lunedì 31 luglio 2023

Homo Ansiosus, alle origini della società dell’ansia

 


Oggi Alessandro Campi sul “Messaggero” scopre la società dell’ansia. Vi risparmio le banalità e i soliti giochini di parole per salvare la destra di governo, giudicata invece in linea di massima non ansiogena.

Campi, tra gli altri valori, butta dentro l’editoriale dio, patria e famiglia con altra terminologia s’intende: valori aggrediti, si legge, dalla società dell’ansia… Sarà pure così. Ma guarda caso sono gli stessi valori difesi da Fratelli d’Italia.

Non è però di Campi che intendiamo parlare. Ma di altro. Quando è nata la società dell’ansia? Ecco il vero punto interessante.

Quasi una quarantina d’anni fa uno studioso tedesco, un sociologo, Ulrich Beck, scrisse un libro molto interessante sulla società del rischio, in pratica sulla società aperta di popperiana memoria. Beck interpretava, saggiamente, come un’opportunità, la fiammata liberale che negli anni Ottanta aveva portato sangue nuovo nelle politiche economiche, persino in Italia.

Quasi  nessuno  lo contestò.  Se non isolati gruppi di studiosi neomarxisti, grumi di  tradizionalisti,  sparuti  attivisti verdi.  Negli anni Ottanta la società  occidentale   - base e vertici -   non si era ancora ammalata di ansia. 

Però lo stesso anno, il 1986, in cui uscì La società del rischio di Beck, andò in onda a reti unificate, ma in senso mondiale, il disastro di Chernobil: errore umano, ma artatamente esteso, dai nemici della società rischio alla tecnologia nucleare. Addirittura in Italia nel novembre del 1987 si fece un referendum e vinsero gli antinuclearisti  sull’onda della peggiore democrazia emotiva.

Nel 2020, meno di tre anni fa, l’epidemia di Covid, pardon pandemia, e le tremende misure restrittive varate da quasi tutti i governi, sulla scia di emozioni incontrollate (per “salvare l’umanità" si disse), sanciscono l’ingresso definitivo nell’era dell’ansia. Tutto il resto è storia contemporanea.

Cosa è accaduto tra il 1986 e il 2020? Perché e come dalla società del rischio siamo passati alla società dell’ansia?

Un passo indietro. Alla fine degli anni Ottanta, primi anni Novanta (si pensi al Leghismo in Italia), si sviluppò un fenomeno politico, poi molto studiato: il populismo.

Per capire in che cosa consiste il populismo, soprattutto sul piano del linguaggio, cioè della retorica dell’intransigenza, consigliamo di rileggere le prime cento pagine della Guerra civile Europea (1917-1945) di Ernst Nolte.

Per quale ragione? Per scoprire che tipo di terribili insulti, a largo raggio ansiogeno, nazisti e comunisti si lanciarono gli uni contro gli altri armati, e tutti insieme contro la Repubblica di Weimar, poi abbattuta da Hitler, con il voto dei tedeschi in preda all’ansia.

Purtroppo le radici populiste del crollo di Weimar sono poco studiate. Populismo che da allora sarà il padre di tutti i populismi, emotivi per eccellenza, ripetiamo.

Cosa vogliano dire? Che il populismo, sposato con entusiasmo dalle destre estreme e condiviso, obtorto collo o meno, anche dalle sinistre, è il principale responsabile della società dell’ansia. In fondo che cos’è il populismo se non il diffondere timori ingiustificati? A destra, sui migranti  e  sul complotto mondialista? A sinistra, sul pianeta affamato e condannato a morte dall’ideologia mercatista?  Per poi fornire risposte preconfenzionate, autoritarie a destra, stataliste a sinistra?

Molti si sono dimenticati che politici come Giorgia Meloni e Matteo Salvini nel marzo del 2020, sull’onda della democrazia populista ed emotiva, chiesero al governo di imporre misure ancora più restrittive.

La società dell’ansia – ecco il punto fondamentale – è lo sbocco naturale di più di trent’anni di veleno populista. Cioè di una politica emotiva giocata sulla paura diffusa e sull’insorgenza di uno stato permanente di ansia collettiva.

L’ansioso, in politica, non ha tempo per ragionare, mediare, eccetera, è travolto dalle emozioni, vuole risposte immediate, come capita nelle piazze mediatiche. L’Homo Ansiosus(ci si perdoni il latino maccheronico) è disposto a tutto pur di avere un attimo di tregua. Soprattutto ha bisogno esistenziale di un capo: di qualcuno che pensi per lui, lo rassicuri, lo tratti come una specie di bambino bisognoso di protezione, “coccole” e “pappa”.

Se la società del rischio premia e valorizza un individuo forte, sicuro di se stesso, la società dell’ansia produce individui invertebrati e capi carismatici.

La principale diversità tra la società dell’ansia di oggi e quella di Weimar, consiste nell’assenza di “uomini della provvidenza”, diciamo di tipo criminale come Hitler.

Per ora.

Carlo Gambescia

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