mercoledì 11 ottobre 2023

Guerra e pace (1)

 


Puntualmente, ogni volta che scoppia una guerra di una certa importanza, alcune menti elevate si interrogano, soprattutto nel liberale Occidente dove si può liberamente discutere di tutto, sul senso della guerra.

Un fenomeno – per definirlo – che non è altro che l’ applicazione della violenza (talvolta più laicamente si parla di “forza”) per perseguire l’obbedienza (guerra offensiva) o favorire la disobbedienza (guerra difensiva) del nemico. Quest’ultima è l’interpretazione dell’aggredito. La prima dell’aggressore.

In Occidente si tende a condannare la guerra. Gli ideali pacifisti sembrano oggi avere la meglio. Altrove invece la guerra è ritenuta un mezzo come altri. Una continuazione della politica, con mezzi coercitivi più efficaci, secondo una famosa definizione.

Ovviamente, il nobile obiettivo delle grandi religioni mondiali è quello di impedire o comunque contenere la guerra entro i limiti della guerra difensiva, che, come anticipato, in termini di relazione comando-obbedienza, è un rifiuto di piegarsi alla forza altrui, opponendo la propria. Alla violenza altrui si oppone la propria forza, dando alla prima (violenza) un valore negativo, alla seconda (forza) un valore positivo. Ma nulla impedisce, che l’aggressore si consideri aggredito, e così via.

Dicevamo, ci si interroga sul senso della guerra. In realtà il vero problema resta quello della coercizione, fenomeno che ha natura antropologica e sociale al tempo stesso.

Nel senso che a fronte dei ricorrenti problemi che la vita presenta, come pure della natura associativa e dissociativa della vita sociale, gli uomini talvolta usano ricorrere all’impiego della violenza per perseguire l’obbedienza al comando. Che poi si parli di forza, come violenza legalizzata ( o monopolio legittimo di un’istituzione), è la stessa cosa. Perché esiste sempre il rischio dell’abuso della forza.

Perciò, per stabilire relazioni pacifiche, si dovrebbe rinunciare al comando come pure all’obbedienza. Oppure far sì che comando e obbedienza siano ritenuti sempre giustificati da qualche principio superiore, accettato da tutti: da chi comanda come da chi obbedisce. La quadratura del cerchio in cinquemila anni di storia umana documentata.

Certo, la pace può essere giudicata come un valore superiore. Ma la stessa cosa può valere anche per la guerra. Non c’è accordo sui valori. Come nota  Weber, ognuno serve il suo demone. Si dirà che la pace non è un demone, ma un angelo. Forse, ma eventualmente si tratta di angelo con la spada di fuoco. Facciamo un passo indietro.

Il valore è qualcosa che secondo alcuni può affermarsi in quanto valore (cioè perché vale di per sé, conquistando per persuasione le menti umane, convinte così di stare dalla parte del bene). Per altri invece il valore va affermato usando la forza,  mandando ad effetto il comando, con ogni mezzo, quindi anche attraverso l’uso della violenza.  Sicché si dovrebbe obbedire al valore-pace (ma lo stesso discorso vale per il valore-guerra) non più per persuasione, ma per paura o conformismo.

Perciò come si può capire guerra e pace, come ha insegnato un grande scrittore russo, Tolstoj, sono inevitabilmente le due facce della stessa medaglia. Ci si deve rassegnare. Tolstoj non si piegò e si trasformò in una specie di curandero.

Cosa vogliamo dire? Che affermare il valore-pace, impone l’uso della violenza, benché talvolta la si chiami forza, perché la si dipinge come legalizzata dal desiderio del valore la pace. Tuttavia esistono altrettanti uomini che credono nel valore-guerra per affermare una certa idea di pace: il confine valoriale tra guerra e pace giusta, dal punto di vista del valore, è molto labile. Perciò disarmarsi dinanzi al nemico che ci indica come tali, significa candidarsi alla sparizione fisica.

Allora dov’è, ci si chiederà, la famosa forza della ragione, della persuasione argomentata, capace di individuare con chiarezza le ragioni del bene e del male, forza della ragione che ha fatto grande l’Occidente?

In realtà la vera domanda è un’altra: nel rapporto comando-obbedienza conta più la persuasione o l’uso della violenza o forza? La parola o la costrizione? Gli uomini obbediscono perché persuasi? Oppure perché minacciati o addirittura costretti ad obbedire per evitare di essere fisicamente eliminati ?

Se per ipotesi, esistesse un governo mondiale, alcuni uomini continuerebbero ad obbedire, altri a disobbedire. Di qui la necessità di una polizia mondiale, che agirebbe su larga scala. Un poco come avviene oggi nei singoli stati. Il male, come rifiuto del perseguimento dell’obbedienza per persuasione, continuerebbe però ad esistere e persistere. Un tale “ordine” forse sarebbe il male minore. Ma la strada per instaurarlo e conservarlo non sarebbe lastricata solo di buone intenzioni.

Diciamo che l’uomo per sua natura, non vuole né obbedire né comandare. È un libero individuo che persegue i propri interessi. Però la vita sociale, per essere tale, cioè un sistema di relazioni in minima parte prevedibili, impone il comando e l’obbedienza. E qui nascono i problemi. E pure le guerre.

Carlo Gambescia

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