domenica 1 ottobre 2023

I governi tecnici non si combattono si anticipano

 


Da qualche anno nell’immaginario delle destre italiane, parlamentari e non, l’idea di complotto si accompagna a quella di governo tecnico, nel senso di professori, competenti in particolare nelle materie economiche, non iscritti ad alcun partito.

Vista così, la differenza tra un governo tecnico e un governo di tecnocrati, è praticamente nulla. Ora, la tecnocrazia è l’esatto contrario della politocrazia. Pertanto che i politici si facciano da parte per lasciare spazio ai tecnocrati è un brutto segno per la politica, che è innanzitutto capacità di visione generale dei problemi: il politico coordina, il tecnico, può consigliare, ma poi deve eseguire. Sarà perciò questione di buon senso del politico decidere se dare ascolto o meno ai professori.

Anche perché in realtà i tecnici non sono mai tali, dal momento che hanno comunque idee politiche, relazioni, precedenti ruoli istituzionali, personaggi politici di riferimento. Di conseguenza un governo non è mai tecnico nel senso puro del termine.

L’ultimo governo tecnico rimane quello di Monti (2011-2013) In realtà, la Seconda Repubblica ne ha avuti solo due (Azeglio Ciampi è Prima): Monti, e come detto, Dini (1995-1996). Entrambi succeduti a governi di centrodestra guidati da Silvio Berlusconi.

Va detto, per la cronaca, che il Cavaliere, “l’illustre trombato”, come alcuni scrissero, si astenne, benevolmente su Dini,  quanto a Monti, votò a favore.

Quindi in quasi trent’anni, se non sbagliamo, due governi su diciotto.

Qui va fatta una distinzione, tra le modalità di caduta del governo politico che precede quello tecnico e la necessità, da parte del governo caduto, di attuare indispensabili ma impopolari riforme.

Sulle modalità di caduta si possono avanzare le più disparate ipotesi politiche: siamo davanti alle sabbie mobili delle razionalizzazioni o giustificazioni, una regolarità metapolitica.

Mentre sulla necessità delle riforme (Dini e Monti) non si può puntare su alcuna teoria alternativa. A prescindere dal famoso “lo impone l’Europa”, la questione della crisi fiscale dello stato andava e va tuttora oltre Bruxelles. Senza una politica, come scrivevamo ieri, “del tassa di meno spendi di meno” (*), si rischia prima la navigazione vista, poi il tracollo delle finanza pubblica, infine il cedimento del Pil, e, ora come ora, una vischiosa stagflazione. Insomma, sono questioni strutturali.

Semplificando: Dini varò la riforma pensionistica, Monti affrontò la revisione della spesa pubblica : necessarie misure, impopolari, per evitare la crisi finanza pubblica, ma da suicidio elettorale, almeno in Italia. Dini e Monti, politicamente parlando, furono fucilati alle successive elezioni politiche. A dire il vero sul “tassa di meno” avevano entrambi glissato. E si sa gli elettori, su certe cose, hanno memoria da elefante.

Pertanto al posto di Giorgia Meloni, invece di gridare al complotto, lavoreremmo sul “cosa decidere di fare da grandi”, a parte le cenette in famiglia con il cognato e la sorella.

Che fare allora? Delle due l’una.

O proseguire sulla strada di Dini e Monti, tagliando però, magari con giudizio, le tasse, anticipando qualsiasi fantasia di governo tecnico. Ed, eventualmente, se proprio dovesse andar male, cadere in piedi, dal punto di vista della linea politica – questa sì thatcheriana – con le buone armi economiche in pugno delle necessarie riforme. Forse un suicidio, ma elegante.

O continuare a gridare al complotto, pascersi in un vittimismo, anche anti-migranti (il famigerato capro espiatorio), da condividere con elettori abituati a bonus, sanatorie, eccetera, eccetera. Sperando così di rifarsi alle prossime alle prossime elezioni, promettendo tutto a tutti, per ritrovarsi di nuovo con l’acqua alla gola delle riforme economiche. Un suicidio a rate, da “pezzenti” della politica.

Insomma, Tertium non datur. La politica, soprattutto nelle liberal-democrazie, piaccia o meno, in alcuni casi, si trasforma nell’arte di suicidarsi sul piano elettorale  con eleganza o meno. Ci sono cose da fare  che  vanno fatte, costi quel che costi. Ovviamente, se si vuole restare all'interno di una società liberale.

Per dirla altrimenti: i tecnici non si combattono, si anticipano. Se invece si vuole "durare" a ogni costo si perde  comunque la partita.  E cosa più grave viene meno il  rispetto. Di se stessi come del Paese.

 Carlo Gambescia

(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2023/09/a-proposito-di-melonomics.html .

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