domenica 2 luglio 2023

I disordini in Francia: calma e gesso

 


Per capire la situazione francese, che in Italia desta sentimenti contrastanti (compiacimento e timore), va innanzitutto respinta l’ottica del piagnisteo da un lato come dall’altro: verso i giovani “ghettizzati” (sinistra), e verso i cittadini “normali” e i “poveri” poliziotti (destra).

In realtà siamo davanti a un processo storico e sociologico di inclusione, che come tutti i processi sociali procede con alti e bassi dilatandosi nel tempo.

Attualmente la Francia, si trova nella parte bassa del ciclo. Va detto che sul piano della psicologia sociale, se si vuole della mentalità, l’idea di inclusione implica nella gente comune, come per contagio, quella di esclusione. Che, insomma, qualcuno perda,qualcuno vinca. Il che impone sempre una lunga fase di adattamento sociale e politico, perché sulle inclusioni ci si divide. E sulle divisioni, se ci si passa l’espressione, “campano” le forze politiche esclusiviste (le destre, soprattutto se radicali) e quelle inclusiviste (le sinistre rivoluzionarie).

Le destre e le sinistre estreme rifiutano il concetto di alti e bassi nei processi di inclusione. Le prime puntano sull’ esclusione pura, le seconde sull’inclusione perfetta. In realtà, tra l’esclusione pura e l’inclusione perfetta esistono gradi intermedi che vanno gestiti con grande saggezza politica, ma anche con fermezza quando occorre.

Perciò in Francia, Macron, non può che rispondere in maniera decisa. Il che però significa contenere, attendendo che l’ondata di violenza rifluisca, perché ogni movimento collettivo, costituente, quando non riesce a raggiungere il suo scopo, da quello massimo dell’abbattimento del potere costituito, tende a rifluire. L’esempio del riflusso del movimento dei gilet gialli sotto questo profilo è calzante. Si tenga anche presente che la Francia ha grandi tradizioni di violenza politica, ma non tutte dello spessore del 1789. Quindi meglio evitare le generalizzazioni rivoluzionarie. Le si lasci ai rivoluzionari di professione (a destra come a sinistra) che proiettando i propri desideri sui fatti scorgono rivoluzioni dove non vi sono.

Il contenimento resta perciò l’arma migliore. Prima o poi si stancheranno. Si tratta di stringere i denti e serrare le file.

Anche perché la Francia è una società aperta e i processi di inclusione impongono tempi lunghi. Di qui la possibilità di manifestare, anche in modo violento, che riflette, non la crisi di sistema, che la destra radicale e la sinistra rivoluzionaria auspicano, ma un’ oscillazione verso il basso di un processo inclusivo all'interno di una società aperta, in cui la mobilità sociale premia i meritevoli e i  capaci. Una società  che non usa avvelenare o far sparire i suoi avversari. Certo, non è perfetta. Ma vi si avvicina. Diciamo tende.

Un processo che può richiedere anche un altro secolo. Si rifletta. L’urbanizzazione (in termini di mutamento di valori, comportamenti, eccetera) del mondo contadino, fenomeno che tra l’altro in alcune parti del mondo è ancora in atto, richiese in Europa, quasi due secoli, dalla metà del Settecento alla metà degli anni Cinquanta del Novecento. I processi di ”decolonizzazione”, che conducono alle banlieue hanno meno di settant’anni. Perciò l’assestamento sociale è ancora lontano.

Concludendo, come dicono i giocatori di biliardo, “calma e gesso”.

Carlo Gambescia

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