martedì 10 ottobre 2023

La sinistra e Israele

 


Perché la sinistra, quando si entra nel merito della questione mediorientale, non dà mai subito ragione a Israele?  Spesso tentenna,  parla  di responsabilità o colpe condivise. Come dire?  Sì, però, eccetera, eccetera... 

Si tratta di un atteggiamento diffuso, quasi un riflesso condizionato, che non crediamo sia frutto di antisemitismo, come nel caso dell’ estrema destra dalle origine fasciste, ma di un pacifismo diffuso e difeso dalla sinistra occidentale.

Solo per dirne una, Roma ha un sindaco, Gualtieri, che proviene dal partito comunista, di professione storico. Bene, ieri sera in Campidoglio, Roma, forse unica città europea, vedeva “proiettate” la bandiera israeliana e quella della pace.

Si dirà, un auspicio, eccetera. In realtà, il duplice sventolio, diciamo, rivela i limiti del pacifismo, che parte dal presupposto che si debba fare qualsiasi cosa pur di evitare la guerra, qualsiasi guerra, anche difensiva, come quelle di Israele, che – non si dimentichi mai – consta di una popolazione di neppure dieci milioni contro quasi quattrocentotrenta milioni di arabi.

Si rifletta. Invece di ammirare, la grandezza morale di questo popolo semita, che in migliaia di anni ne ha viste e subite di tutti colori, lo si dipinge di solito come un aggressore, come uno stato coloniale, come un corpo politicamente estraneo.

In realtà evocare la pace a ogni costo significa evitare di riflettere sull’incapacità di molti paesi arabi di modernizzarsi sul piano dei costumi, soprattutto politici. In realtà, se esiste un corpo estraneo, rispetto alla modernità, lo si può rivenire nel mondo arabo e in una religione, quella islamica (ovviamente condivisa anche dai non arabi), incapace, a differenza dell’ebraismo di comprendere la modernità.

Le vere radici culturali del conflitto tra israeliani e arabi sono nelle diverse reazioni storiche rispetto alla modernità.

Il pacifismo, in particolare della sinistra, focalizzato sull’idea di pace, tende invece a minimizzare la grande questione del rifiuto della modernità. Di qui una serie di razionalizzazioni (regolarità metapolitica che ritroviamo sempre) per enfatizzare la necessità di evitare qualsiasi differenza culturale pur di raggiungere la pace, che viene però presentata come il principiale obiettivo della modernità.

Il che però favorisce paradossalmente le reazioni negative dei fondamentalisti dei due schieramenti (moltissimi tra gli arabi, pochi tra gli israeliani) che scorgono nella modernità non solo il Cavallo di Troia dell’odiata secolarizzazione dei costumi, ma il veicolo di una inaccettabile pace quale conseguenza di una sconfitta culturale.

Una vera volontà di pace dovrebbe farsi precedere da una compiuta modernizzazione dei costumi economici, sociali e politici. Un processo evolutivo che riguarda principalmente gli arabi. In particolare la loro effettiva volontà di modernizzarsi.

Ciò significa che se la sinistra continuerà a far precedere l’idea di pace a quella di modernità, mai più uscirà dalla sua ambiguità verso Israele. Come far quadrare i conti di un impossibile dialogo tra  un uomo moderno e un uomo arcaico? Da una parte Israele, che celebra il Gay Pride, dall’altro il mondo arabo che giustizia “gli omossessuali”? Insomma, prima la modernizzazione, poi la pace. Questi i due gradini storici e sociali.  Non si possono salire al contrario le scale della modernità  verso una auspicabile pace. Per capirsi, la meta, a differenza di quel che sostiene la sinistra,  è la modernità in sé. Dopo di che, eccetera, eccetera.

Insomma, non è una questione diplomatica o geopolitica ( o comunque non solo). La creazione di due stati non cambierebbe di una virgola l’atteggiamento degli arabi verso la modernità.

Una modernità che passa attraverso il gay pride. La guerra finirà e la pace tornerà solo quando a Gaza sfileranno chiassose e simpatiche Drag Queen come se fosse la cosa più normale del mondo. Qualcuno lo spieghi a Gualtieri. Che qui a Roma è sempre in prima fila. E che come storico queste cose dovrebbe sapere. Blaterare di pace, senza capire l’importanza dell’ ”acculturazione moderna”, per usare un parolone, significa solo fare il gioco di coloro che auspicano la distruzione dello Stato d’Israele. Il furbo “due pesi due misure”, tipico dei vecchi comunisti, non porta da nessuna parte.

Certo, modernizzarsi non è uno scherzo, impone tempi storici, e soprattutto una sincera volontà di cambiare. Che al momento latita. Il che significa che Israele, per ora, si deve difendere. E che ogni atteggiamento ambiguo, soprattutto in Occidente, come quello della sinistra va assolutamente evitato.

Carlo Gambescia

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