Il termine femminicidio risale agli anni Novanta dello scorso secolo e indica “l’omicidio di una donna per via della sua appartenenza di genere” (*).
Dal punto di vista dello studio del fenomeno, sociologi, psicologi e criminologi lamentano la scarsità e la frammentazione dei dati complessivi. Si discute dell’ assenza di vere e proprie statistiche storiche capaci di andare oltre i trent’anni. Come pure si critica la politicizzazione della questione che impedisce un’analisi obiettiva del fenomeno.
Comunque sia, secondo i dati raccolti da fonti Istat ed elaborati da Openpolis (2023),
“nel 2022 in Italia si sono registrati 319 omicidi di cui 125 con vittime di sesso femminile (circa il 39%). Un totale di 140 episodi hanno avuto luogo in un contesto domestico e in questo caso 103 hanno colpito donne (quasi il 74%). (…) . Sono stati 67 i delitti commessi da partner o ex partner, 61 con vittime donne, ovvero il 91%.. In generale l’Italia presenta il secondo dato più basso d’Europa per incidenza degli omicidi sul totale della popolazione: 0,48 ogni 100mila abitanti. Più elevato solo di quello del Lussemburgo (0,32) e ben al di sotto della media Ue (0,89). Anche per quanto riguarda gli omicidi di donne il dato italiano è inferiore alla media Ue (0,38 contro 0,66). Tuttavia se negli anni il numero di uomini vittime di omicidio si è fortemente ridotto nel nostro paese, lo stesso non si può dire delle donne (…). Nei primi anni Novanta per ogni donna uccisa erano uccisi 5 uomini. Nel tempo tale rapporto è gradualmente diminuito fino ad arrivare nel 2021 a 1,6. Se poi consideriamo le uccisioni di donne solo da parte di familiari, partner o ex partner della vittima, vediamo che la loro incidenza è lievemente diminuita (da 0,36 nel 2012 a 0,32 nel 2021). Ma è aumentata in rapporto al totale degli omicidi di donne. 85,3% degli omicidi di donne in Italia sono commessi da familiari o (ex) partner (2020). Nel 2012 la quota si attestava invece al 74%, oltre 10 punti percentuali in meno” (**).
Pertanto siamo davanti a dati obiettivi che confermano la crescita del fenomeno. Le note interessanti sono due: 1) il rapporto tra uomini e donne uccise è cresciuto in "favore" (per così dire) di queste ultime; 2) l’aumento della quota di incidenza dell’ambito familiare ed ex partneriale.
Riconosciuto questo, si osserva però un altro fatto, che rischia di non facilitare l’analisi obiettiva del fenomeno: la trasformazione del “femminicidio” in risorsa politica.
In che modo? La sinistra, esaspera i toni e parla addirittura di un’ Italia segnata dal femminicidio di massa, aspetto che invece i dati smentiscono (***). La destra, da par suo, nega il ruolo giocato dalla famiglia e dagli ex partner, ruolo che invece i dati confermano.
Si punta così a guadagnare voti, puntando sull' appello politico alla pancia e non alla ragione degli elettori e delle elettrici. Per dirla in modo triviale, si chiama anche politica con la bava alla bocca.
Questa contrapposizione, dai toni così esasperati, non aiuta a capire né a risolvere il problema. Perché se è vero che c’è crescita, ma non a livello di "epidemia" sociale, resta altrettanto innegabile il collegamento tra femminicidio e basi sociologiche e psicologiche familiari ed ex partneriali.
Siamo davanti a un processo di inclusione che impone i suoi tempi. La mentalità, che la sinistra definisce patriarcale, come ogni forma di mentalità radicata non può che mutare lentamente. In Italia, società a tardiva modernizzazione, una vera e propria rivoluzione dei ruoli, che punta all’inclusione della donna, si è sviluppata negli ultimi cinquant’anni. E va crescendo, a tutti i livelli, come attestano ad esempio i dati sull’istruzione, sul lavoro, come pure sulle separazioni e sui divorzi.
Il cambiamento di mentalità, tuttora in corso, non può che registrare resistenze, ancora legate a una mentalità esclusiva ad uso e consumo dell’uomo, che sono declinate, sul piano individuale, lungo una scala di reazioni, anche psicologiche, spesso imprevedibili, reazioni che non escludono il ricorso alla violenza e all’omicidio.
Ovviamente la destra, che difende una visione tradizionalista – per la sinistra “patriarcale” – della famiglia, tende a negare una realtà che invece affonda le sue velenose radici nel tradizionalismo esclusivista maschile.
Per contro, la sinistra fa del suo peggio, all’interno di un processo inclusivo che procede, magari lentamente, ma procede, per creare un clima da caccia alle streghe, di scontro tra i generi che, piaccia o meno, non favorisce l’inclusività.
Si è così creata una specie di terra di nessuno politica, tra le due trincee, tra inclusivisti ed esclusivisti: i due nemici si osservano, si cannoneggiano, talvolta partono, alternandosi, all’assalto del nemico. I più deboli, cioè le donne, ma anche gli uomini fragili psicologicamente che si fanno assassini, restano morti sul campo, anche civilmente. Nessuno vince, nessuno perde. Non è guerra ma neppure pace.
Così però non se ne esce più.
Carlo Gambescia
(*) Qui, per la terminologia e per un’ interessante raccolta di dati in argomento: https://www.openpolis.it/resta-alto-il-numero-di-femminicidi-in-italia-e-in-europa/ .
(**) Sempre qui: https://www.openpolis.it/resta-alto-il-numero-di-femminicidi-in-italia-e-in-europa/ .
(***) In realtà, il triste primato, che rinvia a numeri rilevanti, distanti però dai fenomeni di massa, riguarda soprattutto i paesi baltici. In Lettonia si sono registrati 2,14 omicidi ogni 100mila donne, in ambito domestico, per un totale di 22 episodi. Segue la Lituania con 0,87. In Italia, invece, come detto, è allo 0,42. Il dato più basso lo riporta invece la Grecia (0,16) ( https://www.openpolis.it/resta-alto-il-numero-di-femminicidi-in-italia-e-in-europa/).
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