venerdì 10 novembre 2023

Il rifiuto del nuovo patto di stabilità viene da lontano

 


Non si sia dia ascolto alla razionalizzazione o giustificazione delle destre – oggi il no di Giorgetti, primeggia sulle prime pagine – sulle ragioni del rifiuto di firmare il nuovo patto di stabilità: amor patrio, accordi scellerati contro l’ Italia di francesi e tedeschi, e altre stupidaggini complottiste e nazionaliste, pardon “sovraniste”.

Riduciamo invece la questione all’osso. In realtà chi governa il ciclo della spesa pubblica, soprattutto in chiave espansiva (tradotto: di finanziamenti pubblici a pioggia), rafforza consenso e potere. Pertanto il ragionamento di Giorgetti e della Meloni è quello di mantenere il controllo, a fini elettorali, sulla spesa pubblica, che il patto di stabilità rimette invece nelle mani Bruxelles: perché il rapporto debito pubblico Pil, spaventoso per l’Italia, deve essere giustamente contenuto.

Va innanzitutto detto che l’idea di un bilancio sano, come per l’economia familiare (così il lettore può capire meglio…), è fondamentale. Non ci si può coprire di debiti, neppure per comprarsi una casa. Fuor di metafora familiare si pensi ai famosi investimenti sociali in infrastrutture, che Giorgetti, vorrebbe furbamente, scorporare dal calcolo del debito in bilancio.

Si rifletta: per indebitarsi, anche per ragioni “sociali” (parolina magica), serve un Pil crescente. Ma se non si tagliano le tasse il Pil non può crescere. Tasse che però non si possono tagliare dinanzi a una spesa pubblica crescente , “sociale” o non “sociale” che sia. Certo la spesa pubblica può gonfiare il Pil nominale, ma in termini di Pil reale non cambia nulla. Un balletto di numeri pazzi, e basta. E quel Pil nominale, coadiuvato dall'inflazione indotta  dal credito facile, si  mangia  pensioni e welfare.

Perciò Bruxelles ha ragioni da vendere sul piano economico. Allora che si fa? Come si dice brutalmente: la si butta in caciara. Si giustifica o razionalizza (nel senso di trovare cause e spiegazioni pseudologiche) il rifiuto italiano,  evocando il nazionalismo, la  teoria del complotto contro l’Italia, e così via.

Ma c’è dall’altro. Qualcosa di veramente pericoloso. Di che parliamo? Del prorompente ritorno, sul piano dell’immaginario politico, dell’ arcaico repertorio delle destre populiste e fasciste. Il che non è di buon augurio, perché può rianimare gli istinti bestiali degli elettori. Che iniziano a credere alla  minaccia  di Bruxelles, tedeschi, francesi, eccetera, su  pensioni, welfare, eccetera.  Ignorando che invece  è  l'eccesso di debito e  spesa pubblica a divorarle.  Ignoranza e timori che ovviamente le destre amplificano, pur di restare al potere.

Ciò non significa che la sinistra in passato non abbia fatto i suoi calcoli elettorali. Diciamo però che la sinistra riformista liberale, si è messa in discussione, accettando le regole dell’economia (quindi di sano bilancio), soprattutto perché europeista. Per contro la sinistra radicale ha più o meno sposato le stesse tesi sulla  spesa pubblica a gogò della destra populista e fascista, riscoprendo addirittura il nazionalismo. La sinistra radicale è nazionalsocialista, proprio come la destra meloniana con a rimorchio gli alleati di governo. Gli estremi si toccano sempre.

In sintesi: buona economia e riformismo liberale possono creare un’Europa economicamente e politicamente forte. Cattiva economia e radicalismo populista e fascista possono invece affondare tutto.

Certo, se ci si entusiasma ancora per l’Italia di Mussolini, come Fratelli d’Italia, l’Europa di Bruxelles non può che essere vista come un peso, perché incarna le odiate istituzioni liberali che hanno vinto nel 1945. Una sconfitta mai digerita dalla destra fascista. Che ora è al governo e  medita  la  vendetta. A cominciare dal rifiuto di firmare il nuovo patto di stabilità…

Carlo Gambescia

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