sabato 14 ottobre 2023

A proposito di fanatismo politico

 


Si suppone che la ferocia di Hamas per un europeo del XXI secolo sia qualcosa di inconcepibile. Si ritiene che l’Occidente abbia superato certi comportamenti, come l’ infierire sul corpo innocente di un bimbo in fasce.

Eppure c’è, in Italia, come provano gli incidenti romani di ieri, chi difende e giustifica Hamas, manifestando in suo favore. Senza riflettere sul fatto che gridare “Palestina Libera” significa parteggiare per un’organizzazione terroristica che non prova alcuna pietà. Pura disumanità.

A dire il vero è anche abbastanza diffuso un atteggiamento di “terzietà” politica, non solo a sinistra. Cioè quel dichiarare di non essere dalla parte di Hamas, né di d’Israele. In realtà, evocare l’obiettività politica, dinanzi alla “strage degli innocenti”, è qualcosa di ripugnante.

Pertanto nella "civile" Europa del XXI secolo si può rilevare un atteggiamento che minimizza o rimuove il fanatismo politico. Perché?

La prima risposta rinvia all’antisemitismo. Tuttora diffuso in Europa, sebbene spesso presentato (e ripulito) come antisionismo. In realtà, ogni forma di antismo, nel senso di essere contro qualcosa o qualcuno (anti), a prescindere, è una forma di fanatismo politico. Quindi anche l’antisionismo.

La seconda risposta rimanda invece al clima politico di forte contrapposizione che oggi si respira in Italia e in Europa: da una parte una sinistra populista, dall’altra una destra forcaiola: due configurazioni politiche che si scontrano praticamente su tutto e in modo fanatico.

Ciò significa, che in una società che si presume, come dicevamo, liberale ed evoluta, si annida invece il fanatismo politico. Un’atmosfera infuocata che, si badi bene, come scrivevamo ieri, costringe, come una specie di morbo contagioso, lo stesso liberalismo, se desidera sopravvivere, a tentare di recuperare il suo dottrinarismo, come intransigenza sui principi a tutela di una transigenza nelle istituzioni.

Pertanto, se lo stesso liberalismo, per ragioni di giustificata resistenza sistemica e dottrinaria, rischia di ricorrere alle maniere forti, figurarsi cosa può accadere alle ideologie antiliberali, a destra come a sinistra, violente per natura. Ideologie che, come noto, avversano sia la dottrina che la pratica liberale. Di conseguenza, come detto, il liberalismo, non può non richiamarsi a valori e comportamenti antitotalitari per ragioni di pura autodifesa.

Ci si chiederà – prima domanda – il perché di questo regresso politico. Dietro l’ “antismo” devastante, del tutti contro tutti, che porta poi a giustificare la “strage degli innocenti” in Israele o la crudele invasione russa dell’Ucraina, si scorge un deficit di cultura liberale. Un vuoto che, in qualche modo, è inversamente proporzionale all’ascesa del fanatismo politico. Si pensi a una specie di bilancia politica: scende il liberalismo, sale il fanatismo, e così via, per alti e bassi.

A quando risale – seconda domanda – il fenomeno del deficit liberale? A far tempo almeno dalla fine della Prima guerra mondiale, che mise termine  alla società liberale, faticosamente costruita nel XIX secolo. Nel periodo tra le due guerre, la bilancia penderà dal lato del fanatismo. Nel secondo dopoguerra, grosso modo fino alla caduta dell’Unione Sovietica, la bilancia, almeno in Occidente, graviterà dal lato del liberalismo. Dopo di che scoccherà di nuovo l’ora del fanatismo politico. In pieno svolgimento.

Si attende perciò, ma non è cosa scontata (anzi…), una rinascita del liberalismo. Un ritorno, auspicabile, che purtroppo di questi brutti tempi, piaccia o meno, marcia sulla punta delle baionette ucraine e israeliane.

Carlo Gambescia

 

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