Marcello Veneziani, politicamente parlando, è un brutto soggetto. Ma perché non ammette chiaramente la sua nostalgia per Mussolini e soprattutto per il fascismo? Nel quale, come Evola, vede la penultima incarnazione, per quanto imperfetta, del mondo della Tradizione. (Che l’ultima sia rappresentata da Giorgia Meloni? Verso la quale Veneziani lumacheggia? Ma questa è un’altra storia….).
Il suo ultimo libro è illeggibile: un inno alla rivolta contro il mondo moderno. Va pure detto che Veneziani è un soggetto contraddittorio. Perché nel mondo moderno si è incistato molto bene. Diciamo una specie di Unabomber (per contenuti intellettuali, ci mancherebbe…), che però va in città, si urbanizza. Invece di rinchiudersi tra le montagne.
Gli piacerebbe – e in passato forse ha tentato – la “tribunetta” sul “Corriere della Sera”. E può darsi che con Cairo e i tempi che corrono questa volta gli riesca. Se Evola consigliava di cavalcare la tigre, Veneziani amerebbe cavalcare il “Corrierone”. A ciascuno secondo i suoi meriti.
Però chiunque lo legga con continuità – cosa che la sinistra non fa, evidentemente per pigrizia – non può non accorgersi del fondo reazionario delle sue idee. Pertanto, anche per il cerchiobottismo del “Corriere della Sera”, l’impepata Veneziani potrebbe essere dura da digerire.
Anche perché invecchiando peggiora. E così si tradisce, rivelandosi ancora più nostalgico di una specie di età della pietra politica, dove ognuno stia finalmente al suo posto: il figlio del ciabattino faccia il ciabattino, del muratore il muratore, eccetera, eccetera. Perché la pseudofilosofia della tradizione ha un fondo castale. A intellettuali come Veneziani piace soprattutto la gerarchia. Che cos’è il “Dio, Patria e Famiglia” che tanto difende? Se non l’ennesima versione di una visione gerarchica e patriarcale della società?
L’ultima è di oggi, sulla “Verità”, giornale altrettanto illeggibile. Veneziani, coglie l’occasione del bombardamento su Roma degli alleati il 19 luglio del 1943 per attaccare il "Grande Satana" ( così è per ogni vero tradizionalista da Khomeini a Veneziani): gli Stati Uniti, ai quali imputa, non solo la caduta del fascismo (perché una settimana dopo Mussolini venne dimissionato), ma l’Otto Settembre, quindi il “tradimento” dell’alleato nazista e, cosa gravissima, il conseguente disarmo morale, che, si badi bene, perché la stecca viene dal legno, in ogni sezione missina, fin dal 1946, si è addebitato, con gli interessi, alla Repubblica.
Ora, basta aver letto De Felice per scoprire che la caduta di Mussolini era nell’aria da almeno un anno. Il bombardamento su Roma nulla tolse nulla aggiunse: la guerra dell’Italia andava a rotoli da un pezzo. Mussolini, nonostante stivaloni e parole d’ordine, si mostrava ogni giorno di più totalmente inadatto a condurre la guerra.
In secondo luogo,il cambio di cavallo in corsa (Armistizio, Otto Settembre, eccetera), rinvia non alle bombe americane, ma alla diffidenza verso i tedeschi che dall’Unità in poi rappresentò almeno uno dei filoni della politica estera italiana (Veneziani legga Chabod, che non è un vino valdostano, ma un grande storico).
Il che spiega anche la diffidenza antica di alcuni fascisti, come Ciano e Grandi ma anche del Re verso l’alleanza, non solo con Hitler, ma con la stessa Germania, diffidenza diffusa anche a livello popolare, e vi sono i rapporti dei prefetti a provarlo (su queste forze profonde che dominano la politica estera degli stati, Veneziani legga Renouvin, che non è una marca di profumo francese, ma un grande storico delle relazioni internazionali).
Quell’alleanza non si doveva fare. E visto che dobbiamo parlare di dittatori, gente che piace a Veneziani, sembra che Franco, il caudillo spagnolo, che invece rifiutò fino all’ultimo le profferte di Hitler, avesse detto a Mussolini di diffidare del Führer.
Franco, restò in sella fino al trapasso, anno di grazia 1975. Morì nel suo letto, dopo aver modernizzato la Spagna. Mussolini invece finì appeso a testa in giù nel 1945.
Detto altrimenti, così Veneziani capisce: c’è dittatore e dittatore. Gli errori si pagano. Altro che bombe su Roma…
Carlo Gambescia
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