giovedì 31 agosto 2023

Se viene meno il diritto di proprietà...

 


Che cosa ha fatto grande il capitalismo? Il diritto di proprietà, come potere di godimento e disposizione dei propri beni, senza temere alcuna improvvisa ordinanza reale capace di tramutare in un attimo i proprietari in nullatenenti.

Il diritto di proprietà sancito per legge e recepito dal costume ha permesso di investire, risparmiare, produrre, cambiare il mondo anche moralmente: una meravigliosa rivoluzione, probabilmente unica nella storia umana.

E invece che cosa sta accadendo?

Si pensi, per fare un esempio, alla cosiddetta transizione ecologica. In particolare a un problema che può apparire secondario come quello di costringere coloro che abitano nelle città a comprare una nuova autovettura. Perché farsi una vettura nuova? Perché altrimenti i “proprietari” – il lettore prenda nota – di autovetture definite inquinanti, in base a parametri fissati dallo stesso potere politico, non potranno più circolare.

La metafora non è un granché ma dovrebbe rendere l’idea. Si pensi a una partita tra due giocatori di carte, ad esempio a briscola, la stessa partita, dove di volta in volta, uno dei due giocatori nel momento in cui “cala” una carta ne decide, indipendentemente dal seme, il valore di presa, vincendo così facilmente la partita.

Ora è la volta della briscola-transizione ecologica, poi sarà quello della briscola-transizione economica, infine politica. Tutto è possibile, perché lo stato, non importa se oggi repubblicano, si comporta come la monarchia assoluta di un tempo, e perciò fa strame del diritto di proprietà.

Si dirà che la spesa per una automobile nuova è sopportabile, e che comunque, come si legge, stato e comune nel caso dei cittadini meno abbienti  finanzieranno in parte l’acquisto. Anche qui si gioca a briscola. Anche se venisse integralmente finanziato che differenza c’è tra chi gode di un reddito inferiore meno un euro, e chi gode dello stesso reddito più un euro, passando così alla categoria di reddito superiore?

Il punto non è l’aiutino o aiutone dello stato, ma il fatto che è in gioco il diritto di proprietà. Deve essere l’individuo a decidere quando comprare una automobile nuova non lo stato.

Ovviamente, la tesi ufficiale, dello stato-biscazziere, è che respirare un’aria più pulita è interesse comune, pubblico, sociale. Quindi l’individuo deve inchinarsi al “diritto” collettivo.

Ammesso e non concesso che sia vero, una volta scelta la strada dell’interesse collettivo sarà molto difficile arrestarsi, proprio perché di volta in volta saranno assegnati valori di presa differenti alla briscola-interesse collettivo. Li deciderà lo stato non il cittadino.

Qui vorremmo richiamare l’attenzione su quanto ha dichiarato il sindaco di Londra, città tra l’altro grandissima, dove da ieri  è scattato il divieto assoluto alle automobile inquinanti. Che cosa ha detto? Di “sentirsi dalla parte giusta della storia”.

Peccato che la storia, come dicevamo all’inizio, abbia invece  provato che  è il diritto di proprietà ad essere dalla “parte giusta della storia”, se proprio si vuole usare questa espressione. Fermo restando che nessuno può conoscere il senso ultimo della storia, né il sindaco di Londra, né chi scrive.

Si può soltanto dire che al momento il diritto di proprietà, esaltando la libertà dell’individuo, ha cambiato il mondo e in meglio. Nonostante ciò si vuole sostituire al diritto di proprietà individuale un diritto collettivo, imposto da uno stato biscazziere che pretende di decidere, di volta in volta, ciò che è bene per l’individuo, “calando” la “briscola giusta”.

Al potere assoluto del re si vuole sostituire il potere di uno stato, che rischia di essere ancora più assoluto, perché esercitato in nome “popolo”, questa entità misteriosa, oggi ritenuta quanto e più potente di dio.

Si rischia veramente. Potrebbe finire male.

Si rifletta. Non sarà per oggi, non sarà per domani, neppure per dopodomani, ma se cade il diritto di proprietà, cade il capitalismo, e se cade il capitalismo si torna all’età della pietra. Dove dinanzi al più forte il debole scompare.

Carlo Gambescia

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