mercoledì 20 giugno 2018


Alle radici (sociologiche)  del razzismo
Salvini scherza col fuoco


Il razzismo per chiunque lo abbia studiato seriamente è una brutta bestia, sì l’ultimo termine è forte, ma sostanzialmente corretto. In termini tecnici,  si parla di etnocentrismo, come fenomeno scalare,  fondato alle origini, sul pregiudizio di  supremazia di un gruppo etnico sull’altro.  Non è dunque  solo una questione di colore della pelle,  ma, come indica il prefisso,  di popolo,  quindi il pregiudizio  si estende alle scelte religiose, politiche, sessuali, economiche, culturali, eccetera.   
Di regola, l'etnocentrista, o per essere più precisi il razzista, quale etnocentrista apicale, rivendica idealmente la propria superiorità "gruppale",  per poi praticarla introducendo nella vita reale  discriminazioni legali.  Quindi esiste un razzismo ideale, che resta a livello di pregiudizi diffusi, e un razzismo ideale-reale che mette in pratica.  Pertanto in una società possono esistere pregiudizi razzisti a livello culturale, come ad esempio nella società italiana, ma non una legislazione, come negli Stati Uniti dell’Ottocento, ma anche dopo la guerra civile,  che converte i pregiudizi in norme di legge o comunque  che li recepisce  come  consuetudini sociali con  la stessa  cogenza delle  norme. 
Ora, il tentativo di Salvini di proporre la schedatura dei Rom rientra pienamente nella categoria del razzismo ideale-reale. Se approvata,  saremmo davanti  alla  legalizzazione del razzismo. Un salto di qualità, per così dire (pur considerano i gravissimi precedenti del 1938). E questo in un’Italia e in  un’Europa che nel Novecento hanno vissuto, sulla propria pelle, l’attacco gigantesco delle forze bestiali dell’antisemitismo e del razzismo.
Molti sembrano  non  ricordare  - a parte neofascisti  e neonazisti, che se ne vantano tuttora, anzi in questi giorni di “letizia”, sono usciti dalle fogne -   la catastrofe  del razzismo applicato.  La distruzione di milioni di vite  umane solo perché non pure sotto il profilo razziale,  Come  del resto sembra accadere,  davanti  al pericoloso  agitarsi del “sovranismo”,  con il ricordo  dei danni catastrofici provocati dai  nazionalismi armati.
Perché questo? Per una ragione semplicissima:  la necessità del nemico,  come  bisogno di addossare all’altro, al diverso da noi,  le colpe vere o presunte dei nostri problemi di adattamento sociale. Le società hanno necessità  di capri espiatori per  reintegrare e rafforzare il proprio spirito di superiorità. E in questo  buco nero il razzismo trova i suoi proseliti, prima tra gli scontenti, i falliti, i collerici, i nevrotici,  dopo tra gli ambiziosi, gli intransigenti, i vanitosi, gli istrioni. 
Di regola,  più una società è mobile, quindi aperta alle carriere, più nascono problemi di adattamento, perché la socializzazione culturale ha tempi più lunghi rispetto  all’adattamento economico e sociale.  Di qui, la discrasia culturale  tra coloro che ce l’hanno fatta e coloro che non ce l’hanno fatta.  O che  comunque, per varie ragioni, anche ideologiche, non credono nel valore del cosiddetto ascensore sociale.  Persone che non hanno “introiettato”, socializzandola, la cultura  competitiva,  ma al fondo benefica,   delle società liberali. Non capiscono che il fallimento di alcuni è il seme per il successo di altri.     
Il razzismo, come provano moltissimi studi, prospera, all’interno dei gruppi sociali più poveri -   o che si ritengono tali -   ma  meno poveri dei gruppi sociali, che sono subito sotto di essi. Per farla breve: dove  la povertà - sempre in chiave soggettiva -  è relativa (quindi non assoluta),  maggiore il bisogno di un capro espiatorio al mancato adattamento.
Per contro, i gruppi sociali più in  alto, che hanno  completato, per ragioni culturali in particolare, il processo di adattamento, non hanno bisogno di capri espiatori sociali.  Il che spiega - parliamo sempre delle società mobili (dove la mobilità è un valore) - la posizione antirazzista delle classi  elevate.
Sia chiaro però, il razzismo  e l’antirazzismo non sono legati al reddito economico,  ma al mancato (o meno) adattamento  tra carriera sociale e convinzioni culturali.
Quale può essere la morale politica della nostra analisi? Quanto più alto è il  livello di  risentimento sociale,  legato non sempre  alle reali condizioni economiche, ma più  semplicemente al sistema delle aspettative sociali crescenti,  vincolato, a sua volta,  alla  memoria sociale a breve (passato prossimo), cioè non consapevole del progressi  fatti a lungo termine ( passato remoto),  tanto più aumenta il rischio della ricerca di un capro espiatorio.  E dunque del razzismo "reintegratorio", per così dire.  
Il risentimento, come noto, non dipende dalle condizioni economiche reali (quindi  da un giudizio oggettivo), bensì da valutazioni  personali (soggettive), prodotte dal grado di adattamento. In sintesi, maggiore è l’adattamento, minore il bisogno di cercarsi un colpevole, dunque un nemico. 
Il che non significa, che in  politica non esista la figura del nemico. Esiste eccome. Però accanto a essa,   esiste la figura del nemico immaginario. Ed è quella di cui si serve il razzismo. O se si preferisce, per parlare difficile, l'etnocentrismo apicale.   
Salvini, ad esempio, è un seminatore di odio per eccellenza, che gioca sul disadattamento  altrui, causato da quel risentimento diffuso contro tutto e tutti  che pervade ormai la società italiana da almeno un quarto di secolo. Tra le campagne politiche e mediatiche  contro le "caste" e il razzismo c'è un legame assai stretto.   
Salvini, ovviamente  fa  questo  per ragioni di potere,  mosso da ambizioni personali, contando su non comuni capacità istrioniche. Però, di fatto,   scherza con il fuoco.  E dire, come si legge,  che è dalla parte della ragione perché gli italiani sono con lui,  è roba da fascisti: il  linguaggio  del demagogo  che spiana la strada al tiranno, usando artatamente la democrazia contro la democrazia.  
Diciamo invece che gli italiani sono sempre più prigionieri del risentimento sociale. Il che è molto pericoloso perché si tratta di uno stato d'animo, qualcosa di  totalmente sganciato dalla situazione reale .Una forza poco controllabile.  Insomma, la bestia razzista potrebbe risvegliarsi  e la storia  ripetersi. Purtroppo. 

Carlo Gambescia