Andrà sempre peggio. Per dirne solo una: neppure dieci giorni di caldo estivo (siamo a luglio) ed è già partito il tam tam, prima mediatico, poi politico. La gente piagnucola, i media rilanciano, i politici annuiscono e già si parla di emergenza, cassa integrazione e smart working.
Dov’è il problema? In una cosa che potremmo chiamare individualismo di stato. Cioè lo stato, che ormai si interseca con il governo (con ogni governo, destra e sinistra pari sono), come una enorme società assicurativa, che però attenzione non aspetta l’evento ma lo precede, si propone in automatico di tutelare ogni diritto individuale: l’ultimo è il diritto al fresco, definiamolo così.
Non si vuole lavorare perché fa caldo, un caldo stagionale? Perfetto, interverrà la cassa integrazione. Come si pagherà? Con l’inflazione, il debito pubblico, il prelievo tributario. La gente comune non si interroga sulle conseguenze del “diritto al fresco”, prevale la cultura dell’immediato. Si chiama anche democrazia emotiva. E’ la stessa che quarant’anni fa ha impedito a colpi di referendum (il top dell’irrazionalismo politico) che l’Italia conseguisse l’autonomia energetica basata sul nucleare.
L’individualista di stato, vuole, pretende, strepita, come il famigerato bambino che fa i capricci. E lo stato si regola di conseguenza, accorrendo subito con il costoso giocattolino della cassa integrazione. L’importante è che il bambino smetta di piagnucolare. Qualcuno pagherà.
Ovviamente lo stato ha il suo ritorno. Quello di perpetuare il domino sull’individuo. Con la scusa di aiutarlo. Per capirsi: si pensi allo stato, come a una enorme prigione, e al conseguente interesse del direttore e delle guardie carcerarie di tenere tutto in piedi, altrimenti perderebbero lavoro e stipendio.
Ovviamente, a differenza di un carcere, lo stato non può essere basato solo sulla costrizione, occorre anche il consenso. Quindi ben vengano i capricci. Di qui l’individualismo a mezzo servizio foraggiato dallo stato stesso con i soldi dei contribuenti, che – ecco il grande mistero della stupidità umana – ritengono persino giusto farsi tosare. Altrimenti, come talvolta si legge, che ne sarebbe dei nostri diritti… Un versione, ovviamente, accreditata dallo stato stesso.
Dicevamo individualismo di stato. Perché? Per una semplice ragione: il vero individualismo punta sulla difesa dei diritti di proprietà e sul concetto del tributo come concessione e non come dovere. Il falso individualismo invece vuole fare la rivoluzione con il permesso dei carabinieri e dell'agenzia delle entrate.
Solo un esempio. Si pensi alla questione delle limitazioni alla circolazione automobilistica nelle grandi città. Il vero individualista si appella al diritto di proprietà, perché vietare la circolazione alle vetture “più vecchie” è una vera e propria limitazione del diritto proprietà: una lesione gravissima alla proprietà individuale.
Invece il falso individualista pretende un finanziamento pubblico per comprarsi la vettura nuova. Il vero individualista crede nella libertà, per la quale si farebbe uccidere, il falso individualista chiede protezione e assistenza, rinunciando alla libertà.
Si dirà che sono questioni di lana caprina. In realtà, dietro le “chiacchiere” filosofiche, si cela una domanda fondamentale: dove prenderà lo stato i soldi per finanziare l’acquisto di nuove vetture, la cassa integrazione, eccetera?
Qui cade l’asino. Dove prenderà i denari? Come sopra: con l’inflazione, il debito pubblico, il prelievo tributario. Quindi la morsa fiscale e finanziaria intorno all’individualista di stato tenderà a stringersi sempre più, fino a soffocarlo. A quel punto la libertà sarà solo un lontano ricordo. Ecco perché, come dicevamo, se continua così andrà sempre peggio.
Possibile che non si capisca che nessun pasto è gratis? Che ciò che lo stato con un mano concede con l’altra sottrae? Che i bonus pubblici si pagano tre volte? Come contribuenti che “contribuiscono” al nulla; come cittadini oppressi dalle tasse; come schiavi di una devastante struttura burocratica finanziata dal cittadino stesso.
Il vero punto è che per essere individualisti, individualisti veri, serve coraggio. Il fegato di navigare in mare aperto, a proprie spese, in cerca di galeoni carichi d’oro spagnolo, come i corsari della Regina Elisabetta.
Purtroppo, come giustamente evidenziava il grande Manzoni, prendendo in giro Don Abbondio, curato piagnucoloso, “il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.
Ecco l’individualista di stato è come don Abbondio. E lo Stato? Come Don Rodrigo.
Carlo Gambescia
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