Gramellini, di solito liquidato dalla destra come giornalista liberal e conduttore “radical chic”, se la prende con Elena Basile, una specie di Vannacci della Farnesina, che invece non dispiace a certa destra filo-Mosca e filo-Hamas.
Gramellini, ridicolizza la Basile, sicuro che la gente capirà. Qui sbaglia, perché se si ripercorre la storia della cultura di massa del Novecento, si scopre che personaggi come Hitler, Mussolini, persino Lenin e Stalin, pur essendo stati oggetto di derisione – dalle vignette alle barzellette – hanno conquistato e mantenuto il potere fino all’ultimo, cancellando ogni forma di libertà.
Ora figure come Basile, Vannacci, Orsini, e così via, non hanno la caratura politica di Mussolini, Hitler, eccetera, ma contribuiscono a creare un clima culturale, prefascista, o comunque pretotalitario, come fu per le varie tendenze antiparlamentariste, populiste e antiliberali che anticiparono e alimentarono i totalitarismi novecenteschi.
Il punto è che, come da ultimo provano le polemiche sulla “Cultura della cancellazione”, il liberalismo, dinanzi alle ideologie forti, totalizzanti, quelle del bianco o nero, si tramuta facilmente in un’arma a doppio taglio. Perché, a far tempo dall’Ottocento, ricorrono ai principi liberali, soprattutto nell’ambito della libertà di pensiero e parola, i suoi detrattori, per accusare il liberalismo, di non essere tale, perché non concederebbe la stessa libertà agli oppositori.
In realtà, come provano tristemente i totalitarismi del novecento (fascismo, nazismo e comunismo), si tratta di un’arma retorica, un astuto mantra, per conquistare il potere e annullare ogni conquista politica e civile liberale.
Sul punto perciò un vero liberale non deve mai cedere. Costi quel costi. La parola va tolta ai nemici del liberalismo, perché, una volta ottenuta, i nemici la usano per cancellare ogni libertà, o comunque, soprattutto in una società di massa, per creare un clima favorevole all’autoritarismo, alla dittatura, al totalitarismo. Si tratta di una specie di processo scalare politico rivolto all’ annientamento di ogni istituzione liberale.
Che fare allora? I liberali devono recuperare il dottrinarismo liberale.
Il termine dottrinarismo non è un'ingiuria. E qui si pensi a grandi dottrinari come Constant e Guizot ad esempio, ma anche a pensatori novecenteschi come Hayek e Mises. Il dottrinarismo, se ci si permette il gioco di parole, consiste nell’ intransigenza politica sulla difesa della dottrina liberale, ossia sulla somma dei principi e delle direttive liberali, per favorire la transigenza politica, come libero discorso pubblico, però chiuso ai nemici del liberalismo. Mors tua vita mea. Perché il fallimento del liberalismo, piaccia o meno, comporta la vittoria del suo nemico: il totalitarismo.
Un atteggiamento non facile da perseguire perché i liberali sono divisi, probabilmente da sempre, e di veri dottrinari, soprattutto sul piano politico, che impone pragmatismo, oggi ne esistono pochi. Forse tra gli ultimi, emerge la figura di Margaret Thatcher, direttamente influenzata dal pensiero di Hayek.
Sicché i nemici del liberalismo hanno gioco facile, aiutati in quest’opera distruttiva per un verso dai liberali di sinistra, che celebrano un’ ideologia totalitaria come quella ecologista come pure la stessa “ Cultura della cancellazione”, per non parlare degli atti impuri con i socialisti. E per l’altro dai liberali di destra che civettano con populisti, sovranisti e nuovi fascisti, cioè con i nemici assoluti del liberalismo. Un disastro.
Per la cronaca, e concludendo, Gramellini è un liberal non un liberale. Che poi sia pure chic, è un suo problema.
Carlo Gambescia
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