sabato 28 ottobre 2023

Guerra e pace (2)

 


In fondo la gente comune che ne capisce della dinamica della guerra e della pace?

L’operaio, l’impiegato, il professionista, lo studente e tante altre persone vogliono solo vivere in pace. Fare ciò che fanno da sempre, senza tanti ostacoli. Programmare, una vacanza, un acquisto, gli studi per i figli, eccetera.

Sotto questo profilo la guerra, imponendo restrizioni di vario genere, sempre più gravi fino alla perdita della vita stessa, rappresenta la madre di tutti gli ostacoli. Quindi -  si dice -  va pensata solo la pace, mai la guerra.

Specialmente nell’Occidente euro-americano, la vita è così ricca di opportunità – al di là di ciò che sostengono le Cassandre di destra e sinistra – al punto che un’improvvisa guerra generale distruggerebbe un modello di vita acquisito e gradevole.

Il capitalismo – per semplificare – al di là delle chiacchiere sulla disumanizzazione indotta dal mercato – ha favorito l’edificazione dell’ Homo Pacificus, se ci  si  perdona il latino maccheronico.

Gli occidentali, diciamo il “popolo”, termine tra l’altro molto vago, non vuole più sentire parlare di guerre. A questo pacifismo, antropologizzato, cioè una specie di “seconda pelle”, si appoggiano i pacifisti ideologici, esperti nel giustificare o razionalizzare il pacifismo diffuso che abbiamo appena ricordato.

Di qui, il dialogo tra sordi, che vede da una parte, una dinamica politica mondiale, che, dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, ha ripreso a parlare – nei fatti – di guerra come proseguimento della politica con altri mezzi,  e dall’altra un pacifismo diffuso e ideologizzato, soprattutto in Occidente, che non vuole sentire parlare di guerre.

Di regola, la forza di gravità della politica, che rimanda al ciclo politico, di conquista, conservazione e perdita del potere (una regolarità metapolitica), conduce inevitabilmente alla guerra, lo vogliano o meno i “popoli”. Pertanto parlare di pace, soprattutto diffondere l’idea che la pace sia sempre possibile, è falso e pericoloso.

Falso, perché come abbiamo accennato il ciclo politico è una regolarità metapolitica. Pericoloso, perché il pacifismo è una forma di disarmo morale.

Ciò non significa che non si debba aspirare la pace. Ma si tratta più semplicemente di comprendere che pace e guerra si alternano, lungo linee temporali dalla durata imprevedibile. Alimentare l’idea della pace finale tra i “popoli” è perciò stupido. Come, sia chiaro, l’idea della guerra “facile”, per così dire, alimentata da certa brutale geopolitica che ricorda quella hitleriana.

Come insegna, una saggezza antica, biblica, “c’è un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace» ( Qoèlet 3,2-8).

Inutile perciò predicare la pace, quando un nemico capace di odiare, che prescinde totalmente dalla nostra capacità di amare, ci indica come suoi nemici e muove in guerra contro di noi. In quel caso serve solo la spada.

Però come spiegare all’operaio, all’impiegato, al professionista, allo studente, all’ “Homo Pacificus” di oggi insomma, che talvolta si deve usare la spada? Viviamo, come anticipato, in una democrazia, per giunta con le vetrine illuminate e ricche di ogni ben di dio.

Per la democrazia opulenta è assai difficile fare la guerra. Come tramutare, all’occorrenza, il pacifico consumatore in soldato armato fino ai denti?

Ucraina e Israele dimostrano che è possibile. Però il problema è che non si deve attendere di essere aggrediti, come nel caso di questi due paesi. Si deve mettere il nemico nelle condizioni di non poter aggredire. Si deve essere temuti. Il che impone misure prudenziali, cautelari, precauzionali, tra le quali la guerra preventiva. E qui si torna al punto di prima: come spiegare a una pubblica opinione composta di consumatori, che deve mettersi in divisa “per tempo”? Del resto, come evitare di essere aggrediti senza militarizzare preventivamente una società? Insomma, senza saper “pensare” la guerra?

Si dirà che è un problema di equilibrio politico. Che quindi riguarda un “dosaggio” tra pace e guerra nel quale devono essere maestre le élite dirigenti, in primis quelle politiche. E qui il discorso rinvia alla “qualità” alle classi politiche dell’Occidente. Sono all’altezza di questo difficile compito, senza cadere nel fascismo o nel pacifismo?

Carlo Gambescia

Nessun commento: