittorio Veneto: esito positivo di una anno iniziato assai male.
L’altro atto di Sciaboletta da tenere a mente in questa vicenda, è quando “dimissionò” Mussolini per rovesciare le alleanze, al fine di evitare, o almeno limitare le sofferenze di una guerra ormai perduta.
Se il Re e Badoglio avessero preso come vincolo immodificabile il patto d’acciaio, come oggi gli eurodipendenti quello sull’euro (e non solo), l’Italia sarebbe uscita dalla guerra ancora più distrutta della Germania: Torino, Genova e (forse) Roma come Amburgo e Dresda. Con qualche milione di morti italiani in più.
Ciò perché il criterio della politica non è il rispetto dei trattati, delle norme, dei valori (ecc. ecc.) ma il perseguimento (e la tutela) dell’interesse nazionale. Quando vincoli normativi, interni o esterni entrano in conflitto con l’interesse nazionale è questo che deve prevalere e non quelli.
Cosa che un noto neofita della politica come Bismarck ripeteva dicendo che i trattati sono “pezzi di carta”; e uno dei pensatori politici il quale, pare – l’abbia, almeno in parte, ispirato, come Lassalle scriveva che anche le Costituzioni sono “pezzi di carta”. Quel che conta sono gli interessi (e gli assetti) che determinano norme, trattati, Costituzioni.
Perciò preferisco Sciaboletta.
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013).


***

Interesse nazionale?
di Carlo Gambescia




Il pur  interessante articolo dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange  contiene  un errore nella premessa: l’idea di interesse nazionale  non rinvia alla scienza politica,  a una scienza (per dirla con Pareto) tesa a studiare i residui (ciò che permane del comportamento collettivo), ma all'analisi  delle derivazioni (ciò che gli uomini usano per coprire i moventi reali delle proprie azioni  sociali).
Facciamo solo un esempio. A proposito del “Patto d’Acciaio”,  Klitsche de la Grange,  nota che in nome dell’interesse  nazionale fu giusto uscire da quel Patto, “dimettere” Mussolini, eccetera, eccetera.  Diciamo invece, che in nome dell’interesse nazionale  quel Patto con la Germania nazista, non andava proprio firmato, come non andava intrapresa -  prima -  alcuna politica imperialista e bellicista. 
Però, ci si può rispondere,  che l’interesse nazionale  italiano, allora,  era quello “del posto al sole”.  E non quello "panciafichista"  dell’Italietta in pantofole di Giolitti e, prima ancora, di  Visconti Venosta.  Appunto. Quel che vogliamo sottolineare è  che  sull’idea di quale sia il vero interesse nazionale, dal momento che il concetto  rinvia alle autogiustificazioni (frutto di visioni differenti della storia nazionale e delle sue prospettive), tutte più o meno "devozionali", non ci può essere, né ci sarà mai, alcun accordo. Quindi, il dato costante, eventualmente, non  è l’interesse nazionale, ma  la reinvenzione e opposizione tra le diverse idee di interesse nazionale, di volta  in volta rilanciate,  dalle diverse correnti politiche, sul piano degli "assetti e degli interessi" e dunque, inevitabilmente, in nome di  una qualche "idea di futuro" . 
Non esistono,  insomma,  interessi puri separati da valori puri.  Persiste sempre, però, un mix di norme e interessi. Pareto, in questo caso,  parlava di "istinto delle combinazioni", come innata capacità dell'uomo di manipolare interessi e valori. Il "pezzo di carta" bismarckiano-lassalliano non riflette un principio di scienze politica, ma la volontà, storicamente contestualizzata, del  Bismarck Cancelliere di avere mani libere, prima per l'unità tedesca, poi per mantenersi al centro dello scacchiere continentale: un mix di interessi e valori, di presente e futuro.  Sul quale, nella stessa Germania non c'era comune accordo. Come proverà la storia successiva, da Guglielmo II a Hitler.    
Per venire all’oggi, per alcuni è interesse nazionale restare nella UE, per altri  non condividere l’Euro, per altri ancora, uscire dall’UE e dall’Euro.   Chi ha ragione?  Per quel che ci riguarda, siamo tra  coloro che ritengono sia interesse nazionale dell’Italia restare nella UE  e nella sfera dell’Euro. Ma, ecco il punto, non ci sogniamo assolutamente di difendere la nostra opinione evocando la "scientificità" di principi pseudoscientifici, come quello dell’interesse nazionale.  Magari,  ricorreremo, anche noi, ad altri idola tribus, però, in mondo consapevole, evitando di  mescolare ragione e sentimento, scienza e romanticismo politico.
Quanto a “Sciaboletta”, Vittorio Emanuele III,  diciamo che la sua visione dell’interesse nazionale collimava con quella dinastica. Prima consegnò l’Italia a Mussolini, poi gliela strappò, solo per salvare il Trono ai Savoia.  Quindi  non sembra un buon esempio. Cioè, eventualmente lo è, ma come indicatore delle varie e  numerose declinazioni dell’interesse nazionale.  
Quanto alla tesi che bisogna andare sempre a trattare a muso duro,  diciamo che, solo per fare altro esempio,  la politica di   Visconti Venosta e di Giolitti-Antonino di San Giuliano, definita, ad esempio negli anni del Fascismo, fin troppo arrendevole, nel primo caso, consolidò la politica estera italiana, nei difficilissimi anni della Destra Storica, nel secondo caso, ci fece guadagnare la Libia, senza inimicarsi nessuno. Per contro su Crispi e Mussolini, sempre pronti a picchiare per primi, crediamo sia meglio stendere un velo pietoso.
Infine, la grandissima "The Iron Lady"  rappresenta piuttosto l’eccezione che la regola. Eccezione costituita,  in primo luogo,  dall’insularità imperiale della Gran Bretagna  e, in secondo luogo,  da una tradizione di grandi leader conservatori, tutta gente di carattere,  da Disraeli a Churchill.  Insomma, siamo su un altro piano, anche psicologico.  Diciamo stratosferico. 
Come dire? Caro Teodoro, scherza coi fanti, ma lascia stare i santi… 

Carlo Gambescia     
                                      

lunedì 28 maggio 2018

Il delirio dell’Onorevole Di Maio
L’ora è grave




Quest’ uomo e il movimento  che rappresenta  sono realmente pericolosi.  Consigliamo di seguire   con la massima  attenzione  il  video, di poche ore fa:  non tanto ( o non solo) per  le montagne di menzogne che vi si  raccontano,   frutto di una falsa rappresentazione della realtà, in chiave cospirativa, quanto per il tono aggressivo,  feroce, con il quale le si esterna. Da invasato politico.
Contestarlo punto per punto?  Non servirebbe a nulla.  E poi, troppo facile.  Un solo esempio:  Luigi Di Maio dichiara di non essersi mai pronunciato sull' uscita dall’Euro.  Qui un documento che lo smentisce: https://www.ilpost.it/2017/12/18/di-maio-uscire-euro/ .
Ripetiamo, siamo davanti  a una rappresentazione completamente falsa della realtà.  Però, ripetuta, come sosteneva il dottor Goebbels,  per dieci, cento, mille volte. La tecnica comunicativa, non solo dell’Onorevole Di Maio, ma del Movimento 5 Stelle,  ricorda quella del nazionalsocialismo.  Per non parlare della  “passeggiata" su  "Roma”,  che rinvia alla famigerata  Marcia fascista. La stessa idea del tricolore, da esporre,  usato però come un randello,  contro le istituzioni repubblicane, legittimamente rappresentate, rimanda alle maggioranze silenziose portate in piazza dall’estrema destra. O peggio alle rivolte plebee,  iniziate e presentate come apparenti manifestazioni pacifiche, come quella di Reggio Calabria del 1971: fascista ed eversiva fino alla cima dei capelli.
Il Movimento 5 Stelle punta alla  spallata finale.   Vuole andare al governo con la  forza,  processando il Presidente della Repubblica Mattarella,  colpevole solo di avere fatto il proprio dovere.  Verso il quale si lanciano accuse gravissime, ingiuste e infondate. Un vero e proprio linciaggio, per ora verbale (*),  che, a nostro avviso, per evitarne la degenerazione,  imporrebbe l'immediato intervento della Polizia Postale e della Magistratura.  
L’ora è grave.   


Carlo Gambescia    


(*)  Qui un "florilegio" :   https://it.yahoo.com/notizie/otto-pagine-di-insulti-contro-174000384.html               
Dopo il grande rifiuto  del Presidente Mattarella
Salvini e Di Maio?
Più stupidi e arroganti di Mussolini e Hitler




In scienza  politica (si pensi al classico manuale di Lasswell e Kaplan),  si usa valutare la maturità di un attore (un partito, un movimento, un sindacato, un leader, un dittatore), misurandone il tasso di flessibilità nel suoi comportamenti interattivi. 
Cosa intendiamo dire? Che conquista e conservazione  del potere implicano un uso calcolato della forza. In alcune fasi il nemico (o avversario) va schiacciato, in altre semplicemente  battuto, in altre sconfitto ma non umiliato, in altre ancora trasformato in alleato. Lungo un asse che va dalla  sua distruzione totale alla conservazione e istituzionalizzazione: asse che semplificando, e figurativamente,   va dal barbaro  Attila alle democrazie parlamentari.   Per dirla con Pareto, che riprendeva Machiavelli,  si deve essere volpi o leoni in base alle circostanze.          
Ora, per venire al punto,  se Salvini e Di Maio avessero fatto un passo indietro su Savona, mostrando flessibilità e addirittura intelligenza politica,  il governo sarebbe nato.  Infatti, in discussione, non era tanto Savona in sé (come uomo ed economista), quanto la sua rappresentazione negativa in Europa, quale  nemico  dell’Euro e dell’UE ( vera o falsa, in politica fa lo stesso). 
Se,  per fare un esempio, Lega e Cinque Stelle avessero optato  per un nome più credibile (non interessa quale, ora),  credibile sul piano comunicativo, il governo sarebbe partito.  E  Mattarella da "Presidente Fellone" si sarebbe tramutato nel "Presidente del Cambiamento".   
Inutile  ragionare, su chi, tra  Salvini e Di Maio,  abbia "spinto di più": sono pure questioni di dinamica politica,  ragioni interne a un' alleanza, che, comunque sia,  ha presentato unitamente a Mattarella il nome di  Savona. 
Può apparire paradossale, ma  sotto questo aspetto, i leader di  Lega e Cinque Stelle,  hanno provato di essere meno flessibili e politicamente meno intelligenti  di Mussolini e Hitler al momento dell'avvento al potere: ad esempio, nelle fasi iniziali i due dittatori (1922 e 1933) accettarono di  governare con i moderati cattolici (Cavazzoni e Tangorra in Italia, Von Papen in Germania). 
Di regola, l’assenza di flessibilità rinvia alla categoria politica dell’estremismo, dell’ "intransigenza, applicata", in chiave cumulativa,  sia sul piano strategico che tattico.  Probabilmente, Lega e Cinque Stelle, come forze politiche,  non sono interessate a condividere il potere con nessuno. Il che probabilmente, in linea prospettica, le mette però l’una contro l’altra. In fondo, ora  sono politicamente insieme, perché unite dall’odio contro il “sistema”. Poi si vedrà.      
Ciò significa che alla stupidità tattica, che si basa sul rozzo principio di non condividere il potere con nessuno, si unisce sul piano strategico una paurosa volontà di potenza che si traduce in arroganza manifesta.  Insomma,  in una risorsa politica  che però  va  oltre ogni limite del buon senso politico. Dunque, controproducente, per se stessi e per l'Italia.
Ad esempio, la reazione di chiedere l' impeachment del Presidente Mattarella, totalmente infondato sotto il profilo costituzionale, è decisione al tempo stesso stupida (perché accresce il tasso di scontro politico) e arrogante (perché si fonda sulla boriosa rivendicazione dell' idea che il "popolo" sia dalla "nostra"  parte).  Chiunque conosca la letteratura in materia, corroborata da consistenti esempi storici e sociologici, sa perfettamente che tassi crescenti di scontro politico e di arroganza ideologica, accrescono aspettative collettive radicali, anche in virtù di programmi altrettanto massimalisti, destinate però a restare insoddisfatte,  proprio perché tali. Siamo davanti al circolo vizioso  (ed esplosivo) dell'estremismo politico.  
Il "popolo", come è sempre accaduto,  è dalla parte dei dittatori  fino a quando non si accorge che le promesse impossibili, come è ovvio,   non possono essere realizzate.  Dopo di che,  il potere si avvita su se stesso, e  i regimi autoritari e  dittatoriali prima o poi crollano. Naturalmente,  tempistica  e conflittualità  variano in relazione  ai tassi,  residuali o meno, di  intelligenza politica nei governanti. Di qui la possibilità di  procedere lungo le  strade, scalarmente perigliose della guerra, della rivoluzione, del colpo di stato, della transizione guidata dall'alto, eccetera, eccetera.  
Diciamo,  sinteticamente,  che  Salvini e Di Maio,  Lega e Cinque Stelle,  sono un mix di stupidità e arroganza.  Più stupidi di Hitler e Mussolini, quindi di fascisti e nazionalsocialisti,  ma più arroganti delle camicie nere e brune.  
Si dice che le tragedie politiche,  quando  si ripetono,  rischino sempre di finire in farsa. Non ne saremmo del tutto sicuri.      

Carlo Gambescia



domenica 27 maggio 2018

Il no del Presidente Mattarella,  il primo passo è fatto  
Subito un Governo della Moratoria




Ci si consenta di iniziare con una battuta, la notizia buona è che il Non Illustre Sconosciuto tornerà nell’anonimato dell’Università di Firenze. La notizia cattiva, o meno buona, è che il Presidente Mattarella avrebbe potuto  dire qualcosa di più sulla sua  “iniziativa” dei prossimi giorni. Ha lasciato gli italiani nell’incertezza. Del resto era tesissimo.  Però diciamo che il primo passo è fatto. I barbari fascio-stellati sono stati fermati. Per adesso.   
Però, ora che succederà? Innanzitutto,  vanno tenuti  gli occhi aperti, molto aperti sul piano dell'ordine pubblico e del rispetto della Costituzione Repubblicana. E nel caso, essere inflessibili, soprattutto  la Magistratura. Ma anche le attività della Guardia di Finanza, benché più soft, possono essere risolutive. Quanto agli aspetti politici, probabilmente Mattarella punterà su un Governo del Presidente che andrà a cercarsi i voti in Parlamento. Chi lo presiederà? Sembra che il Presidente abbia convocato per domani mattina Carlo Cottarelli: non sembra una scelta felice. E' l'uomo dei tagli, un ragioniere, semplificando. Mette in colonna cifre, non parole. All'inizio piace, poi divide. E' come la bella di Torriglia tutti la vogliono nessuno la piglia. E qui invece serve  una personalità politica o tecnica in grado di raccogliere intorno a sé il massimo dei consensi.  Non serve, se ci si perdona  la caduta di stile, una prugna raggrinzita, occorre una spugna,  capace di assorbire tanta acqua e di  tranquillizzare i mercati.  Forse gli andava preferito professor Sabino Cassese, ma si tratta di un' opinione personale.
Altro punto. Non si può tornare subito al voto, perché va  prima  approvata  la legge finanziaria. Sarebbe una follia. Quindi l’obiettivo del Governo del Presidente non può non essere quello  di imporsi un termine, diciamo gennaio 2019, per dimettersi  e  andare al voto. Sarebbe cosa utile, approvare una nuova elettorale maggioritaria in grado di assicurare la governabilità.
Certo, l'ombra lunga di Cottarelli non aiuta, però auspichiamo che il Presidente Mattarella rivolga,  direttamente,  nei prossimi giorni un appello ai moderati, interni a tutti  partiti, per garantire, in quanto rappresentanti non dei partiti ma  della nazione tutta,  l’avvio  in Parlamento  di un Governo della Moratoria; qualcosa di più del Governo del Presidente: un Esecutivo fondato, programmaticamente,  sulla sospensione delle ostilità,  capace di puntare, ripetiamo, sui due obiettivi principali: legge finanziaria e legge elettorale.
Forza! La guerra è  lunga.  Ma la prima battaglia è vinta.

Carlo Gambescia 

Presidente Mattarella, resista. 

No,  ai barbari fascio-stellati

 

 

 

 



Articolo 54

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi.
I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore,
 prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.

Articolo 92

Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri,
che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri
e, su proposta di questo, i Ministri. 

Articolo 95

Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile.
Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri.

https://www.senato.it/1025?sezione=123&articolo_numero_articolo=54 )



Il consiglio - se ci è permesso -  che  desideriamo dare  al Presidente  Matterella  è di resistere, resistere, resistere. Perché  l’atteggiamento assunto dalla  "Lega a 5 Stelle" (ormai, in potenza, quasi partito unico)  sul nome di Savona, rivela l’estremismo politico, anche a livello potenziale, come vedremo,  che si nasconde  dietro il corpaccione politico della peggiore alleanza populista, determinatasi nell’Europa liberale e riformista  dei Trattati del 1957.
I barbari vanno fermati,  perché  cattivi,   rapaci e pericolosi.  Non sanno che cosa sia la moderazione. Qualità importantissima in politica. Cerchiamo di capire insieme.
Hanno preteso  che il Presidente della Repubblica, prendesse in considerazione una specie di alleanza tra fascisti e comunisti. E così è stato.   
Hanno preteso che il Presidente della Repubblica affidasse l’incarico a uno Sconosciuto, neppure Illustre. E così è stato.
Hanno preteso che il  Non Illustre  Sconosciuto facesse il postino tra di Maio e Salvini,  da un lato, e il Colle, dall’altro. E così è stato.
Hanno preteso che il Presidente della Repubblica non interferisse nella lista dei ministri, irritualmente inviata al  colle addirittura prima delle elezioni. E così è stato.
E ora, non paghi, vogliono imporre  come  Ministro  dell'Economia,  dicastero chiave,  il professore   più anti-Ue in circolazione. Che è anche anti-tedesco, ma questo è solo un aspetto della questione, quello più propagandistico, per accontentare una politica estera ridotta a scontro tra tifoserie opposte. Savona, indica, in modo altisonante un'Europa diversa, astratta, ma il suo obiettivo reale, che poi è quello della "Lega a 5 Stelle", è distruggere, quella reale, rappresentata dall'Unione Europea:  l'unica possibile che abbiamo, per ora. Altro che euroscettico.
Al di là di tutto questo,  la vera questione centrale è dettata dalle leggi dinamiche del potere:  se  Mattarella cedesse anche questa volta,  l’appetito politico  del corpaccione  "Lega a 5 Stelle", o se si vuole la sua volontà di potenza, crescerebbe ancora di più. Un terapeuta, più pacatamente, parlerebbe di sviluppo progressivo del senso di  autostima.  Insomma, a ogni vittoria, si acquista  energia e consapevolezza della propria forza. Si pensi, per usare una metafora fin troppo scontata,  ai sassolini  che rotolando verso il basso  e travolgendo tutto,  crescono di volume,  fino a  trasformasi in valanga. Una gigantesca slavina che però, questa volta,   potrebbe politicamente  abbattersi sull'Italia.
Dal punto di vista tecnico  Mattarella può appellarsi agli articoli 54,  92, 95 della Costituzione, già largamente violati, dall’ultimo diktat  della "Lega a 5 Stelle" e dall'irrituale e disonorevole andirivieni  del Non Illustre Sconosciuto.
Certo, servono fermezza,  freddezza e lucidità,  la "Lega a 5 Stelle" potrebbe  appellarsi  alla piazza, ma anche fare più di un passo indietro. Dividersi.  Insomma, dal punto di vista della dinamica del potere, un no a Savona, aiuterebbe a rimescolare le carte.  Di qui però,  la necessità di essere pronti a tutto. Infine, l’alternativa politica  fattibile  resta quella di un governo del Presidente  con due obiettivi:  votare la finanziaria e una nuova legge elettorale maggioritaria,  per tornare  al  voto nel 2019.
Il punto politico da perseguire, anche in Parlamento, per ora,  sarebbe  quello di riuscire  a  "segare"  in due, tre, quattro parti,  il corpaccione "Lega a 5 Stelle",  oppure, addirittura (ma in prospettiva) spingere Salvini Di Maio e residui,  a presentarsi  insieme alle nuove elezioni.  Dall’altra parte dell'arco politico, però, dovrebbero convergere  tutte le forze  europeiste, liberali, riformiste, avversarie del populismo. Per la sfida finale.
Si dirà,  che nella nostra analisi  il condizionale  rischia di  farla da padrone.  Giustissimo,  non si può dare nulla per scontato. Però, una cosa è certa,  cedere oggi  sul nome di Savona, significa far  crescere la volontà di potenza dei barbari fascio-stellati. E in prospettiva consegnare loro l'Italia. 
Il Presidente Mattarella deve resistere a ogni costo. 

Carlo Gambescia     
        

sabato 26 maggio 2018

Paolo Savona conosce la vicenda di  Hjalmar Schacht?




In questi giorni  Paolo Savona (nella foto) sembra essere diventato il beniamino dei neo-nazionalisti italiani.  La sua figura, in qualche modo,  ricorda quella di Hjalmar Schacht,   economista e  banchiere tedesco,  che appoggiò Hitler.  La tipologia, fortunatamente rara, è quella  dello specialista in economia, che, incredibilmente, pur conoscendo la complessità e inesorabilità  dei meccanismi economici,  sposa una causa politica, che inevitabilmente, conduce  il  paese alla rovina. 
Come si è già  detto,  Schacht,  rappresenta   l’eccezione che conferma la regola.  Il lettore si chiederà di quale regola stiamo parlando.  Del rispetto delle leggi o costanti economiche. Gli economisti, tutti, sanno benissimo,  che una volta usciti dal seminato della legge della domanda e dell’offerta, la parola inevitabilmente finisce per passare alle armi. Ci spieghiamo meglio.
La legge della domanda e dell’offerta  rinvia a una  società fondata sul libero scambio,  che, ovviamente,  non è mai tra soggetti uguali, altrimenti non ci sarebbe scambio, dal momento che  ogni attore  economico  porta sul mercato le sue specificità, tradotte in beni economici  e prezzi. Si chiama anche divisione  internazionale del lavoro. Quindi si parla di un dato reale, non astratto. Nella sua esperienza storica il mercato (ovvero il meccanismo economico fondato sulla legge della domanda e dell’offerta) ha determinato un innalzamento del tenore di vita di tutti i popoli del pianeta. Quindi il meccanismo funziona. O comunque funziona meglio di altri.
Ora,  Paolo Savona, come la  stragrande maggioranza degli economisti,  queste le cose le conosce bene,  come sa altrettanto bene che il denaro  essendo una merce come un’altra  è sottoposto alla legge della domanda e dell’offerta.  Pertanto, l’uscita dell’Italia dall’Euro,  comporterebbe una valutazione, sulle basi della legge della domanda e dell’offerta,  della Lira italiana,  giudizio legato  alla necessità reale  che di essa avrebbero gli operatori economici italiani  e internazionali (soprattutto questi ultimi). Sicché, la Lira italiana  per  entrare in concorrenza con le altre monete dovrebbe sfidarle. Come? Rendendosi  appetibile.  E come si rende appetibile una moneta?  Con la forza della propria economia.  Ora, altra cosa che il professor  Savona conosce molto bene  è che l’economia italiana ha precisi limiti storici,  materiali  e strutturali: capitalismo con  tratti ancora arcaici, scarse risorse naturali, bassa etica del lavoro.  Di forza  ne ha poca. 
In queste condizioni,  si anche può stampare tutta la moneta di questo mondo, ma poi sono  gli altri attori economici a determinarne il valore. Sulla base, ripetiamo, della legge della domanda e dell'offerta. 
Perciò il problema non è l’Euro, che anzi mette l’Italia in condizione  di godere di una moneta forte e abbastanza stabile, ma le condizioni strutturali dell’economia italiana, che seguono un trend secolare, che  non si può cambiare a colpi di bacchetta magica, “creando denaro dal nulla”. E che a crearlo sia la Banca d’Italia, privata e semiprivata o la  mitica  Banca di Stato, non significa e non cambia nulla.
Naturalmente, esistono dei modi extra-economici per rafforzare la propria moneta. Il primo è quello delle conquiste militari, sconfiggendo e sfruttando i paesi sottomessi. Questa fu la strada di Hitler. Il secondo è quello dell’autarchia, ci si chiude al mondo e all’interno si sostituisce  il denaro, con il baratto o con lo scambio di  merci (più o meno sublimato) tra i diversi  settori dell'economia nazionale. Anche questa strada fu  tentata all’inizio  da Hitler, ma poi abbandonata,  perché implicava un  isolamento che non aiutava lo sviluppo dell’economia tedesca. E così Hitler, decise di prendersi con la forza  ciò che riteneva spettasse al popolo tedesco.
Come si può capire,  la moneta è una cosa seria. Il suo meccanismo dal punto di vista  sociologico riflette un concetto di giustizia retributiva reale:  ogni moneta riceve, come  valore, ciò che merita, secondo una scala di forze reali.  Insomma,  quel che essa merita  rinvia alla posizione di una  nazione nella divisione internazionale del lavoro. C’è chi è arrivato prima, chi è arrivato dopo. Chi ha più risorse naturali, umane, morali.  Chi meno. E così via. Il che, naturalmente,  determina monopoli e oligopoli economici e all'occorrenza fenomeni speculativi.  L’uguaglianza non è di questo mondo. Come del resto l'imperativo etico kantiano. E il mercato inevitabilmente assorbe, come una spugna. Ma, ecco il punto, a decidere, in ultima istanza, è sempre la legge della domanda e dell'offerta. Insomma, un principio retributivo, reale.
Certo, si può forzare il meccanismo, fino a distruggerlo,  puntando sulla guerra e/o l’autarchia, evocando principi morali di giustizia redistributiva astratta. Ma se non si hanno le risorse militari  e materiali  si rischia di ritrovarsi più poveri di prima.  Mussolini, docet.  
Schacht a un certo punto capì che a Hitler non bastava più l’autarchia e che avrebbe portato la Germania alla rovina, e  fece un passo indietro. Di conseguenza   venne emarginato dal regime.
E anche questa  è una lezione  che il professor  Savona dovrebbe conoscere bene. O no? 

Carlo Gambescia           
                     

   

venerdì 25 maggio 2018

Premessa all'articolo di Teodoro Klitsche de la Grange
"Servilisti" di chi?  
Dei "sovranisti"...
di Carlo Gambescia






Pubblico l’ articolo dell’amico Teodoro Klitsche de la Grange,  pur non condividendo la sua analisi. Di qui, la necessità di una premessa.  Quali sono i punti di di disaccordo?
Diciamo che  l’Unione Europea non è l’Impero Austro-Ungarico. Detto altrimenti:  il Congresso di Vienna era una cosa, i Trattati di Roma un’altra.  Nel primo caso i popoli  furono veramente trattati come mandrie di buoi.  Nel secondo caso, siamo invece  dinanzi  all'esercizio di un  atto libero. O comunque davanti a  una sacrosanta  risposta, liberaldemocratica, alla "guerra civile europea" provocata dal nazional-imperialismo nazi-fascista e sovietico. Frutto, quest'ultimo,  di un  odio  per ogni diversità, che non ha nulla a che vedere con il Risorgimento italiano. Al riguardo  si pensi  agli ottimi  libri di  Namier e Chabod (un polacco naturalizzato britannico e un valdostano), dove si distingue assai bene tra spirito di nazione e nazionalismo, tra risorgimento nazionale  e  stato come serbatoio della razza o della classe. Pertanto, a proposito di San Tommaso direi che  un' elegante astrazione di filosofia politica, resta tale.  Quindi, pur con tutto il rispetto dovutogli, lascerei il Dottore della Chiesa  alle sue teorizzazioni astoriche e asociologiche, se non proprio antistoriche e antisociologiche.
Inoltre,  è vero che Salvini e Di Maio non vogliono occupare l’Albania o  Tripoli. Per ora, però. Perché non va dimenticato che populismo e leghismo, alle cui fonti avvelenate  i due politici attingono, sono l'ennesima reincarnazione, con variazioni contestuali sul tema,  del romanticismo politico fascista e nazista.  Quindi si tratta di puro  occasionalismo. Insomma, semplificando,  all'occasione, per dirla con Totò,  potrebbero sconsideratamente  " buttarsi"  in avventure politiche più grandi di loro.  
Infine, su Vittorio Emanuele Orlando sarei più cauto.   La pur meritoria classe politica liberale  - di cui Orlando, Presidente di una vittoria nella Quarta Guerra d'Indipendenza secondo la lezione dell'interventismo liberaldemocratico, era insigne esponente -  strizzò  però l’occhio a Mussolini, gettando  alle ortiche le libertà statutarie. Sicché,  molti liberali, pur comprendendo  quasi subito l'errore commesso, accettarono l’abbraccio liberticida delle camicie nere. Orlando, a dire il vero,  di lì a poco,  si rese conto  di  aver  confuso la dittatura vera di Mussolini con quella parlamentare di  Crispi e Giolitti. Però anche quello fu un atto di servilismo, degli eredi di Cavour,  verso un vincitore. Un atto di sottomissione, come dopo la Marcia su Roma,   che  a differenza del Trattato di Pace del 1947  al quale  seguì una fase di ricostruzione, crescita economica e sviluppo delle libertà,  pose le basi storiche della successiva rovina.  E, indirettamente, della  sconfitta e del conseguente severo trattamento politico da parte delle potenze vincitrici.
A tale  proposito,  è bene ricordare  agli antiamericani nostrani, di ieri come di oggi, tra i quali ritroviamo molti "sovranisti" (quando si dice il caso...),   che  sovietici e  britannici, a differenza degli Stati Uniti,  volevano imporci condizioni  molto più dure.  Certo, anche l'Atlantismo, dal punto di vista, teorico, se si vuole astratto, rappresentò una forma di sudditanza geopolitica, quindi si   trattò comunque  di male. Ma - attenzione -   di male minore ( e qui, il De malo dell'Aquinate, se proprio si desidera scomodarlo, forse potrebbe dirci qualche cosina...), considerato il tipo di vita che si conduceva nell'immenso campo di prigionia  delimitato  dalla Cortina di Ferro.  E comunque sia,   sempre meglio del male assoluto, rappresentato da Hitler e dai suoi carnefici in uniforme bruna.   
Concludendo (con un amichevole appello), caro Teodoro,  tu sei liberale come me. Pertanto, cerchiamo insieme di evitare gli stessi errori. Fascisti, razzisti e  sovranisti  lasciamoli al loro destino. Evitiamo "noi", con la nostra cultura e intelligenza,  di fare da "servilisti" a certa gentaglia politica. Evitiamo, insomma, di tirare la volata  (intellettuale) ai nemici della libertà.        

Carlo Gambescia




***

La riflessione
Sovranisti e "servilisti"

di Teodoro Klitsche de la Grange




Da qualche anno, da quando sono stati coniati i neo-logismi sovranismo e sovranista (probabilmente dal francese) il pensiero “politicamente corretto” (e relativi pensatori) si è lanciato in una, per esso abituale, opera di screditamento e demonizzazione. Sovranismo sarebbe un’ideologia guerrafondaia (??), passatista, dittatoriale, egoista e così via. I sovranisti poi demagoghi, ignoranti, cattivi, maleducati e cafoni (oibò!)
Sarebbe facile screditare questa ennesima campagna di (preteso) discredito con cui la classe dirigente in decadenza cerca di arrestare il volgere degli eventi, tutt’altro che propizi a quella, quanto favorevoli alle élite cafone. Un paio di perché – e un suggerimento (ripreso da fonte autorevole) - vorrei comunque proporre.
Il primo: a leggere la Treccani il significato di sovranismo è di “Posizione politica che propugna la difesa o la riconquista della sovranità nazionale da parte di un popolo o di uno Stato, in antitesi alle dinamiche della globalizzazione e in contrapposizione alle politiche sovrannazionali di concertazione”.  A seguirlo, bisogna cominciare con lo svalutare del tutto il nostro Risorgimento, e buona parte della storia moderna. I costruttori dello Stato nazionale italiano (da Cavour a Garibaldi, da Vittorio Emanuele II a Mazzini), forse non erano dei damerini (il Savoia era anche un po’ grossier) ma sicuramente non avrebbero acconsentito – il Piemonte prima, l’Italia poi tanto da fare quattro guerre all’uopo – che in nome di qualche idea, si fosse limitata l’indipendenza dell’Italia. Se per Metternich l’Italia  era un’ “espressione geografica” per loro era una comunità politica. E per esserlo doveva avere l’indipendenza (dalla volontà) e dagli interessi di altre potenze (e popoli). Del pari non avrebbero mai preteso di occupare Vienna, Praga, Lubiana o Zagabria (tant’è che neppure con lo sfascio dell’Impero asburgico lo fecero), neppure con la giustificazione di qualche ideale cosmopolita. Dato che, a ben vedere, il cosmopolitismo rientra nella classe delle alternative al patriottismo.
La seconda: le più interessanti e centrate definizioni di ciò che è la libertà, politica in specie, l’ha date S. Tommaso.
Come ho scritto in un precedente articolo per Rivoluzione liberale (Sovranismo e libertà politica) l’Aquinate sosteneva che è libero chi è causa di se (del suo): liber est qui causa sui est; e per chiarire ulteriormente definiva  servo chi è di altri (servus autem est, qui id quod est, alterius est).
Applicando queste due asserzioni di S. Tommaso non sono né libere, né comunità perfette quelle che giuridicamente e politicamente dipendono da altri e pertanto non hanno la piena disponibilità di determinare i propri scopi né i mezzi per conseguirli.
Per cui liberarsi da quella condizione di dipendenza è il requisito minimo per poter decidere del proprio destino. L’inverso è sopportare che lo decidano gli altri: come spesso capitato nella recente storia nazionale. Dato che né Di Maio né Salvini vogliono occupare, neppure Tripoli e Tirana, ma solo evitare di subire troppi condizionamenti in casa nostra, non sono dei pericolosi aggressori e guerrafondai.
Ciò stante passiamo al suggerimento.
Diceva Vittorio Emanuele Orlando in un famoso discorso pronunciato alla Costituente, chiedendo che l’assemblea non ratificasse il Trattato di pace: “considerate almeno questo lato della decisione odierna, il significato di questa accettazione, che avviene in un momento in cui essa non è necessaria; onde il vostro voto acquista il valore di un’accettazione volontaria di questa che è una rinuncia a quanto di più sacro vi è stato confidato dal popolo quando vi elesse: l’indipendenza e l’onore della Patria… Questi sono voti di cui si risponde dinanzi alle generazioni future: si risponde nei secoli di queste abiezioni fatte per cupidigia di servilità”.
Seguendo l’indicazione del Presidente della vittoria, non sarebbe il caso di cominciare a chiamare gli anti-sovranisti, mutuando l’espressione di Orlando: “servilisti”?
Teodoro Klitsche de la Grange


Teodoro Klitsche de la Grange è  avvocato, giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (  http://www.behemoth.it/ ). Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va lo Stato? (2009),  Funzionarismo (2013). 

giovedì 24 maggio 2018

Quel che ignorano i commentatori
Un tranquillo governo di paura…

Un applauso (si fa per dire)  al professor Giuseppe Conte.  Crediamo  che  nella storia della Repubblica nessun Presidente di Consiglio, dopo aver ricevuto l’incarico (seppure, secondo prassi con riserva)  si sia definito “avvocato del popolo italiano”.
Attenzione, cosa più grave, si è proclamato tale,  non un comune professore, un tecnico, magari capitato per caso al Colle, ma il candidato prescelto di un governo che vede insieme l’estrema destra razzista  e il peggiore,  e purtroppo più forte,  tra i pur pericolosi populismi europei.
Pertanto dichiararsi  "avvocato del popolo italiano"  (per inciso,  un carica del genere esiste in Albania, paese,come noto, dalle solide tradizioni liberali),  è un vero e proprio atto politico che indica una rottura politica e istituzionale con i precedenti governi.
Ovviamente, commentatori e osservatori  politici, di regola pigri -  basta scorrere i giornali -   minimizzano, indorano, riducono   tutto a pettegolezzi e retroscena, all’insegna di un soporifero  "aspettiamo e vediamo", come si trattasse di un governo normale.  In realtà, le cose, non stanno così, l’Italia, unico paese,  tra gli stati  che firmarono i Trattati del 1957, di più antica fede e europea, liberale  democratica,  rischia sulla sua pelle  di trovarsi invischiata in un esperimento politico dalle conseguenze devastanti. Per citare un film cult, stiamo andando incontro,  gaiamente, tra frizzi e lazzi dei comici televisivi, come tra vecchi amici,  a un tranquillo governo di paura… La marea populista si prepara a sommergere ogni cosa.
Probabilmente,  non si è ancora  capito,  che, come sul piano nazionale, Roma e Torino,  si è messo  in moto un meccanismo fotocopia:  quello del  “Loro contro i Nemici del Popolo". Sui quali, ogni volta far ricadere  - il modello Raggi è esemplare -  le colpe dei propri errori.  Per andare  avanti in modo autistico. L’appello al popolo,  di cui ci si dichiara difensori unici, esalta certa vanagloria italiana, fino a quando, ovviamente, non metterà  in discussione, come dicevano i nonni, i mezzi per procacciarsi pranzo e cena. Per ora, nonostante i piagnistei mediatici,  le riserve economiche delle famiglie  ci sono, eccome.  Infatti,  si  resta a guardare, gustandosi   la merenda  che ci si è portati da casa. Le scorte ci sono. Il che significa, tra l'altro,  che l’esperimento potrà durare. Fino a quando ovviamente non usciremo dall’Europa. Poi cominceranno i guai veri. Perché ai danni causati  dal governo giallo-verde andranno a sommarsi le svalutazioni a catena della "nuova lira". Dopo di che, certo, potremo  stampare  tutta la moneta di questo mondo,   però poi il valore del  cambio sarà attribuito dai mercati che - euro-buro-tecnocrati o meno -   giudicheranno i costi comparati del lavoro, l'evoluzione del tasso di inflazione, l'ammortamento della spesa pubblica crescente e  il  fiscal drag.
Insomma, tra il futuro  governo  e i precedenti sembra esserci  una differenza di specie non di grado. Quindi, tutti coloro  che presentano l’ascesa dei pentastellati come un normale avvicendamento e "aureolano" le imprudenti scelte di Mattarella, per adottare il linguaggio grillino,  si comportano, “Loro”,  da veri nemici del popolo. Ma guai a dirlo.  
Del resto, al di là delle minoranze  organizzate sui Social  e nel Paese,  soprattutto,  i protagonisti invisibili, insomma  gli italiani, sembrano ignorare del tutto la gravità del momento. Sere fa,  a cena con amici, uomini e donne,  impiegati, professionisti, pensionati, imprenditori,  di tutto si è parlato (vacanze, televisione, cinema, specialità culinarie, calcio), eccetto che di politica.  E in modo naturale, senza sforzi, per così dire.   
Per metterla nei termini di una sociologia impressionistica, in quante altre riunioni conviviali, la stessa sera,  non  si è parlato politica? E quella prima?  E quella dopo  e ancora dopo?  E  così via… Il ceto  medio, che rappresenta il nocciolo duro e produttivo  del  sociale, vive, ormai, disilluso,  come se la politica non lo riguardasse. Però la politica  va  avanti ( o meglio, indietro...). E  populisti e razzisti ora sono a un passo dal potere.  
Ma i politici non sono da meno,  soprattutto quelli che dovrebbero fare opposizione.  La risposta di Renzi alle dichiarazioni di Conte (“Lui avvocato del popolo, il Pd  parte civile”), indica che  si è scelto di opporsi al populismo  puntando  sul  populismo al cubo.  O peggio ancora, con le battute. Per dirne un’altra, Forza Italia e  Fratelli d’Italia hanno criticato il Contratto di Governo giallo-verde perché  non prevedeva finanziamenti pubblici per il Mezzogiorno…
Concludendo,  al problema del governo populista si somma il problema di un’opposizione, che oltre ad essere incerta e divisa, gioca al ribasso, sventolando, a sua volta,  la bandiera populista.
Potrebbe finire male. Molto male      

Carlo Gambescia

                                        

mercoledì 23 maggio 2018

Salvini il playboy  (fallito) della politica
Purché respirino



L’ultima dichiarazione di Matteo Salvini è  tragicomica:  “O si cambia l'Italia, o si vota”.
È tragica, perché rivela, in un passaggio istituzionale delicatissimo,  tutta l’  insufficienza dell'uomo politico:  superficialità  e mancanza di visione;  comica, perché evoca un  “qui si fa l’Italia o si muore”  garibaldino, che, probabilmente, Salvini,  più che dalle Noterelle  dell’Abba, ha rubato all'orecchiabile  “Cuoco di Salò”  del cantautore De Gregori. 
Votare, senza una legge maggioritaria, non serve a nulla.  Possibile che Salvini non capisca? Si dirà che siamo dinanzi  soltanto alla solita  minaccia  politica.  Certo, ma  per andare dove? A fare l'Italia, come nel 1860.  No,  al  governo, per sfasciarla, l'Italia.  E  con i populisti di Casaleggio e  Di Maio.
Salvini nella sua vita politica ha avuto una sola  grande intuizione:  quella di trasformare la Lega in partito nazionale. Però, ecco il punto, troppo spostato a destra.  La fotografia della situazione italiana l’ha ben fotografata ieri il quotidiano “Libération”, che parla  di un’alleanza tra estrema destra e populisti. Un mix  antisistema da esplosione atomica. Dell’Italia.

Purtroppo, la deriva inevitabile, perché, come si usa dire oggi, la narrazione politica di  Salvini  è quella degli spostati di estrema destra: lotta al sistema,  abbasso il capitalismo e gli americani, prima gli Italiani, fuori tutti gli altri.
Salvini, invece di comportarsi in modo responsabile, da leader di una destra, liberale e moderata,  capace di guardare lontano alla costruzione di un destra sul modello del Partito Popolare spagnolo, si è tramutato nel primo  propagandista di una visione  totalmente falsa della situazione italiana, pauperista e piagnona,  vellicando,  quel che  è peggio, gli istinti razzisti degli italiani.
Un vero lazzarone politico, consacratosi alla cattiva arte del tanto peggio tanto meglio,  pur di  conquistare - stupidamente -  il potere a qualsiasi costo.  Ecco  il suo punto debole: la smania di  andare a Palazzo Chigi, o comunque di arraffare per sé  un dicastero politico importante ( e di riflesso per i suoi sodali).  Il che spiega la proposta indecente  di allearsi con Di Maio.
“Purché respirino”, insomma.   Come si suppone,  ragionino,  certi playboy  non proprio di alto bordo, quasi falliti,  a caccia di ottantenni. Possibilmente ricche.  Perché l’importante è  “piazzarsi”. Tradotto:  agguantare il potere, anche in condominio, poi si vedrà...
Si dirà che è scorretto,  ridurre complesse dinamiche politiche alla pura e semplice sete di potere individuale.  Non sempre. Perché nel caso di Salvini, un uomo che professionalmente ha sempre vissuto di politica, diventare Ministro a quarant’anni,  è  il conseguimento  di un risultato professionale agognato fin dall’inizio della carriera. Il trionfo e l'estasi di uno che  ha cominciato attaccando manifesti. 
Non ci si lasci incantare dal suo atteggiarsi, davanti alle telecamere,  a purissimo  e nobile  difensore degli italiani. Recita.  Li usa.  Come ha usato la Lega, Bossi, e tutti quelli che ha incontrato sulla sua strada, compreso il  patetico Silvio  Berlusconi.  
Se si ama veramente l’Italia non ci si allea con chi la vuole distruggere, come i pentastellati.  E soprattutto, si guarda lontano: a buone leggi elettorali (maggioritarie),  nonché  a un partito, liberale nei programmi, capace di parlare a tutti gli italiani, soprattutto ai moderati, che sono tanti e non votano,  perché diffidano dei venditori di pop-corn  politici. 
Proprio come Salvini. 

Carlo Gambescia