Diceva ieri un amico, lo stesso di altre volte, che esageriamo con la destra. In fondo, esistono già firme più note di chi scrive: Selvaggia Lucarelli, che ad esempio oggi attacca Mario Sechi direttore di “Libero”, Nadia Urbinati su “Domani” che distrugge sistematicamente qualsiasi misura del governo di destra, e così via da Massimo Giannini a Marco Travaglio fino ai grossi calibri di “Repubblica”.
Perché unirsi a questa compagnia in veste di parente povero della Rete? Che da un blog, comunque seguito ma non ai livelli di un Beppe Grillo, ruggisce come può ruggire un topolino?
Sono domande che fanno riflettere? Soprattutto se rivolte da un amico che si stima.
Però la contro-domanda (che, a dire il vero, non abbiamo posto all’amico) quale può essere? Cosa dovremmo fare? Tacere? Occuparci di cucina? Di letteratura? Di a priori filosofici? Magari con incursioni storiche nella filosofia presocratica.
Purtroppo, esiste, ciò che abbiamo sempre chiamato la “maledizione delle scienze sociali” (sociologia, politologia, economia, storia), che per ragioni di studio e di vita ci “perseguita” fin da quando avevamo vent’anni.
Pensiamo all’applicazione storica (riferita anche all’analisi del presente), in termini però di indagini, senza immediate finalità pratiche. Cioè parliamo di un sapere che fornisce precise coordinate analitiche, da noi studiate e ridefinite regolarità metapolitiche.
Per dirla alla buona: se uno si compra un trapano poi deve usarlo… Di qui la “maledizione”. Perché si tratta di un “trapanare”, rumoroso, spesso fastidioso, antipatico, per alcuni addirittura odioso, però – attenzione – sempre a livello di teoria non di pratica. Anche perché la funzione di consigliere del principe, che qualche volta nella nostra vita abbiamo assolto, resta ancora più scomoda. Perché per accontentare il principe e riceverne privilegi e prebende, si deve sfigurare la teoria. Cosa nota del resto: il famoso sapore di sale del “pane altrui” ( citazione dantesca).
Insomma, non diciamo nulla di nuovo. Però il rifiuto del cavallo, dell’ armatura e delle piume ha i suoi vantaggi. Nel senso che dinanzi a un esperimento politico, come quello del governo Meloni, che la metapolitica – l’analisi teorica – ha inquadrato subito come pericoloso, non potevamo e non possiamo tacere. Di qui il nostro quotidiano “trapanare”. Che però può irritare il manovratore e annoiare il lettore "medio", che come, da segno dei tempi (per buttarla sul biblico), ama soltanto stranezze, pettegolezzi e novità.
Ma c’è un altro aspetto che ci differenzia dal coro degli avversari del governo Meloni. L’attitudine liberale. Una disposizione ideologica, non molto amata in Italia, anzi addirittura disprezzata, che ci rende antipatici alla destra che governa, alla sinistra che si oppone, come pure agli stessi liberali, divisi tra coloro che sono al governo, su posizioni di destra e coloro che sono all’opposizione su posizioni di sinistra.
Insomma, siamo nella scomoda posizione dei nemici di dio e dei nemici dei nemici di dio (seconda citazione dantesca).
Inoltre, come accennato, si rischia di annoiare un lettore comune, accostumato alla politica urlata da talk show e da Social, ma non alla metapolitica delle analisi più approfondite, che costa fatica e che perciò può apparire noiosa e inutile.
Comunque stiano le cose, manterremo però questa scomoda posizione da Panebianco spiegato al popolo. Prendiamo atto, come ritennero Eco e Pasolini, quest’ultimo forse invidioso di un bel romanzo di Gianni Brera, del rischio del “Gadda spiegato al popolo”. Detto più prosaicamente, di un Gadda (o Panebianco) dei poveri.
A dire il vero, Panebianco, il solo politologo italiano che stimiamo veramente, resta più dal lato della scienza politica, mentre noi abbiamo reinventato la metapolitica (ci si scusi per l’immodestia).
In ogni modo, per tornare sul punto: non cederemo di un millimetro.
O il Piave della Metapolitica o tutti accoppati!
Carlo Gambescia
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