Salvini (minacciando) e Meloni (tacendo) hanno piegato Landini e Bombardieri.
Si lascino da parte i minuetti procedurali, infiorati di cavilli, (sulla natura giuridica dello sciopero generale) per andare alla sostanza metapolitica della questione.
La precettazione avrebbe avuto conseguenze penali per i lavoratori. La legge è esplicita: “La magistratura può disporre l’arresto fino a un anno per interruzione di pubblico servizio per i dipendenti che non si presentano, e fino a quattro per i promotori di uno sciopero dichiarato illegale”. Sicché Landini e Bombardieri ha fatto un passo indietro. Per evitare le gravi conseguenze del conflitto per i lavoratori e per il sindacato.
Prudenza? Insicurezza? Timore? Difficile dire. Il conflitto si basa sulla credibilità della minaccia. Ha la meglio chi appare all’altro più credibile nella concretizzazione della minaccia.
Facciamo un esempio: se entrano in conflitto due gruppi sociali, il primo distinto dall’etica della responsabilità, nel senso di badare alle conseguenze delle proprie azioni, il secondo dall’etica dei principi, nel senso di puntare sulla realizzazione dei principi senza mettere in conto le conseguenze, avrà sempre la meglio quello che agisce in base all’etica dei principi.
La situazione ottimale, dal punto di vista della composizione contrattata del conflitto, quindi democratico-liberale, è quando i due gruppi sociali agiscono in base all’etica della responsabilità. La peggiore, sempre dallo stesso punto di vista, quando entrambi i gruppi in conflitto si muovono sul piano dell’etica dei principi, perché si rischia andare alla guerra totale, per così dire.
Nel conflitto tra il governo e il sindacato sullo sciopero generale, il primo si è mosso sulla base dell’etica dei principi, il secondo sul quello dell’etica della responsabilità. Di conseguenza il sindacato ha avuto la peggio.
Alcuni ritengono, in modo alquanto superficiale, che il governo rappresenti la comunità dei cittadini, mentre il sindacato solo una parte. Di qui la giusta e necessaria affermazione, da parte del governo, di un principio generale di solidarietà. Dal momento che, si dice, sembra giusto che il tutto abbia sempre la meglio sulla parte. In realtà siano davanti a una logica politica illiberale che se portata alle sue ultime conseguenze finisce per privilegiare le maggioranze e schiacciare le minoranze.
In realtà lo stato-istituzione deve restare fuori dai conflitti sociali. I governi, di qualsiasi colore, che profittano politicamente del monopolio legittimo della violenza, passano, mentre lo stato rimane. Di qui la necessità che lo stato-istituzione rimanga sempre neutrale. L’ appropriarsi da parte del governo del monopolio legittimo della violenza, ponendolo al servizio di una parte politica, seppure di maggioranza, snatura il ruolo di neutralità dello stato. Una “appropriazione indebita” che alla lunga mina la credibilità delle sue istituzioni.
Per farla breve, la comunità dei cittadini, che il governo Meloni pretende di difendere, è quella dei cittadini che hanno votato a destra. Infatti oggi la stampa organica al governo festeggia la vittoria, mentre quella di sinistra recrimina e parla di sconfitta del sindacato.
Il vero problema è che il governo di destra, questa volta attraverso Salvini (ma chi tace, come Giorgia Meloni, acconsente), sembra usare le istituzioni dello stato come un randello contro le minoranze. Le minaccia. Il che ne rivela l’anima illiberale e le radici fasciste. Non si dimentichi mai che il fascismo cancellò ogni libertà sindacale.
E ora purtroppo, come sembra, ci risiamo un’altra volta.
Carlo Gambescia
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