La riflessione
Neofascisti?
Che barba, che noia...
Che barba, che noia...
Neofascisti in Campidoglio, "festeggiano" l'elezione di Gianni Alemanno a Sindaco di Roma (Fonte: http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/politica/saluti-romani-alemanno/1.html |
Un mondo pittoresco ma pericoloso
Conosciamo molto bene l’ambiente neofascista, in tutte le sue sfumature, dai camerati pazzi e disperati che scorgono alleati perfino nel Daesh ai mascalzoni corrotti, o solo stupidamente ambiziosi che, una volta promossi, hanno dato pessima prova di governo negli anni berlusconiani.
In
mezzo, una fauna di scontenti, falliti,
mitomani, post-funzionari e post-giornalisti di partito, cacciatori di fondi pubblici per improbabili iniziative "culturali" , gente, gli ultimi in particolare, che non ha ancora capito che la festa è finita. Ognuno però con la sua parola
d’ordine che rinvia al fascismo immaginario e reale. Sostanzialmente, dal punto
di vista ideologico, si tratta di un mondo pittoresco, ma pericoloso, che, pur con sfumature diverse, ha
mantenuto un rapporto contraddittorio
con la modernità: si va dal rifiuto all' accettazione dei suoi mezzi e, in
qualche misura anche di alcuni fini. In sintesi, il panorama va da chi vuole chiudere le discoteche e allungare le gonne ai fantasisti delle idee che evocano il libertarismo fascista... Insomma, che barba, che noia...
Il rifiuto dell'individualismo moderno
Quel che invece il neofascismo non accetta e non accetterà mai è la filosofia individualistica della modernità, il prevalere ontologico dell’ individuo sulla società, se si vuole della parte sul tutto. Per farla breve: il libero arbitrio e i suoi importanti derivati politici, culturali, economici Di qui viene la negazione della democrazia liberale e rappresentativa e del libero mercato, istituti che antepongono l’individuo ai suoi prodotti sociali, inclusa, tra questi ultimi, la perniciosa ideologia della supremazia di una razza sull'altra.
Alle radici storiche del fascismo,
filosoficamente parlando, c’è il rifiuto
dell’autoderminazione individuale.
Regola che però non varrebbe, come spesso si legge, per gli individui superiori, le guide e i capi. Di conseguenza, il neofascista costretto a muoversi suo malgrado, nella liberal-democrazia, utilizza i mezzi, graziosamente forniti dall’odiato “sistema”, per infangare le élite liberali,
ergendosi a difensore del popolo, preferibilmente caucasico, oppure anche non bianco, però "a casa sua". Pertanto - attenzione - il populismo è una componente fondamentale del fascismo, per così dire, in democrazia.
La formula politica, nella sua
purezza, risale al bonapartismo
(Napoleone III), con il suo pendant plebiscitario e autoritario.
La metapolitica male intesa
In genere, la critica neofascista al “sistema” è poco interessante, riprende i temi del pensiero reazionario (controrivoluzionario), modernizzandoli quanto basta, anche alla luce, come ha mostrato Nolte, del comunismo, anche di sinistra, adottandone il classimo antiborghese, ma in chiave gerarchica e altrettanto totalitaria.
Non
ci si faccia portare fuori strada dagli ammodernamenti di tipo letterario, cinematografico, fantascientifico, eccetera, escogitati da certo neofascismo mimetico,
presunto colto, che sotto modalità freak,
tenta improbabili rinascite in nome di una metapolitica male intesa. Condannata, come insegna la sociologia,
proprio perché di parte, a generare reazioni di segno contrario: uno scrittore
quanto più serve un partito tanto più
perde autorità all’esterno di esso. In conseguenza di ciò, la metapolitica dell’azione sociale (per distinguerla da
quella teorica), per funzionare, per
conquistare autorità all’esterno deve purtroppo avvalersi della psicologia
sociale con i suoi stereotipi e "trucchi" mediatici, che sono gli stessi degli avversari, ai quali però se ne rimprovera l'uso. Se ci si perdona la caduta di stile, al contrario del famigerato confetto Falqui, per la metapolitica, non basta la parola...
Però, non è solo un problema di dover giocare sporco, magari auto-giustificandosi, per la serie Machiavelli spiegato ai mafiosi. Il vero punto della questione, sotto l'aspetto squisitamente sociologico, è che esiste un plusvalore oggettivo tipico dell'universalismo. In qualche misura, si va oltre Machiavelli e, soprattutto, una visione meccanicistica della politica, tipo macchinetta distributrice di bibite: si mettono i cinquanta centesimi, si spinge il bottone, e scende il caffè zuccherato alla metapolitica di canna. Ci spieghiamo meglio.
Però, non è solo un problema di dover giocare sporco, magari auto-giustificandosi, per la serie Machiavelli spiegato ai mafiosi. Il vero punto della questione, sotto l'aspetto squisitamente sociologico, è che esiste un plusvalore oggettivo tipico dell'universalismo. In qualche misura, si va oltre Machiavelli e, soprattutto, una visione meccanicistica della politica, tipo macchinetta distributrice di bibite: si mettono i cinquanta centesimi, si spinge il bottone, e scende il caffè zuccherato alla metapolitica di canna. Ci spieghiamo meglio.
Il "potere sociale" delle idee
I valori (ciò che socialmente vale e attrae perché tale) quanto più sono universali, tanto più - piaccia o meno - tendono ad aggregare: lo scrittore, per tornare al nostro esempio che “serve” un partito universalista avrà sempre maggiore autorità e quindi più probabilità e possibilità di "vincere" rispetto al partito (o ai portatori) per così dire, di valori particolaristi, che, proprio perché tali, sono invece costitutivamente portati a dividere e generare reazioni contrarie o semplicemente contrastanti. Tradotto: il razzismo non paga.
Si chiama "potere sociale" delle idee, e non è di destra né di sinistra, né liberale né fascista, eccetera, eccetera, Esiste, sociologicamente, punto e basta. Pertanto, l’universalismo, come insegna la sociologia storica comparata di Roma, del Cristianesimo e della Modernità ( per fare solo alcuni esempi) è in sintonia con i meccanismi aprioristici del "potere sociale", ora descritti ed enucleati dalla sociologia. Il che però non significa che l'universalismo non incontri avversari e talvolta non abusi della sua autorità, come hanno dimostrato gli studi di Sorokin sulla dinamica sociale e culturale.
Il
mondo neofascista, ha il suo punto
debole proprio nel particolarismo o “partitismo”. Con eccezioni, ovviamente: nei meno incolti si può scorgere un richiamarsi ai valori di
una tradizione universale, pre-moderma, oppure romana, cristiana, eccetera. Però
il punto è, che, alla fin fine, qualsiasi richiamo alla tradizione (per semplificare), prescinde dalla valorizzazione dell’individuo rispetto alla società. C’è, e ci sarà sempre, nel fascismo (sia storico che neo) una
gerarchia simbolica e reale, che precede
e ingloba l’individuo. Una cosa della quale non si discute. E qui ritorniamo alla deriva razzista. Certo - nessuno
lo nega - anche la modernità, come ogni
forma sociale, ha le sue gerarchie, però non le idealizza in quanto tali. Si può dire, per contro, che la modernità, sia portata a idealizzare i diritti dell’individuo su basi
universalistiche.
Di qui, piaccia o meno, il maggiore "potere sociale" delle sue idee, come del resto la sua larga popolarità, dal momento che sono idee che uniscono, non dividono. Un consenso che aiuta a vincere le discriminazione razziale. E, che, ovviamente, come ogni fenomeno sociale, ha i suoi effetti di ricaduta, anche negativi. I diritti dell’uomo ne sono la sua forza ma anche la sua debolezza. Qui il rischio insito nell'accettazione piena del moderno. Alea che, naturalmente, non può essere condivisa, da chi si opponga al moderno, o comunque ne rifiuti le potenzialità racchiuse nella filosofia individualistica.
Di qui, piaccia o meno, il maggiore "potere sociale" delle sue idee, come del resto la sua larga popolarità, dal momento che sono idee che uniscono, non dividono. Un consenso che aiuta a vincere le discriminazione razziale. E, che, ovviamente, come ogni fenomeno sociale, ha i suoi effetti di ricaduta, anche negativi. I diritti dell’uomo ne sono la sua forza ma anche la sua debolezza. Qui il rischio insito nell'accettazione piena del moderno. Alea che, naturalmente, non può essere condivisa, da chi si opponga al moderno, o comunque ne rifiuti le potenzialità racchiuse nella filosofia individualistica.
La retorica dell'intransigenza
Del resto, non esistono mondi perfetti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo ai neofascisti. Chi scrive ha tentato, però con scarsi risultati. Come ha tentato anche Giano Accame, probabilmente con maggiore autorevolezza, cultura e sensibilità di noi. Ma non è andata bene lo stesso, come cerchiamo di provare nel libro che gli abbiamo dedicato. Per dirla con mio nonno, i neofascisti sono ciucci e presuntuosi. In quel mondo, per dirla con Hirschman, prevale la retorica dell'intransigenza. E i transigenti non hanno vita facile. Se i neofascisti avessero l’onestà di guardarsi indietro, al grande macello della guerra civile europea, capirebbero di non avere titoli per criticare la moderna società dei diritti. Con tutti i suoi difetti, per carità.
Ovviamente,
il neofascismo spicciolo, di cui Fb sembra essere la nuova ridotta della Valtellina, neppure si pone questo problema. Il livello culturale è pietoso. Il neofascista digitale, come suo costume, romanticamente
(nel senso "occasionalistico", ben colto da Carl Schmitt), sembra essere, come sempre, in cerca di
rivincite, usando un linguaggio di sinistra, apparentemente alternativo, che, come ha
ben mostrato Sternhell, risale addirittura alla Francia passata attraverso i due Napoleoni, in particolare Napoleone III. Nulla di nuovo sotto il sole. Nei casi, letterariamente più interessanti, assistiamo al deliquio ideologico del von Aschenbach, di turno, persosi dietro al giovane Tadzio digitale.
Attualmente,
il neofascismo, nelle sue diverse
sfumature, qui in Italia, sembra essersi innamorato (cotto) del populista
Salvini. Il linguaggio e i contenuti
che si celano sotto le dichiarazioni d’amore, non
sembrano però essere mutati. La solita
lagna. Diciamo però che si tratta di uno
spettacolo ridicolo e inquietante al tempo stesso.
Carlo Gambescia