L’ultima fatica di Fabio Massimo Nicosia
Quell’abusivo dello Stato…
Ci
sono dei libri interessanti a prescindere. Si può essere d’accordo o meno con
le tesi dell’autore, ma li si deve leggere, perché, comunque sia, arricchiscono la conoscenza, forniscono
prospettive originali, segnalano altri volumi
che vanno letti se non riletti in
una luce nuova.
A questa categoria di testi
appartiene l’ultima fatica di Fabio Massimo Nicosia, L’abusiva legittimità. Dallo
Stato ai common trust (De
Ferrari Editore, Genova 2018, pp. 505, euro 35,00).
Nicosia è un avvocato, studioso di filosofia, diritto, economia e politica, su posizioni libertarie e analitiche, nei termini di un' indagine flosofico-linguistica dei concetti usati nelle dottrine giuridiche ed economiche (insomma, come combattere
il fuoco con il fuoco).
Per capirne meglio la posizione, probabilmente unica nel panorama anti-statolatrico italiano, se non internazionale, vanno letti, tra i suoi numerosi scritti, due volumi in particolare: Il dittatore libertario - Anarchia analitica, tra comunismo di mercato, rendita esistenza e sovranity share (Giappichelli, Torino 2011) e Beati possidentes (Liberilibri, Macerata 2004).
Per capirne meglio la posizione, probabilmente unica nel panorama anti-statolatrico italiano, se non internazionale, vanno letti, tra i suoi numerosi scritti, due volumi in particolare: Il dittatore libertario - Anarchia analitica, tra comunismo di mercato, rendita esistenza e sovranity share (Giappichelli, Torino 2011) e Beati possidentes (Liberilibri, Macerata 2004).
In
questo senso, una volta approfondito il pensiero di Nicosia, sarebbe
interessare tentare comparazioni con le analisi di Hoppe e Block sul fronte
an-archico e di Nozick (il
primo) e Hayek su quello micro-archico,
nonché con quelle archiche di De Jouvenel e Aron (sulle categorie archico,
an-archico, micro-archico, macro-archico si veda il nostro Liberalismo triste. Un percorso: da Burke a Berlin, Il Foglio
Piombino 2012).
Ma
torniamo sul punto. In L’abusiva legittimità, per parafrasare il titolo di un famoso libro
di Ronald Dworkin, Nicosia mostra e prova di essere dalla parte del mercato, ma, attenzione: solo quando la mano invisibile, un misto di interessi e simpatia (se abbiamo ben capito la riposta di Nicosia al "problema" Adam Smith), viene presa sul serio.
Come? Nel senso di una moderata pienezza economica di partenza degli attori (insomma, un qualche appetito deve rimanere), da raggiungere redistribuendo e monetizzando tra i cittadini i beni patrimoniali dello stato, disponibili e indisponibili. In sintesi: dal Colosseo alle spiagge. Beni, che prima però andrebbero contabilizzati e iscritti nel bilancio dello stato, proprio per l’elevatissimo valore che hanno. Dopo di che, gli stessi beni andrebbero ceduti ai cittadini, a completamento del processo di monetizzazione-redistribuzione di cui sopra. Dulcis in fundo, i cittadini potrebbero - O dovrebbero? Potrebbero... - anche associarsi per gestire, ad esempio, il marchio Colosseo, eccetera, eccetera. Soldi, soldi su soldi, onda su onda, per dirla con Paolo Conte.
Ciò significa che lo stato dovrebbe fare almeno dieci passi indietro. Nessuna distruzione violenta, bensì autoconsunzione ad opera di una società degli individui, che si trasforma, auto-organizzandosi liberamente, dall’emissione di moneta, alle gestione del patrimonio artistico, alla protezione sociale, e così via. Un capital-comunismo, gentile e libertario. Oppure, se si preferisce, mano invisibile, ma presa sul serio.
Come? Nel senso di una moderata pienezza economica di partenza degli attori (insomma, un qualche appetito deve rimanere), da raggiungere redistribuendo e monetizzando tra i cittadini i beni patrimoniali dello stato, disponibili e indisponibili. In sintesi: dal Colosseo alle spiagge. Beni, che prima però andrebbero contabilizzati e iscritti nel bilancio dello stato, proprio per l’elevatissimo valore che hanno. Dopo di che, gli stessi beni andrebbero ceduti ai cittadini, a completamento del processo di monetizzazione-redistribuzione di cui sopra. Dulcis in fundo, i cittadini potrebbero - O dovrebbero? Potrebbero... - anche associarsi per gestire, ad esempio, il marchio Colosseo, eccetera, eccetera. Soldi, soldi su soldi, onda su onda, per dirla con Paolo Conte.
Ciò significa che lo stato dovrebbe fare almeno dieci passi indietro. Nessuna distruzione violenta, bensì autoconsunzione ad opera di una società degli individui, che si trasforma, auto-organizzandosi liberamente, dall’emissione di moneta, alle gestione del patrimonio artistico, alla protezione sociale, e così via. Un capital-comunismo, gentile e libertario. Oppure, se si preferisce, mano invisibile, ma presa sul serio.
Dal
punto di vista di una teoria del diritto, dell’economia e della società, siamo dinanzi a un maestoso disegno che si
oppone a qualsiasi ipotesi di società gestita dall’alto, da un stato opprimente, abusivo o addirittura ladro di legittimità
(nella sua versione totalitaria sia pubblica che, peggio ancora, privata e
pubblica insieme). Nicosia tratteggia insomma una società che si sviluppa dal basso,
autogestendosi e autolegittimandosi,
attraverso produzione, scambio e consumo, tutto rigorosamente a somma
positiva.
Naturalmente,
abbiamo sintetizzato uno studio di
cinquecento pagine, diviso in due grandi sezioni: “I. la pretesa abusiva al monopolio della
legittimità” (pp. 17-358); “II. La soluzione di diritto comune al paradosso
unisoggettivo “(pp. 359-502), divisi in numerosi sezioni e sottosezioni.
Il
lettore però non si spaventi: il libro
si legge d’un fiato, diremmo al galoppo: ci si immerge in "ritmi, canzoni, donne di sogno, banane e lamponi (per dirla sempre Paolo Conte). Nicosia, mostra di saper tenere la
penna in mano. Perfino le note al testo, non poche, dalle bibliografiche alle esplicative, fino a quelle in cui indicano, en passant, nuove prospettive di
ricerca, si leggono con piacere, diremmo soddisfazioni e gratitudine. "Stupenda l'isola è, ci sono palme bambù, è un luogo pieno di virtù", per citare di nuovo il Maestro.
Fabio Massimo Nicosia |
Nella
prima sezione si affronta alla decostruzione analitica dello stato,
autocentrato su se stesso, monopolista o
quasi, senza scuse, che abusa del
proprio potere reinventando di volta, la propria sfera di legittimità,
allargandola alla tutela di diritti sempre più improbabili, ma capaci di favorire una
sottomissione di cittadini semisocializzati,
schiavi e contenti.
Nella
seconda sezione, si vola ancora più alto, verso il nuovo disegno
di una società autogestita, dove ogni singolo è banditore di se stesso,
fluttuando da un common trust, o fondo
sociale all’altro, da una associazione museale a una balneare, emettendo moneta, pagando stipendi,
realizzando profitti. Con sullo sfondo un stato che va deperendo, perché sempre
più inutile dal punto di vista della
costruzione sociale. E il tutto su un piano, grazie alla preventiva
redistribuzione tra cittadini, non più da schiavi del diritto statale, ma da singoli proprietari effettivi, con tanto di poteri di
godimento e disposizione, di un patrimonio pubblico, prima inerte, ora trasformato, in moneta di cittadinanza, ma anche in flusso
reddituale e ricchezza collettiva, senza che per tutto questo ben di dio nessuno debba ringraziare nessuno. Ripetiamo: la mano invisibile, presa sul serio.
Diciamo
che quello di Nicosia è un istituzionalismo sociale, a base individualistica, di grande rigore e
consequenzialità, che poggia su indubbie basi utilitaristiche: ma, attenzione, quello che il costruttivismo welfarista (da
Bentham a Pigou) riconduce all’idea di uno stato benefattore, nel libro di Nicosia viene ricondotto
all’individuo, benefattore di stesso,
e di riflesso, una volta monetizzati i
punti di partenza, di una libera società
delle istituzioni e non di una istituzione,
lo stato, come oggi lo conosciamo, con tutto intorno un ristretto nucleo di avvoltoi, di assatanati competitor e "corporati".
L’escamotage
teorico della
contabilizzazione-monetizzazione. redistribuzione dei beni patrimoniali, come vòlano, prima
della parificazione poi della crescita, è
in qualche misura la mossa vincente nella gigantesca partita a scacchi con il potere, intrapresa, crediamo fin da giovane
studente, da Massimo Nicosia.
Vincente
in teoria. E in pratica? Difficile dire.
Se c’è un grande assente in
questo libro, a nostro avviso, libro comunque importante, da leggere e metabolizzare, lo si può ravvisare nell’assenza del
politico, come distinzione tra amico-nemico, istituzione-movimento,
progresso-decadenza, comando-obbedienza e di altre costanti e regolarità, da noi definite, sociologicamente, come metapolitiche (cfr. G.
Gambescia, Metapolitica. L’altro sguardo sul potere, Edizioni il Foglio,
Piombino 2009). Forme della politica,
nel senso che pur cambiando nei contenuti storici, rimangono inalterate,
riproponendosi in età diverse. Insomma, una metapolitica concreta, non musica da camera intorno all'idea di stato perfetto.
Nicosia,
quando affronta la questione delle origini dello stato, si occupa della
questione della violenza, della conquista, della sottomissione. L’impressione
però è che si accontenti di una visione patologica del potere. Il quale,
invece, piaccia o meno, ha una sua
fisiologia. Delle forme metapolitiche,
come abbiamo visto. Ci spieghiamo meglio, formulando un domanda,
da banditori di noi stessi.
Come
escludere, che - semplificando - una volta contabilizzati, redistribuiti e monetizzati i beni
patrimoniali non si riformi un
qualche monopolio politico, perché i nemici, i processi di
istituzionalizzazione, disciplina e
capi, pena la decadenza di un sistema politico e sociale, ci sono e ci saranno sempre?
Ci
si può rispondere che, ponendo la questione, introduciamo un elemento di pessimismo antropologico. E
che quindi confondiamo i fatti con i
valori. Ma le stesse considerazione non
possono valere per l’ottimismo antropologico?
A
dire il vero, crediamo che Fabio Massimo
Nicosia non sia ottimista né pessimista (antropologico), ma un realista che crede nella logica analitica dei
concetti, se rettamente intesi, e delle
istituzioni, quando frutto di consapevoli
decisioni individuali. Egli crede, secondo la migliore tradizione
anglo-sassone, nel common law, che è diritto collettivo e del singolo al tempo
stesso, che nasce in basso e non viene dall'alto. Semplificando al massimo: consuetudini giuridiche con radici sociali, contro motorizzazione dall'alto del diritto. Un farsi in comune che parte dall’individuo e torna all’individuo. Un
libero fluire delle cose, dei diritti e degli uomini. Un realismo placido del
buon senso, senza vinti né vincitori. solo banditori di se stessi. Ammirevole. Il rischio però è che il politico, nel senso metapolitico qui
inteso, come la verità, poi finisca per
vendicarsi.
Carlo Gambescia
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