Oggi sul “Corriere della Sera” Galli della Loggia e Gramellini si lamentano dei politici (il primo) e dei turisti (il secondo), che, digiuni di storia, “imbrattano” per così dire aule parlamentari, banchi del governo e monumenti.
Galli della Loggia chiede si torni a insegnare, e seriamente, storia (e geografia) nelle nostre scuole e università. Gramellini, tra il serio e il faceto, propone per il turista medio un esame d’ingresso a quiz storici sui monumenti che sta per visitare.
Ma siamo così sicuri che la conoscenza, nel caso storica, produca automaticamente la virtù? Che l’uomo istruito sia anche un uomo morale?
In Occidente il culto della storia e il suo inserimento nei programmo scolastici sono un portato dei nazionalismi del XIX e XX secolo. Diciamo la verità: la sbornia nazionalista ha viziato lo studio e l’insegnamento della storia. Non ha formato uomini morali ma uomini armati, pronti a scannarsi sui campi di battaglia.
Naturalmente, dopo il macello del 1939-1945, la storia nazionalista fu giustamente pensionata. Però, da allora, cosa si è insegnato a scuola e nelle università? Non più la storia politica, molto pericolosa perché storia delle sole classi dirigenti e degli individui, ancora peggio se di genio, ma la storia sociale: la storia di tutti, in particolare delle classi subalterne sfruttate, si ripeteva e ripete gonfiando il torace.
Al nazionalismo, semplificando, si è sostituito il socialismo. Ovviamente, la grande negletta – e non parliamo solo dell’Italia – fu la storia antica. A che servono gli antichi Romani che – cosa non del tutto inesatta – erano biechi imperialisti? Ecco come egli educatori socialisti rispondevano alle critiche.
Sicché piano piano il combinato disposto tra storia sociale e ignoranza degli antichi ha prodotto il politico a Cinque stelle e il turista imbrattatore. Oltre a portare avanti una specie di vendetta, tuttora in atto, contro il nazionalismo in nome del socialismo. Si badi: il politicamente corretto - criticato dalle destre - non è che una reazione alla sbornia nazionalista in nome di un socialismo riparatore dei torti. Che poi non sia il socialismo di Marx, ma un protezionismo welfarista dei diritti sociali più disparati è la stessa cosa. E’ la società, via stato, che deve prevalere sull’individuo: principio “socialistissimo”,
Galli della Loggia e Gramellini ritengono che basti tornare a insegnare la storia a scuola, eccetera, eccetera. Ma quale storia? Quella sociale? O peggio ancora, come auspicano le destre, la storia nazionalista?
In realtà, si dovrebbe tornare a insegnare la storia politica, storia di individui, nel bene e nel male, creativi. Storia che in realtà si insegnava ancora nelle università fino al 1968.
In Italia, la si insegnava addirittura durante il fascismo, che nella sua ignoranza, non si rendeva conto che la vecchia tradizione della storiografia politica liberale sopravviveva, anche benino, intorno a Croce e ai suoi allievi, con propaggini nella storiografica economico-giuridica, che con Volpe, fascista e intelligente, non disdegnava la storia politica.
Dicevamo all’inizio di non essere certi che la conoscenza produca automaticamente la virtù. Confermiamo. In realtà, solo poche persone sono in grado di apprezzare e capire certe finezze civiche e civili legate alle imprese di pochi individui creativi e non di masse amorfe promosse a motore elettrico della storia.
Pertanto tornare a insegnare storia sociale, in primo luogo non servirebbe a nulla, perché la massa continuerebbe a non capire. E in secondo, lo studio della storia sociale andrebbe ad alimentare la lotta di classe e un cattivo senso antistorico delle ingiustizie subite.
La storia sociale, o comunque un certo modo socialista di insegnarla, continuerebbe ad alimentare quella cultura del politicamente corretto – così invisa alle destre - che, a sua volta, è il prodotto di una storia sociale-socialista del genere umano. Proprio come la storia nazionalista può essere ricondotta al fascismo e a un politicamente corretto di segno contrario.
Pertanto, la storia, almeno come la si insegna oggi, non è la soluzione ma il problema.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.