L’Italia ha un problema di metodo. Cosa vogliamo dire? Che la realtà politica viene affrontata con il metodo sbagliato. La questione, piuttosto seria, non riguarda solo l’Italia ma la liberal-democrazia occidentale. Quindi quanto diremo può essere esteso, eccetera, eccetera.
Partiamo da due constatazioni.
La prima, che la politica non conosce più zone franche: l’identificazione tra governo e stato è completa. Il che però rischia di condurre alla soppressione della libertà individuale. Infatti, in questo modo, qualsiasi tipo di domanda sociale – come del resto recita il mantra welfarista – deve avere una risposta in termini di intervento politico-statale. Si varano così leggi su leggi per rispondere in modo soffocante a ogni tipo di problema, dalle misure dei vasi da balcone alle dimensioni delle serrature, impedendo così all’individuo di auto-organizzarsi. Forse esageriamo, ma, piaccia o meno,sono queste le inesorabili linee di fondo della contraddizione – come vedremo – che segna la nostra società.
La seconda, che la risposta politica ai problemi continuamente evocati dai cittadini deve essere di conseguenza rapida e completa. Di qui la naturale drammatizzazione sociologica di ogni problema, da parte dei vari attori sociali, che alzano la voce proprio per essere ascoltati da autorità politiche strette in una specie di angolo delle promesse irrealizzabili. La gara è a chi grida di più. Purtroppo stiamo assistendo alla metamorfosi del discorso pubblico, da pacato scambio di opinioni differenti a conflitto su ogni ordine di questione, dalla normativa sul cibo per i gatti alla nuova utopia sulla transizione ecologica.
Si vive così una situazione schizofrenica in cui una società, composta di individui viziati e piagnucolosi, chiede crescente assistenza a un apparato istituzionale che invece non è assolutamente in grado di mantenere le sue promesse proprio perché burocratico, quindi sclerotico di per sé. Una strada senza uscita.
Questa schizofrenia sociale rimanda a una irresolubile questione di metodo, almeno sotto due aspetti.
Il primo, che la politica ( dalla destra alla sinistra), pur sapendo perfettamente di non poter accontentare tutti, invece di fare un passo indietro, alza l’asticella delle aspettative sociali sempre più in alto, promettendo tutto a tutti, credendo in questo modo di conservare il potere. Si può parlare di metodologia della promesse improbabili.
Il secondo, che questo metodo, creando aspettative, sfocia inevitabilmente nello scontento e nella disaffezione verso le istituzioni politiche democratico-liberali. In particolare verso la democrazia parlamentare dipinta come elefantiaca e corrotta, perciò incapace di fornire i “servizi sociali” invocati da cittadini viziati e piagnucolosi.
Ciò significa che la discrasia tra il metodo delle promesse improbabili e il crescente scontento del cittadino, che si comporta – ripetiamo – come un bimbo viziato e piagnucoloso, spianano la strada a forme di governo autoritarie. O comunque a partiti poco amanti delle libertà individuali, che però, pur continuando a promettere l’improbabile, sanno di poter disporre, una volta al potere, a differenza delle democrazie liberali, di strumenti più “efficaci”, per contenere lo scontento e indirizzarlo verso la classifica figura del capro espiatorio: il capitalista, il migrante, eccetera, secondo l’illeggibile copione dei totalitarismi novecenteschi.
Conclusioni. Quanto più si persevera nella metodologia delle promesse improbabili per accontentare cittadini viziati e piagnucolosi, tanto più si rischia di favorire l’affossamento di ciò che ancora resta delle istituzioni liberali.
Carlo Gambescia
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