sabato 15 luglio 2023

Kundera, un disertore del nulla

 


Abbiamo letto di polemiche su Milan Kundera a proposito di sue presunte delazioni al tempo del comunismo. Altre critiche sono state mosse al cantore di certo libertinismo letterario… E non solo…

Non è questo il punto. Il privato è privato. L’uomo deve vedersela con se stesso. Si chiama esame di coscienza.

Purtroppo oggi non si usa più la categoria del decadentismo letterario, perché in Italia maleodora di crocianesimo. L’accusa di decadentismo è passata di moda. E con Croce è stato relegato in soffitta anche Praz, al quale si deve il migliore libro sulle miserie del decadentismo: La carne, la morte e diavolo nella letteratura romantica. Unitamente all’estroversa Camille Paglia, a momenti delirante ma che comunque va letta. In particolare: Sexual Personae. Arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson.

Per quale ragione non si parla più di decadentismo? Semplice. Comandano i decadenti. Se si dovesse trovare un elemento che distingue la letteratura contemporanea è quello della fine della speranza. Verso che cosa? Versò ciò che l’uomo occidentale ha realizzato nei secoli moderni, e in particolare nel XIX secolo.

Che cos’ è la speranza? È un sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera, ci dicono i vocabolari. Tanto più grande quanto più si ha fiducia nel valori che hanno fatto grande un’epoca.

Nel caso della nostra civiltà: libertà di pensiero, libertà economica, diritti di proprietà. Parliamo di un individuo forte: corsaro, imprenditore, conquistatore e fondatore di colonie, scienziato, guerriero e astronauta.

Ora il decadentismo è l’esatto contrario di tutto questo. Si guarda alla nostra civiltà come al Titanic. A qualcosa che rischia di andare a fondo da un momento all’altro: qualcosa di decadente, per l’appunto.

Di qui una specie di letteratura per uomini e donne  che vivono gli ultimi giorni dell’umanità, per citare un titolo famoso. Una riflessione che si compiace del male e che ci riporta alla cosiddetta cultura mitteleuropea nelle sue varie diramazioni, letterarie, musicali, figurative, filosofiche, eccetera, anche internazionali: Schönberg, Loos, Musil, Kokoschka, , Schnitzler, Rilke, von Hofmannsthal, Kafka, Kraus Svevo, Singer, Roth, Canetti, Wittgenstein e altri ancora.

Autori non manchevoli di certo virtuosismo soprattutto sul piano del frammento, che tuttavia non sono altro che i compiaciuti cantori della decadenza. E Kundera appartiene a questo mondo.

Una “ronde” letteraria, per restare in tema, che ha commesso il grave errore di confondere – semplifichiamo – la fine degli Asburgo con la fine dell’Occidente. Autori che si piangono addosso, ma con un occhio solo: fiumi di parole sul senso di perdita d’identità dell’individuo, nell’illusione però di prolungare la fine, per strappare alla realtà qualche attimo di appagamento, di piacere, di cedimento di abbandono. Scrittori, pittori, musicisti, filosofi che disertano. Poiché, dicono,  la realtà è nulla.

Sotto questo aspetto potremmo definire Kundera un disertore del nulla.

Carlo Gambescia

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