mercoledì 27 giugno 2018

Scuola, eliminata la chiamata diretta, firma Miur-sindacati

“Quel cavalier che del colpo, non  accorto, andava pugnando ed era morto”  

  


Pur  di andare contro non tanto ( o non solo)   Renzi e la “Buona Scuola”,  ma contro qualsiasi principio meritocratico, dunque liberale, perché fondato sulla preparazione e sulla responsabilità individuale,  si è abolita,  tra squilli di  tromba e tamburi rullanti, la chiamata diretta degli insegnanti nelle scuole. 
Sapete, cari lettori, che cosa  continuerà  a regolare,   in ultima istanza,  nelle graduatorie di istituto, a parità di punteggio, le precedenze?  L’anzianità anagrafica. 
E sapete perché, cari amici,  nonostante, le centomila  assunzioni (quello che fu il lato assistenzialistico della “Buona Scuola”), quasi nessun  preside si avvalse  del sistema a chiamata diretta?  Perché era previsto che l’operazione dovesse avvenire in piena estate,  non  rispettando  il sacrosanto  “diritto alle ferie”…
Pertanto, si abolisce, in nome di avvilenti  pregiudizi burocratici,  ovviamente difesi dal sindacato, padre e  madre di tutti i corporativismi italiani,  un’isola -  quella della chiamata diretta -  che  non c’era…
Diciamo però  che  come  tutte le "controrivoluzioni" italiane,  e  ora tocca a quella populista,  ci si batte contro un nemico che non esiste.  Si rivendicano  fantomatici  diritti sociali   che in realtà  nessuno ha mai messo  in discussione,  a cominciare da presidi, le cui nomine sono frutto di processi altrettanto antimeritocratici.  E che quindi, difficilmente, possono andare  contro le stesse regole che li privilegiano.
Ora qualche osservazione generale. 
I report sociologi indicano che la scuola pubblica nel Dopoguerra, in particolare dopo il Sessantotto, ha promosso al suo interno  una considerevole mobilità sociale immettendo nei ruoli  docenti di estrazione sociale modesta. Il che avrebbe dovuto portare, sangue fresco, volontà di riscatto, dedizione a un lavoro considerato gratificante, anche  perché veicolo di promozione sociale.  A differenza, per esempio,  dei professori universitari in cui il censo sociale (di provenienza), pur con qualche eccezione,  è rimasto elevato   
Niente di tutto questo. Sia dove  si è imposta  la mobilità sociale dei docenti (scuola di primo e secondo grado), sia dove ha dominato  la tradizionale cooptazione (università),  la qualità di docenti, professori  e  dell’insegnamento è  addirittura peggiorata rispetto all’Anteguerra.
Ad esempio,  nella prima metà del Novecento -  quanto stiamo per riferire, tra gli addetti ai lavori, sfiora il  luogo comune  - quasi tutti i professori  universitari  provenivano da un  non breve periodo di  insegnamento nelle scuole superiori.  Il che prova l’alto livello di preparazione, ad esempio di un docente liceale di allora,  nonché il bagaglio esperienziale, di un professore universitario  degli anni Cinquanta.       
Che cosa non ha  funzionato?  Difficile dire. Probabilmente,  si tratta di questione strutturale. La macchina dell'istruzione pubblica, tuttora predominante,  non ha  retto  alle gigantesche e arrembanti ondate delle generazioni del baby boom.  Si è passati così   da una scuola ( e università)  d'élite ( o quasi) a una scuola (e università) di massa,  senza introdurre alcun filtro meritocratico. In pratica, si sono consegnate scuola e università, anche sull’onda della contestazione sessantottina, al sindacato e ai docenti e professori sindacalizzati.  In fondo, si è scelta la via più semplice: quella del consenso sociale, non negando una cattedra, e se necessario, una laurea e  un diploma. Quindi anche la politica ha le sue pesanti responsabilità  nel  promuovere socialmente con una mano, regalando titoli di studio, e nel bocciare, sempre socialmente, con l'altra, distruggendo la (futura)  reputazione professionale di studenti impreparati, e la (presente) deferenza sociale verso professori,  poco qualificati e demoralizzati.
Si dirà: però il numero dei laureati italiani e dei diplomati, tutto sommato, rispetto ad altri paesi europei, è rimasto basso.  Certo. Si è trattato però di  un vero  un colpo di fortuna. Altrimenti, il sistema sarebbe del tutto crollato sotto i colpi di un’ignoranza galoppante e globale (docenti e studenti): un'invasione di barbari  alla quale la burocrazia avrebbe potuto porre rimedio, sempre per ragioni di consenso, estendendo ulteriormente il criterio antimeritocratico, ossia  promuovendo tutti, professori e studenti. Una specie di grado 0 oppure +  1.   E, se ci si passa la battuta, "two  is megli che uan...". 
Si dirà: però, in fondo,  si è speso poco per la scuola e per l’università pubbliche.   Non è forse vero, che siamo gli ultimi da sempre in Europa?  Probabilmente per la spesa in conto capitale. Non per quella in stipendi (il 90 per cento del totale).  Insomma,  sono cose che accadono quando  non c’è filtro meritocratico, e tutto viene lasciato nelle mani di burocrazie sindacalizzate, prontissime a dividersi bottino dei finanziamenti.  Invece, per dirla brutalmente,  meno soldi pubblici girano, più si riducono le famigerate  tentazioni che  fanno  l'uomo ladro... 
Concludendo, la storia  della chiamata diretta  assomiglia, per dirla con il  Berni (se ricordiamo bene),  a  “quel cavalier che  del colpo, non  accorto, andava pugnando  ed era morto”. 
Metafora che può estesa alla scuola e all’università. Che, a dire il vero,  forse neppure  combattono più.  Insomma,  ripetiamo,  se controrivoluzione c'è,  è "contro" una  "rivoluzione"  che mai c'è stata.   

Carlo Gambescia