La rovente polemica sul patriarcalismo rinvia e si restringe alle battaglie femministe. In realtà si dovrebbe parlare di un’altra forma di patriarcalismo: quello economico. Che riguarda tutti, uomini e donne, perché impoverisce a prescindere dal genere.
Invece nessuno ne parla. Forse qualche panda liberale, annidato nelle università italiane. Quindi un professore statale che tira avanti in contraddizione con il proprio credo personale che dovrebbe spingerlo a tenersi lontano dallo stato. E che invece vede nelle università private – le poche esistenti – solo un possibile secondo lavoro: le cosiddette “mezze suole”, il rinforzo economico dell’impiegato statale che un tempo, di sera, teneva i conti della drogheria sotto casa.
Ci scusiamo per la divagazione. Che cos’è il patriarcalismo economico? Un’ economia è patriarcale o paternalistica quando affida allo stato il ruolo di stato padrone che detta regole, promuove lavori pubblici, assegna contributi, concede bonus , manovra il fisco, lucra sui titoli pubblici. .
Un esempio di patriarcalismo economico? Il Pnrr. Intanto, si legga, per capire quanto questa mentalità sia diffusa, cosa ne scrive “il Giornale”, presunto quotidiano liberale, per giunta di proprietà di una famiglia di notissimi imprenditori.
“Il governo Meloni passa l’esame di Bruxelles. Disco verde, infatti, della Commissione europea alle modifiche del Piano nazionale di ripresa e resilienza corretto dall’esecutivo italiano. Ora il Piano, che include anche un capitolo RePowerEu (sulle energie rinnovabili) ha un valore di 194,4 miliardi di euro (122,6 miliardi di euro in prestiti e 71,8 miliardi di euro a fondo perduto) e copre 66 riforme, sette in più rispetto al piano originale, e 150 investimenti” (*).
Capito? Celebrazione dell’ elemosina di stato. Il patriarcalismo economico è fondato sulla mitica credenza che dio-padre, lo stato, immettendo soldi, come si legge, in larga parte “a fondo perduto” oppure presi in prestito, perciò con oneri da coprire con la crescita della pressione tributaria o l'emissione di titoli, riesca miracolosamente a far ripartire l’economia.
In realtà, il padre-padrone stato, con una mano dà (finanziamenti pubblici), con l’altra toglie (tasse e inflazione, una forma, quest’ultima, di tassazione indiretta).
Cosa ci insegna invece la metapolitica? Uno, che il progresso economico è l’esatto contrario del patriarcalismo economico, come mostrano nascita e ascesa dell’economia di mercato. Due, che più denaro si immette nel sistema, più si rischia di sminuire il potere d’acquisto della moneta. Quindi, come dicevamo, si diventa tutti più poveri. Altro che crescita…
Una puntualizzazione. La tecnica dei massicci lavori pubblici – le “transizioni” di oggi – risale agli anni Trenta del Novecento, alla Germania nazista, all’Italia di Mussolini, agli Stati Uniti di Roosevelt. E funzionò per due ragioni: 1) perché poteva contare su economie autarchiche (Germania e Italia) o autosufficienti (Stati Uniti), dove il circuito economico si arrestava ai confini, si pensi perciò a un’economia di villaggio, povera e asfittica; 2) perché la parte maggiore dei denari pubblici fu investita (Germania e poi Stati Uniti) nell’industria degli armamenti, nella produzione, per così dire, di lance, archi e frecce per nativi bellicosi o resi bellicosi dalla propaganda nazionalista.
Tribalismo puro. Detto altrimenti:la grande crisi degli anni Trenta fu superata con la guerra,che permise alle industrie, in particolari militari, di funzionare a pieno regime creando occupazione, anche sotto l’aspetto di milioni di uomini come combustibile in divisa da gettare nella fornace della guerra mondiale. Questo fu, in particolare, il nazionalsocialismo.
Fortunatamente nel secondo dopoguerra, la riapertura dei mercati e il processo di ricostruzione permisero il rilancio dell’’economia di mercato e la fuoriuscita dal patriarcalismo economico. Si ebbe un grande progresso economico culminato nello sviluppo del commercio mondiale. L’esatto contrario dell’autarchia patriarcale.
Oggi, purtroppo, si sta ricadendo nella trappola delle economie chiuse, autosufficienti e finanziate dallo stato. I nazionalisti di ieri, anche europei, sono i sovranisti di oggi.
Quali sono le cause? Memoria corta? Opportunismo? Connivenza tra stato e grandi imprese? Semplice tirare a campare? Magari tutte queste ragioni insieme?
Difficile dire. Comunque sia, con il consenso di un’ Unione Europea che sogna l’autarchia europea, soprattutto nelle componenti politiche di destra, il Pnrr non è che un passo, non secondario, verso il ritorno a un’ economia chiusa, patriarcale, tribale, guidata dal “padreterno” stato. Che poi sia di casa a Bruxelles o Roma è la stessa cosa.
E gli imbecilli del “Giornale”, i presunti liberali, festeggiano.
Che malinconia.
Carlo Gambescia
(* ) Qui: https://www.ilgiornale.it/news/politica/arriva-libera-pnrr-superato-lesame-ue-2246610.html .
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