Esistono le tradizioni reinventate e le tradizioni spontanee. Le prime sono ideologiche, le seconde storiche e sociologiche. La spontaneità è nel fatto che un certo tipo di tradizione si vive così com’è, non ci si rende conto, agendo, che si tratta di un comportamento tradizionale.
Si prenda ad esempio “C’è ancora domani”, il già celebrato film di Paolo Cortellesi, regista e protagonista.
La società patriarcale, giustamente criticata nella pellicola - che per inciso, nelle periferie romane, per restare in tema, è dura a morire – era allora vissuta come una specie di ordine naturale: era così, si doveva fare così, perché, così faceva il padre del padre, eccetera, eccetera.
L’uomo si comportava come un patriarca e la donna ubbidiva come una serva, non sapendo, entrambi, di essere tali, cioè patriarca e serva. Può piacere o meno, ma la tradizione, come insieme di consuetudini comportamentali, funziona così. O è vivente e spontanea o non è. E questo a prescindere dai contenuti veicolati.
Il femminismo, nelle sue giuste battaglie, ha definito quel mondo (sulla scorta di studi, eccetera) patriarcale. Reinventando a tavolino un tradizione femminista: parliamo quindi di una ideologia, che per essere tale, implica la rilettura mirata e critica della tradizione spontanea. Per capirsi, con una battuta: la tradizione spontanea inventa, la tradizione ideologica reinventa.
Il film della Cortellesi si pone lungo questa linea di reinvenzione di una tradizione femminista. Di qui gli aspetti didascalici di una pellicola ideologica, che può avvincere, piacere, eccetera, ma che resta un’operazione ideologica.
Arte e ideologia possono andare d’accordo?
La storia ci mostra gli esempi novecenteschi del cinema totalitario, tedesco, russo, e in subordine italiano , cioè all’interno di società “nazistizzate”, “comunistizzate” e “fascistizzate”, in cui l’ideologia doveva imbeccare l’arte.
Un esempio eclatante di questo tentativo è rappresentato dal realismo socialista, al quale attinse nel dopoguerra in particolare il neorealismo italiano. Sotto questo aspetto il film della Cortellesi va ricondotto nell’alveo dell’ultima incarnazione del neorealismo italiano, il cosiddetto neorealismo rosa degli anni cinquanta, dei didattici, per fare un esempio “Due soldi di speranza” di Renato Castellani: Un cinema sentimentale ma moraleggiante, quindi in certa misura ideologico, capace di insegnare e avvincere, puntando su situazioni tipiche, didascaliche, e sui tipi più che sui personaggi.
Ovviamente, la rilettura della Cortellesi, come detto, rimanda alla reinvenzione ideologica di una tradizione femminista, che, per certi aspetti, come l’epica rinascita dell’antifascismo dipinta da Rossellini in “Roma città aperta”, rinvia al neorealismo vero e proprio, quello eroico diciamo.
Equilibrio tra sentimenti, ideologia e storia non è facile da perseguire. Perché l’ideologia è un’arma a doppio taglio. Di Rossellini il cinema italiano ne ha avuto uno. I miracoli difficilmente si ripetono. Sicché “C’è ancora domani” resta solo un film ideologico, didascalico, a suo modo pesante, a tratti addirittura insopportabile come una lezione non desiderata di catechismo. In sala però – qui portiamo la nostra testimonianza – si ride, ci si indigna, si applaude. Il catechismo piace. Rossellini ormai è solo una voce enciclopedica. Per le sale plaudenti e schiamazzanti della Cortellesi, le stesse, ci dice il botteghino, dei film di Checco Zalone, Rossellini è un perfetto sconosciuto.
Pertanto, qui, la domanda è: ridere, indignarsi, applaudire, quel che oggi si chiama divertimento, il passare due ore al cinema, è arte?
Diciamoci la verità. La vera arte è per pochi, non è democratica, il cinema è per tutti, quindi è democratico. Però, proprio per tale motivo, un film può essere facilmente tramutato in ideologia, perché l’ideologia, alla fin fine, è facile da capire, sicché può raggiunge i molti. In questo senso, ripetiamo, il cinema non può essere arte (salvo alcune rare eccezioni).
E nel film della Cortellesi lo si intuisce quando il bar di una famiglia di romani imborghesitisi, ma dalla visione ancora patriarcale, viene fatto esplodere di notte. Il bene che vince sul male ricorrendo alla violenza catartica: puro manicheismo ideologico.
Ciò vuol dire che l’arte produce maestri mentre l’ideologia, proprio perché inevitabilmente manichea, può produrre cattivi maestri. E sotto questa aspetto, Paola Cortellesi, regista e protagonista di un film che resta a metà strada tra Rossellini e Castellani, si comporta da cattiva maestra.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Non sono consentiti nuovi commenti.