mercoledì 8 novembre 2023

Il declino dell’antifascismo

 


 

Magari sarà solo una nostra impressione, ma da qualche mese l’accusa di fascismo sembra essere  sparita dalle pagine dei giornali di sinistra. Che si stia profilando il declino dell’antifascismo?  Molti segnali sembrano  confermare questa nostra sensazione.   Riteniamo perciò utile affrontare la questione. Perché della massima importanza per il destino della nostra liberal-democrazia.

Probabilmente il passo indietro della sinistra, viziato dalla caccia al voto e da una demoscopia superficiale che considera i valori fattori aggiuntivi e non determinanti, trae sostegno dalla tesi che l’antifascismo non paghi,  anzi che  faccia addirittura  perdere voti.  

Quella che segue  è la tesi dei cosiddetti esperti, come ovvio entusiasticamente  condivisa anche dalla destra   ( “Troppa grazia Sant’Antonio!”):  gli italiani  non vogliono più saperne  di un ferrovecchio ideologico, che sembra sia servito  a coprire le magagne, vero a false che siano, di una sinistra, imborghesitasi, che con la scusa dell’antifascismo ha governato per anni contro il “popolo”.  E la sinistra morde l'esca.

Diciamo subito che la tesi dell’antifascismo come fattore controproducente sul piano voto è una resa populista (esiste anche il populismo di sinistra) a una concettualizzazione di destra. Un gravissimo errore. Per almeno due ragioni.

La prima è che questa destra che governa è sicuramente fascista dal punto di vista concettuale. Cosa vogliamo dire? Che, sebbene non si vedano camicie nere in giro, la destra capitanata da Giorgia Meloni è anticapitalista, antiliberale, nazionalista e razzista. Quattro fattori concettualmente riconducibili al fascismo storico, come forma di approccio conoscitivo alla politica. Cioè, come reazione cognitiva, che quindi si nutre di concetti, alle questioni politiche. Fratelli d’Italia è statalista, quindi anticapitalista; è reazionario sul piano dei diritti civili, quindi antiliberale; è contro l’Unione europea, quindi è nazionalista; è contro i migranti, quindi è razzista. Ogni ragionamento politico di questi fascisti dopo Mussolini, talvolta in modo velato, talaltra no, rimanda a questa concettualizzazione che, ripetiamo, per usare un linguaggio senza tanti fronzoli,  è di pura marca fascista.

La seconda ragione è che piegandosi alla “concettualizzazione” fascista, si è conferita dignità politica, riportandola al centro del discorso pubblico, all’ontologia fascista. Il lettore non si spaventi per il parolone: ontologia nel senso di discorso sull’essere fascista, come insieme di concetti che, come tanti altri – qui il pericoloso salto ontologico – ci aiuta a comprendere e mutare la realtà. Per fare un esempio di “ontologia” pratica, già abbastanza avanti: “Hitler? Severo ma giusto”. “La politica economica di Mussolini? Fu liberale”. E così via.

Ovviamente, soprattutto all’inizio, senza esagerare, cosa in cui Giorgia Meloni è molto abile: mai usare al parola fascismo, mai fare riferimenti diretti al Ventennio, evitare insomma i nodi spinosi. Si parla invece di “sovranismo alimentare”, di “piano Mattei”, di “lotta ai trafficanti di esseri umani”, di “assistenza” ai migranti clandestini. Tutto sembra apparentemente molto soft. Però si approfitta di ogni occasione per mettere i bastoni tra le ruote dell’Ue; si vogliono costruire campi di concentramento, anche all’estero, per i migranti; si limitano diritti di associazione e i diritti civili; si vuole attribuire il potere di scioglimento delle Camere al Presidente del Consiglio, e così via, verso l’edificazione di una Repubblica, autoritaria, reazionaria, nazionalista e statalista. Per dirla alla buona, se non è zuppa è panbagnato fascista...

Pertanto cedere sull’antifascismo, in un contesto in cui gli stessi fascisti dopo Mussolini, astutamente tacciono sul fascismo, significa tre cose: 1) favorire l’ontologia fascista; 2) snaturare il discorso pubblico liberale; 3) facilitare il consolidamento al potere di un partito, come Fratelli d’Italia (ma il discorso andrebbe esteso anche agli alleati), estraneo alla liberal-democrazia.

La sinistra si rende conto dell’errore che sta commettendo?

Carlo Gambescia

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