lunedì 18 giugno 2018

L’ultima fatica di  Fabio Massimo Nicosia
Quell’abusivo dello Stato…


Ci sono dei libri interessanti a prescindere. Si può essere d’accordo o meno con le tesi dell’autore, ma li si deve leggere, perché, comunque sia,  arricchiscono la conoscenza, forniscono prospettive originali, segnalano altri volumi  che vanno letti se non  riletti in una luce nuova.
A questa categoria  di testi appartiene l’ultima fatica di Fabio Massimo Nicosia, L’abusiva legittimità. Dallo  Stato ai common  trust (De Ferrari Editore, Genova 2018, pp. 505, euro 35,00).
Nicosia è un  avvocato,  studioso di filosofia,  diritto, economia  e politica,  su posizioni libertarie e analitiche,  nei termini  di un' indagine flosofico-linguistica dei concetti usati  nelle dottrine  giuridiche ed economiche (insomma, come combattere il fuoco con il fuoco).
Per capirne  meglio   la posizione, probabilmente unica nel panorama anti-statolatrico italiano, se non internazionale, vanno  letti, tra  i suoi  numerosi scritti, due  volumi in particolare: Il dittatore libertario - Anarchia analitica, tra comunismo di mercato, rendita esistenza e sovranity share (Giappichelli, Torino 2011) e  Beati possidentes (Liberilibri,  Macerata 2004). 
In questo senso, una volta approfondito il pensiero di Nicosia, sarebbe interessare tentare comparazioni con le analisi di Hoppe e Block sul fronte an-archico  e di  Nozick   (il primo) e Hayek su quello  micro-archico, nonché  con quelle archiche di  De Jouvenel e Aron (sulle categorie archico, an-archico, micro-archico, macro-archico si veda il nostro Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Il Foglio Piombino 2012).
Ma torniamo sul punto.  In L’abusiva legittimità,  per parafrasare il titolo di un famoso libro di Ronald Dworkin,  Nicosia  mostra e  prova di essere  dalla parte del  mercato, ma, attenzione: solo quando la mano invisibile, un misto di interessi e simpatia (se abbiamo ben capito la riposta di Nicosia al "problema" Adam Smith),  viene  presa  sul serio.
Come? Nel senso di una moderata pienezza economica di partenza degli attori (insomma, un qualche appetito deve rimanere), da raggiungere redistribuendo e monetizzando  tra i cittadini  i beni patrimoniali dello  stato, disponibili e indisponibili.  In sintesi:  dal Colosseo alle spiagge.   Beni, che prima però  andrebbero contabilizzati e iscritti nel  bilancio dello stato, proprio per l’elevatissimo valore che hanno. Dopo di che, gli stessi beni andrebbero ceduti ai  cittadini, a completamento del processo di monetizzazione-redistribuzione di cui sopra. Dulcis in fundo, i  cittadini  potrebbero  - O dovrebbero? Potrebbero... -   anche associarsi per gestire, ad esempio, il marchio Colosseo, eccetera, eccetera. Soldi, soldi su soldi, onda su onda, per dirla con  Paolo Conte.
Ciò significa che  lo stato dovrebbe fare almeno  dieci passi indietro. Nessuna  distruzione violenta, bensì  autoconsunzione  ad  opera di una società degli individui, che si trasforma, auto-organizzandosi liberamente,   dall’emissione di  moneta, alle gestione del patrimonio artistico,  alla protezione sociale, e così via. Un capital-comunismo, gentile e libertario.  Oppure, se si preferisce,  mano invisibile, ma presa sul serio.
Dal punto di vista di una teoria del diritto, dell’economia e della società,  siamo dinanzi a un maestoso disegno che si oppone a qualsiasi ipotesi di  società gestita dall’alto, da un stato opprimente,  abusivo o addirittura ladro di legittimità (nella sua versione totalitaria sia pubblica che, peggio ancora, privata e pubblica insieme).  Nicosia  tratteggia insomma  una società che si sviluppa dal basso, autogestendosi e autolegittimandosi,  attraverso produzione, scambio e consumo, tutto rigorosamente a somma positiva.
Naturalmente,  abbiamo sintetizzato uno studio di cinquecento pagine, diviso in due grandi sezioni:  “I. la pretesa abusiva al monopolio della legittimità” (pp. 17-358); “II. La soluzione di diritto comune al paradosso unisoggettivo “(pp. 359-502), divisi in numerosi sezioni e sottosezioni.  
Il lettore però non  si spaventi: il libro si legge d’un fiato, diremmo al galoppo:  ci si immerge in "ritmi, canzoni, donne di sogno, banane e lamponi (per dirla sempre  Paolo Conte).  Nicosia, mostra di saper tenere la penna in mano. Perfino le note al testo, non poche, dalle bibliografiche alle  esplicative, fino a quelle in cui indicano, en passant, nuove prospettive di ricerca, si leggono con piacere, diremmo soddisfazioni e gratitudine.   "Stupenda l'isola è, ci sono palme bambù, è un luogo pieno di virtù", per citare di nuovo il  Maestro.
Fabio Massimo Nicosia

Nella prima sezione  si affronta  alla decostruzione analitica dello stato, autocentrato su se stesso,  monopolista o quasi, senza scuse,  che abusa del proprio potere reinventando di volta, la propria sfera di legittimità, allargandola alla tutela di diritti sempre più improbabili, ma capaci di  favorire una  sottomissione di cittadini semisocializzati,  schiavi e contenti.  
Nella seconda sezione, si vola ancora più alto, verso il nuovo  disegno  di una società autogestita, dove ogni singolo è banditore di se stesso, fluttuando da un  common trust, o fondo sociale all’altro, da una associazione museale a una balneare, emettendo moneta, pagando stipendi, realizzando profitti. Con sullo sfondo un stato che va deperendo, perché sempre più inutile  dal punto di vista della costruzione sociale. E il tutto su un piano, grazie alla preventiva redistribuzione tra cittadini, non più da schiavi del diritto statale, ma da  singoli proprietari effettivi, con tanto di  poteri di godimento e disposizione,  di un  patrimonio pubblico, prima inerte, ora trasformato,  in moneta di cittadinanza, ma anche in flusso reddituale e ricchezza collettiva, senza che per tutto questo ben di dio  nessuno debba ringraziare nessuno.  Ripetiamo: la mano invisibile, presa sul serio.
Diciamo che quello di Nicosia è un istituzionalismo sociale, a  base individualistica, di grande rigore e consequenzialità, che poggia su indubbie basi utilitaristiche: ma, attenzione,  quello che il costruttivismo welfarista (da Bentham a Pigou)  riconduce  all’idea di uno stato benefattore,  nel libro di Nicosia viene ricondotto all’individuo,  benefattore di stesso, e  di riflesso, una volta monetizzati i punti di partenza, di una libera  società delle istituzioni e non di una istituzione,  lo stato, come oggi  lo conosciamo,  con tutto  intorno un ristretto nucleo di avvoltoi,  di assatanati competitor  e "corporati".
L’escamotage teorico  della contabilizzazione-monetizzazione. redistribuzione  dei beni patrimoniali, come vòlano, prima della parificazione poi della crescita,  è in qualche misura la mossa vincente nella gigantesca partita a scacchi  con il potere,  intrapresa, crediamo fin da giovane studente,   da Massimo Nicosia.
Vincente in teoria. E in pratica? Difficile dire.  Se c’è  un grande assente in questo libro, a nostro avviso, libro comunque importante, da leggere e metabolizzare,   lo si può ravvisare nell’assenza del politico, come distinzione tra amico-nemico, istituzione-movimento, progresso-decadenza,  comando-obbedienza e  di  altre costanti e regolarità,  da noi definite, sociologicamente,  come metapolitiche (cfr. G. Gambescia, Metapolitica. L’altro sguardo sul potere, Edizioni il Foglio, Piombino 2009). Forme della politica, nel senso che pur cambiando nei contenuti storici, rimangono inalterate, riproponendosi in età diverse. Insomma, una metapolitica concreta, non  musica da camera intorno all'idea di stato perfetto.
Nicosia, quando affronta la questione delle origini dello stato, si occupa della questione della violenza, della conquista, della sottomissione. L’impressione però è che si accontenti di una visione patologica del potere. Il quale, invece, piaccia o meno,  ha una sua fisiologia. Delle forme  metapolitiche, come abbiamo visto. Ci spieghiamo meglio, formulando un domanda, da banditori di noi stessi.
Come escludere, che  - semplificando -  una volta contabilizzati,  redistribuiti e monetizzati   i beni  patrimoniali  non si riformi un qualche monopolio politico, perché i nemici, i processi di istituzionalizzazione,  disciplina e capi, pena la decadenza di un sistema politico e sociale,    ci sono  e ci saranno sempre?
Ci si può rispondere che, ponendo la questione, introduciamo un elemento di pessimismo antropologico. E che quindi confondiamo  i fatti con i valori. Ma le stesse considerazione non  possono valere per l’ottimismo antropologico?
A dire il vero,  crediamo che  Fabio Massimo Nicosia  non sia ottimista né pessimista (antropologico), ma  un realista che crede nella logica analitica dei concetti, se rettamente intesi,  e delle istituzioni, quando frutto di consapevoli  decisioni individuali. Egli crede, secondo la migliore tradizione anglo-sassone, nel common law, che è diritto collettivo e del singolo al tempo stesso, che nasce in basso e non viene dall'alto. Semplificando al massimo: consuetudini giuridiche con radici sociali, contro motorizzazione dall'alto del diritto.  Un farsi in comune che parte dall’individuo e torna all’individuo. Un libero fluire delle cose, dei diritti e degli uomini. Un realismo placido del buon senso, senza vinti né vincitori. solo banditori di se stessi.  Ammirevole. Il rischio però è che il  politico, nel senso metapolitico qui inteso,  come la verità, poi finisca per vendicarsi.

Carlo Gambescia      
                  

          

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