sabato 16 giugno 2018

La riflessione
Neofascisti? 
Che barba, che noia...

Neofascisti in Campidoglio, "festeggiano" l'elezione di Gianni Alemanno a Sindaco di Roma (Fonte: http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/politica/saluti-romani-alemanno/1.html


Un mondo pittoresco ma pericoloso
Conosciamo molto bene l’ambiente neofascista, in tutte le sue sfumature, dai camerati pazzi e disperati  che scorgono alleati perfino nel Daesh ai mascalzoni corrotti, o solo stupidamente ambiziosi  che,  una volta promossi,  hanno  dato pessima prova di governo  negli anni berlusconiani. 
In mezzo,  una fauna di scontenti, falliti, mitomani, post-funzionari e post-giornalisti di partito, cacciatori di fondi pubblici per improbabili iniziative "culturali" , gente, gli ultimi in particolare, che non ha ancora capito che la festa è finita.  Ognuno però  con la sua parola d’ordine che rinvia al fascismo immaginario e reale. Sostanzialmente, dal punto di vista ideologico, si tratta di un mondo pittoresco, ma pericoloso, che, pur con sfumature diverse, ha mantenuto un rapporto contraddittorio  con la modernità: si va dal rifiuto all' accettazione  dei suoi mezzi  e,  in qualche misura  anche di alcuni  fini.   In sintesi, il panorama va  da chi  vuole chiudere le discoteche e allungare le gonne  ai fantasisti delle idee che evocano il libertarismo fascista... Insomma, che barba,  che noia...

Il rifiuto dell'individualismo moderno
Quel che invece  il  neofascismo  non accetta e non accetterà mai  è la filosofia individualistica della modernità, il prevalere ontologico  dell’ individuo sulla società,  se si vuole della parte sul tutto. Per farla breve:  il libero arbitrio e i suoi importanti derivati politici, culturali, economici  Di qui viene la negazione della democrazia liberale  e rappresentativa e del libero mercato, istituti che antepongono l’individuo ai suoi prodotti sociali, inclusa, tra questi ultimi,  la perniciosa ideologia della supremazia di una razza sull'altra.
Alle radici  storiche del fascismo, filosoficamente parlando, c’è il rifiuto dell’autoderminazione individuale.  Regola che però non varrebbe, come spesso si legge,  per gli individui superiori, le guide e  i capi. Di conseguenza, il neofascista  costretto a muoversi suo malgrado, nella  liberal-democrazia, utilizza i mezzi, graziosamente forniti dall’odiato “sistema”,   per infangare le élite liberali, ergendosi a difensore del popolo, preferibilmente caucasico, oppure anche non bianco, però  "a casa sua". Pertanto -  attenzione -  il populismo è una componente fondamentale  del fascismo, per così dire, in democrazia. La formula politica,  nella sua purezza,  risale al bonapartismo (Napoleone III), con il  suo pendant plebiscitario e autoritario.

La  metapolitica  male intesa
In genere, la critica neofascista al “sistema”  è  poco interessante, riprende i temi del pensiero reazionario (controrivoluzionario),  modernizzandoli quanto basta, anche alla luce, come ha mostrato Nolte, del comunismo, anche di sinistra, adottandone il classimo antiborghese, ma in chiave gerarchica e altrettanto totalitaria.
Non ci si faccia portare fuori strada dagli ammodernamenti di tipo letterario, cinematografico, fantascientifico, eccetera, escogitati  da certo neofascismo mimetico, presunto colto, che sotto modalità  freak, tenta improbabili rinascite in nome di una metapolitica male intesa.  Condannata, come insegna la sociologia, proprio perché di parte, a generare reazioni di segno contrario: uno scrittore quanto più serve un partito  tanto più perde autorità all’esterno di esso. In conseguenza di ciò, la metapolitica  dell’azione sociale (per distinguerla da quella teorica), per funzionare, per  conquistare autorità all’esterno deve purtroppo  avvalersi della psicologia sociale  con i suoi  stereotipi e "trucchi" mediatici,  che sono gli stessi degli avversari, ai quali però se ne  rimprovera l'uso. Se ci si perdona la caduta di stile, al contrario del famigerato confetto Falqui, per la metapolitica, non basta la parola...
Però,  non  è solo un problema di dover giocare sporco, magari auto-giustificandosi, per la serie Machiavelli spiegato ai mafiosi.  Il vero punto della questione, sotto l'aspetto squisitamente sociologico,  è che esiste un plusvalore oggettivo tipico dell'universalismo.  In qualche misura,  si va oltre Machiavelli e, soprattutto, una visione meccanicistica della politica, tipo macchinetta distributrice di bibite: si  mettono i cinquanta centesimi, si spinge il bottone, e scende il caffè zuccherato alla metapolitica di canna.   Ci spieghiamo meglio.   

Il "potere sociale" delle idee
I valori (ciò che socialmente vale e attrae perché tale)  quanto più sono universali, tanto più -  piaccia o meno  - tendono ad aggregare: lo scrittore, per tornare al nostro esempio che “serve” un partito universalista avrà sempre maggiore autorità e quindi  più probabilità e possibilità  di "vincere" rispetto al partito (o ai portatori)  per così dire, di valori particolaristi, che, proprio perché tali, sono invece costitutivamente portati  a dividere e generare reazioni contrarie o semplicemente contrastanti. Tradotto: il razzismo non paga.  
Si chiama "potere sociale" delle idee, e non è di destra né di sinistra, né liberale né fascista, eccetera, eccetera,  Esiste, sociologicamente,  punto e basta. Pertanto, l’universalismo, come insegna la sociologia storica  comparata di Roma, del Cristianesimo e della Modernità ( per fare solo alcuni esempi) è in sintonia  con i meccanismi  aprioristici del  "potere sociale", ora descritti  ed enucleati dalla sociologia. Il che però non significa che l'universalismo non incontri avversari e talvolta non abusi della sua  autorità, come hanno dimostrato gli studi di Sorokin sulla dinamica sociale e culturale. 

Il mondo neofascista,  ha il suo punto debole  proprio nel particolarismo  o “partitismo”.  Con eccezioni, ovviamente:  nei meno incolti si può scorgere  un  richiamarsi ai valori di una tradizione universale, pre-moderma, oppure romana, cristiana, eccetera.   Però  il punto è, che, alla fin fine, qualsiasi richiamo alla tradizione (per semplificare),  prescinde dalla valorizzazione dell’individuo rispetto alla società. C’è, e ci sarà sempre, nel fascismo (sia storico che neo) una gerarchia simbolica e reale, che  precede e ingloba l’individuo. Una cosa della quale non si discute. E qui ritorniamo alla deriva razzista. Certo -  nessuno lo nega -   anche la modernità, come ogni forma sociale,  ha le sue gerarchie, però non le idealizza in quanto tali. Si può dire, per contro, che la modernità,  sia portata a  idealizzare  i diritti dell’individuo su basi universalistiche.
Di qui, piaccia o meno, il maggiore "potere sociale" delle sue idee, come del resto  la sua larga popolarità, dal momento che sono idee che uniscono, non dividono. Un consenso che aiuta a vincere le discriminazione razziale.  E, che, ovviamente, come ogni fenomeno sociale, ha i suoi effetti di ricaduta, anche negativi. I diritti dell’uomo ne sono la sua forza ma anche  la sua debolezza.   Qui il rischio insito nell'accettazione piena del moderno. Alea  che, naturalmente, non può essere condivisa, da chi si opponga al moderno, o comunque ne rifiuti le potenzialità racchiuse nella filosofia individualistica.    

La retorica dell'intransigenza
Del resto, non esistono mondi perfetti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai neofascisti. Chi scrive ha tentato, però con scarsi risultati. Come ha  tentato anche  Giano Accame,  probabilmente con  maggiore autorevolezza, cultura e sensibilità  di noi.  Ma non è andata bene lo stesso, come  cerchiamo di provare nel libro che gli abbiamo dedicato.  Per dirla con mio nonno, i neofascisti sono ciucci e presuntuosi. In quel mondo, per dirla con Hirschman,  prevale la retorica dell'intransigenza. E i transigenti non hanno vita facile.  Se i neofascisti  avessero l’onestà di guardarsi indietro, al grande macello della guerra civile europea,  capirebbero di non avere titoli per criticare la moderna società dei diritti. Con tutti i suoi difetti, per carità.  
Ovviamente, il neofascismo spicciolo, di cui Fb sembra essere la nuova ridotta della Valtellina, neppure si pone questo problema. Il livello culturale è pietoso. Il neofascista digitale, come suo costume,  romanticamente (nel senso "occasionalistico", ben colto da Carl Schmitt),  sembra essere, come sempre,  in cerca di rivincite,  usando un linguaggio di sinistra, apparentemente alternativo,  che, come ha ben mostrato Sternhell, risale addirittura alla Francia passata attraverso i due Napoleoni,  in particolare Napoleone III.  Nulla di nuovo sotto il sole.  Nei casi, letterariamente più interessanti, assistiamo al deliquio ideologico del  von Aschenbach, di turno,  persosi  dietro al giovane Tadzio digitale.         
Attualmente,  il neofascismo, nelle sue diverse sfumature,  qui in Italia,  sembra essersi innamorato (cotto) del populista Salvini.  Il linguaggio  e i  contenuti che si celano sotto le dichiarazioni d’amore, non sembrano però essere  mutati.  La solita lagna. Diciamo però che si tratta di uno spettacolo ridicolo e inquietante al tempo stesso. 

Carlo Gambescia