"Governo del cambiamento"? Si cominci allora dall’inversione
dell’onere della prova per le obbligazioni tributarie
O con Einaudi o con i suoi nemici
di Teodoro Klitsche de la Grange
Salvini – ma tutto il “governo del cambiamento”
lo sostiene – dice che è necessario abrogare l’inversione dell’onere della
prova per alcune obbligazioni tributarie. L’intenzione, condivisibile, riduce
comunque solo la punta dell’iceberg
dei privilegi (sostanziali e processuali) della P.A. nei confronti del privato,
spesso del tutto ingiustificati rispetto alle reali necessità pubbliche, come
ai diritti dei cittadini.
A tale proposito, e sintetizzando, circa un
secolo fa scriveva un grande giurista francese, Maurice Hauriou che nello Stato
il diritto e la giustizia erano duplici: c’erano un diritto disciplinare e un
diritto comune, cui corrispondevano una giustizia disciplinare (Temi) e una
giustizia comune (Dike).
Ambedue le specie di diritto, istituzionale e
comune, sono necessari, perché la società politica e quella economica non sono
“praticamente separabili l’una dall’altra”; nella concezione di Hauriou, ai due
diritti sostanziali corrispondono
analoghi diritti processuali, caratterizzati
dall’eguaglianza/e non eguaglianza delle parti e dal connotato di un rapporto
(tra le stesse) gerarchico o meno.
Nell’ordinamento italiano vigente la posizione
di non parità tra P.A. e privato deriva da una serie di “privilegi” e
“disparità” a favore del potere pubblico, in parte riflettentisi nelle
procedure giudiziari amministrative e tributarie (meno in quella ordinaria) quali:
1) Il carattere intrinsecamente esecutorio del
provvedimento amministrativo (anche eseguibile ed esecutivo) cui, ovviamente, non corrisponde analoga
situazione del privato.
2) Di conseguenza il potere pubblico non deve
adire il Giudice per realizzare una pretesa, almeno negli ordinamenti
“continentali”. Il privato si,
3) Anche se il giudice emette una sentenza o
comunque un provvedimento a favore del privato e a carico della pubblica
amministrazione, la pronuncia del Giudice non corrisponde alla pienezza dello jussum
tra privati. Alcune statuizioni,
sono del tutto vietate, come la revoca o modifica degli atti amministrativi
4) Determinate azioni non possono essere
proposte (o proposte solo in casi determinati) nei confronti delle PP.AA.
(possessorie e non solo).
5) Quello che è peggio è che lo stesso decisum ed anche se giudicato, non è, ove ad esser debitore è la P.A ., trattato allo stesso
modo che se ad esserlo è un privato. Esiste infatti una folta (ed
apparentemente) disordinata legislazione[1]
volta ad impedire – o almeno a ritardare – la soddisfazione delle pretese nei
confronti della P.A., particolarmente diffusa negli ultimi venticinque anni e
che è il caso di rivedere radicalmente. La legislazione suddetta vieta
determinate azioni esecutive verso pubbliche amministrazioni (spesso di
settore); istituisce termini dilatori a loro favore; talvolta impone ai Giudici
la nomina di Commissari ad acta
dipendenti delle stesse PP.AA. debitrici e così via. Tutte norme derogative di
quanto prescritto per i privati[2].
E si potrebbe proseguire a lungo. È chiaro
comunque che esistono differenze sostanziali, ripetute e crescenti tra il diritto applicato ai rapporti privati e quello tra
P.A. e privati. Temi e Dike non sono mai state così distanti, come
nell’ordinamento italiano della “seconda” Repubblica.
Tutti tali privilegi e disparità sono stati di
nessuna utilità, anzi spesso hanno svolto la funzione di moltiplicatori dello
sfascio burofinanziario nazionale.
Negli ultimi venticinque anni il prelievo fiscale è aumentato; il debito
pubblico non è calato; la spesa per il personale pubblico aumentato (dal 1980
al 2005 da € 21.822,00 a
€ 155.533,00) di circa 7 volte (fonte Eurispes), anche se, depurato dall’inflazione,
detto aumento è molto meno drammatico; l’efficienza della P.A. (addotta spesso
come ragione di privilegi e poteri) continua ad essere bassa e molto inferiore
agli altri paesi europei continentali dotati cioè di un diritto amministrativo
simile al nostro. Segno che tra poteri reclamati dalla burocrazia e efficienza
della medesima non c’è quel rapporto virtuoso
che viene sbandierato.
Attualmente in Italia nel processo tributario
non sono ammessi giuramento, interrogatorio formale (è dubbio) e prova
testimoniale; in quello amministrativo la prova per testi è ammissibile, il
giuramento e l’interrogatorio formale no. La P.A. non ha necessità di chiedere al Giudice un
titolo esecutivo, ma lo forma da se (privilegio decisivo); l’atto
amministrativo gode della presunzione di legittimità; l’azione giudiziaria del
privato non sospende l’esecutorietà dell’atto, ma questa dev’essere richiesta e
disposta dal Giudice, e così via. Quando poi malgrado tutto ciò, il privato ottiene
ragione, comincia la via crucis
dell’esecuzione della sentenza, tra espedienti dilatori, trabocchetti e
quant’altro, per lo più dovuti all’acuto
senso dello stato di burocrati e
politici della “seconda” Repubblica.
Si chiedeva il mio insegnante di diritto
amministrativo Massimo Severo Giannini oltre cinquant’anni fa, quando la
disparità tra privato e amministrazione era meno drammatica di oggi, in
relazione al più semplice diritto inglese “l’ordinamento inglese, in cui nessun
geniale giurista inventò il diritto amministrativo… è giunto più avanti degli
ordinamenti continentali. Sulla distanza il diritto amministrativo
«continentale» si è rivelato una complicazione ed un impaccio. Che sia arrivato
il tempo di distruggerlo?”.
Per cui speriamo che una delle missioni del “governo
del cambiamento” non sia (solo) di
rivedere l’inversione dell’onere probatorio, ma molto di più: di ripristinare,
salvo casi eccezionali (guerre, disastri naturali e così via) la posizione di
parità tra le parti (più Dike e meno Temi), o meglio di ridurne le distanze.
L’efficienza della P.A. non ne subirebbe nocumento, ma la libertà ne avrebbe da
guadagnare.
Silvio Spaventa e Luigi Einaudi sarebbero
d’accordo.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ). Tra
i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il salto di
Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
[1] Il disordine è apparente, perché lo
scopo di tutte le norme è lo stesso: impedire o ritardare i pagamenti dei
creditori della P.A..
[2] Tale legislazione è spesso giustificata
con la situazione di emergenza della finanza pubblica. Ma è chiaro che, come sa
qualsiasi bonuspaterfamilias, il modo
migliore per ridurre il disavanzo pubblico è pagare i debiti e non
procrastinarli (quindi perpetuarli) nel tempo.