Sono quasi cinquant’anni che scrivo e studio, tentando di trasmettere ai miei lettori un approccio realistico alle grandi questioni politologiche e sociologiche.
Mi sono addirittura impegnato, ormai da almeno due decenni, nella reinvenzione scientifica della metapolitica come strumento analitico non per rispondere ai titoli dei giornali e alla soluzione rapida di problemi immediati, ma per stabilire alcune coordinate realistiche per confrontarsi con la realtà. Nel senso, da vocabolario, di mettere di fronte persone o cose, per conoscerne la somiglianza, le affinità, le differenze. La metapolitica è una specie di cassetta degli attrezzi cognitivi.
Quanto alla soluzione “tecnica” dei problemi – problemi che poi non conoscono soluzioni definitive, perché sono ricorrenti – va detto chiaramente che spetta esclusivamente alla classe politica.
Uno studioso di metapolitica può dire soltanto – semplificando – che se ci si comporta così, può accadere questo e questo, eccetera; se invece si sceglie un altro comportamento, allora può accadere questo e questo, eccetera. E così via. Si badi "può". Gli "assiomi", per così dire, della metapolitica non hanno nulla di assoluto, dal momento che rispondono al criterio scientifico della falsificabilità.
Nel Trattato di metapolitica , opera in due volumi (una parte teorica e una parte storica), di prossima pubblicazione, il lettore ritroverà descritte e storicamente verificate (per quanto umanamente possibile e sotto lo sguardo benevolo di Popper) quelle regolarità metapolitiche che possono consentire quel confronto con la realtà al quale ho appena accennato: scopo principale della metapolitica. Scienza che dalla realtà politica parte e alla realtà politica torna.
Ma non è di questo che oggi voglio scrivere. Mi ha colpito molto la foto di due ragazzi che si abbracciano, uno palestinese, uno israeliano, che l’amico Carlo Pompei ha pubblicato nel suo profilo Fb.
Carlo è un carissimo amico, tra l’altro ha impaginato, e con che classe, il Trattato. Ora sta dando gli ultimi ritocchi all’Indice dei nomi. E detto tra “noi” (siamo quasi cinquemila amici), Carlo è persona di genio (tra le poche che ho conosciuto nella mia vita). Un creativo che passa da un campo all’altro della cultura con una disinvoltura che lascia veramente senza parole. Purtroppo, come tutte le persone geniali, ha dovuto subire il peso dell’invidia, dell’ingratitudine, della prepotenza. Le armi dei miserabili della vita. Ma questa è un’altra storia.
Ma non voglio tessere l’elogio di Carlo Pompei. Per capire subito chi sia, basta un breve scambio di opinioni.
Dicevamo della foto sul profilo. Appena l’ho vista ho pensato a L’amico ritrovato, film del 1989, basato sul bellissimo libro di Fred Uhlman, dal titolo omonimo (1971). Il romanzo, basato su un storia vera che risale alla Germania hitleriana, rinvia alla triste vicenda di due amici, un ebreo e un tedesco, separati dal nazismo. Il tedesco, una volta capita, ma solo verso la fine della guerra (quindi troppo tardi), l’efferatezza del regime nazionalsocialista, parteciperà alla famosa congiura del luglio 1944, verrà scoperto e giustiziato. L’amico ebreo, di ritorno in Germania, dopo molti anni, apprenderà della sua morte da una targa commemorativa.
Il succo del libro, che ovviamente racchiude un invito alla comprensione e alla pace, mostra però, forse suo malgrado, come non sia possibile porgere l’altra guancia quando il nemico ti indica come tale. Esiste al riguardo la famosa testimonianza di Julien Freund, grandissimo studioso di politica, che tra l’altro aveva partecipato alla Resistenza francese, finendo in carcere e rischiando di essere fucilato. Il quale in piena discussione della sua tesi di dottorato alla Sorbona, dinanzi a Raymond Aron e altri prestigiosi esaminatori, ricordò questa verità a un professore francese, famoso studioso di Hegel e pacifista a oltranza: Jean Hyppolite . Davanti all’incalzante argomentazione di Freund che il nemico non gli avrebbe permesso neppure di curare il suo giardino, Hyppolite rispose che allora si sarebbe suicidato.
In realtà, ecco la lezione di Freund, che invece è un inno alla vita non al suicidio: vita che però va difesa, non porgendo l’altra guancia al nemico quando punta alla tua distruzione. Questa fu la sorte degli ebrei, che, loro malgrado, porsero l’altra guancia ai nazisti. Questa, cioè l'implacabile dinamica amico nemico, è una regolarità metapolitica.
Perciò perché meravigliarsi se hanno imparato la lezione metapolitica? Quei due ragazzi, l’ebreo e il palestinese è auspicabile che diventino amici, ma come i protagonisti de L’ amico ritrovato sono dentro qualcosa che è più grande e forte della loro possibile amicizia. Una bestia che si chiama antisemitismo. E che ha rialzato la testa, non solo in Medio Oriente. E che va subito schiacciata. Le targhe commemorative, come riconoscimento postumo, sono nobilissime. Ma sono postume, mentre il nemico va abbattuto quando è ancora in vita.
Ciò, purtroppo, può comportare vittime tra civili innocenti. Verissimo. Allora si porga l’altra guancia. Come si fece con Hitler negli anni Trenta.
Carlo Gambescia
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