Davanti, ai “casi della vita”, come li chiamava il nostro vecchio portinaio, quando si atteggiava a scettico blu, si possono individuare tre reazioni sbagliate. La prima: si maledice se stessi; la seconda: si maledicono gli altri. Oppure, la terza, si maledicono tutti: se stessi e gli altri.
Comunque sia, si sbaglia obiettivo. Perché maledire non serve a nulla. La vita va a presi a morsi, e impone la riflessione sui propri errori. Solo così si può andare avanti. Per essere ciò che sì è, che poi è ciò che si vuole diventare. Significa avere uno scopo nella vita. Scopo, ovviamente realistico, rapportato alle proprie capacità. Ecco perché serve l’esame di coscienza. Maledire, ripetiamo, non serve a nulla.
Quelli che maledicono gli altri di solito sposano le cause politiche estreme. Odiano il “sistema” perché ritengono di scorgervi le radici del proprio fallimento. Un fascista, un comunista, un verde, come pure un pacifista e al lato opposto un nazionalista bellicista, il più delle volte hanno alle spalle biografie fallimentari.
Attenzione però: Hitler, che da imbianchino diventò potente dittatore, incarna la figura del fallito di successo. Perché, i famosi casi della vita, le altrui debolezze, i rovesciamenti politici e sociali, possono portare il fallito in alto. Sullo stato di frustrazione morale di un Lenin in esilio a Zurigo, senza arte né parte, Solženicyn scrisse pagine memorabili.
Poi magari l’ex frustato, al potere per caso, ne combinerà di tutti colori, come accaduto ai deputati e ministri Cinque Stelle in Italia. Ma si pensi anche allo stesso Mussolini: in pratica, prima un maestro fallito, poi un giornalista che aveva perso il lavoro, infine duce catastrofico.
Si prenda ad esempio chi in Italia e in Europa fa dichiaratamente tifo per la Russia. Sarebbe interessante un’indagine demoscopica mirata, estesa però alla condizione sociale degli intervistati e al loro percorso professionale.
Negli Stati Uniti ad esempio si giunse a stabilire un vero e proprio rapporto di causa ed effetto tra il “bianco povero” e il razzismo. Stesso discorso per l’antisemitismo. Il luogo comune dell’ebreo che gestisce un banco dei pegni, e per questo odiatissimo, rinvia alla letteratura antisemita.
Probabilmente il filorusso odia il sistema politico e sociale occidentale, nel quale non è riuscito a inserirsi, e scorge nell’esercito di Mosca il vendicatore delle sue frustrazioni sociali.
Sul punto specifico i ricercatori hanno stabilito un nesso tra ricorso alla violenza e frustrazione sociale. L’estremista è quasi sempre un frustrato.
E qui va fatta una precisazione importante: a prescindere dalla posizione sociale raggiunta, che come si è potuto notare in questo ultimo anno talvolta rinvia persino a quella del professore universitario, la frustrazione può anche essere squisitamente morale: si aspira al potere mescolato al successo, e si è disposti a sposare qualsiasi causa, pur di conseguirlo. Potere che viene rozzamente identificato, al tempo degli influencer, con qualsiasi posizione politica, purché faccia crescere i like e le presenze televisive. Insomma, che faccia rumore.
Riassumendo: esiste, ai vari livelli sociali, un nesso causale tra fallimento morale ( o comunque qualcosa di sentito come tale) e posizioni politiche estreme in senso antisistemico. Una frustrazione morale che accomuna Hitler, Fusaro e l' ultimo attivista che nasconde il proprio fallimento esistenziale dietro la Zeta di sostegno all’ “operazione speciale russa”.
Ai frustrati le nostre società, e giustamente, consentono la libera espressione del pensiero. Se vivessero in Russia e si opponessero all’ “operazione speciale”, come ci è stato riferito direttamente (non possiamo dire di più, per non mettere a rischio l’incolumità di queste persone), avrebbero già perso il posto di lavoro e sarebbero in galera.
Qui la differenza – fondamentale – tra l’Occidente e la Russia. Ma deterior surdus eo nullus qui renuit audire .
Carlo Gambescia
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