venerdì 11 agosto 2023

Davide Giacalone e la questione delle “regole”

 


Dispiace dirlo ma il problema di Davide Giacalone, come di altri liberali italiani, è quello di balbettare di regole, senza definirle bene. O addirittura di non avere ben chiara l’intera questione.

Nel suo editoriale di oggi Giacalone scrive che lo stato non deve fissare i prezzi dei biglietti aerei e i profitti delle banche, ma impedire la formazione di cartelli che permettano – testuale – “al più forte di uccidere il più debole” e di perpetuare “la propria posizione dominante”, “bloccando l’innovazione e la crescita della ricchezza”. Come si evita tutto questo? Ecco la sua risposta: introducendo “regole”.

Davide Giacalone dovrebbe riflettere su un fatto storico preciso. Quale? la “Rivoluzione industriale”. Come avvenne? Contro le regole corporative della società tradizionale o chiusa per dirla con Popper. Fu un magnifico impasto, non consapevole, di innovazione e liberalismo, che si impose contro le “regole” di un mondo arcaico.

Giacalone se la prende con i “cartelli”. In realtà, i cartelli e i vari oligopoli, persino monopoli, sono un prolungamento del mercato. Che se sgraditi, in termini di prezzi finali, al consumatore, falliscono, a meno che non sia lo stato a sostenerli, colmando la differenza tra perdite e profitti.

E qui veniamo al punto. Il problema – e persino Giacalone cita Alitalia, ma anche sulle banche ci sarebbe molto da dire – non è il cartello: ma il blocco di potere che si determina tra stato e cartello. La “società chiusa” dei nostri giorni.

Il che significa che le regole, alle quali si riferisce Giacalone, allo stato dei fatti, continueranno a salvaguardare il blocco di potere esistente tra politica ed economia. Ad esempio, è di ieri, la notizia che l’ABI sembra voglia trattare, non sulla questione di principio (la illiberale fissazione del profitto “giusto”), ma su una possibile elemosina da sconti all’interno dell’ accettazione dell’idea che lo stato debba fissare la misura dei profitti delle imprese bancarie.

In queste condizioni parlare di “regole” è ridicolo. Perché le regole  le fissa lo stato con la complicità dei cartelli. Perciò proporre regole è come chiedere ai carabinieri il permesso di fare la rivoluzione.

Il vero problema italiano è di come far uscire lo stato dall’economia. Come spezzare il blocco di potere stato-cartelli. Un problema che l’attuale governo, dagli spiccati sentimenti autarchici, difficilmente risolverà. Anche qui la situazione è comica: Giacalone, chiedendo regole, quindi un intervento del governo, si comporta, come chi pretenda di nominare Dracula alla Presidenza dell’Avis.

Si dirà che se lo stato cede il passo, poi restano solo i cartelli. Giusto. Qui l’importanza di favorire la concorrenza internazionale, aprendosi al mercato estero. Come? Favorendo gli investimenti in Italia. Detassazioni e interventi sul costo del lavoro.

Si dirà allora che esiste il rischio, che ai cartelli italiani si sostituiscano i cartelli stranieri. Giusto. Però, comunque sia, a quel punto ci sarà maggiore concorrenza tra imprese italiane e straniere. E in ultima istanza sarà il consumatore a decidere.

Si dirà ancora che cartelli italiani e stranieri potrebbero mettersi d’accordo. Giusto. Diciamo che il rischio esiste. Ma qual è l’alternativa? Continuare a balbettare di regole che, se si fossero seguite due secoli fa, non avremmo mai avuto né la rivoluzione industriale, né quella liberale? Oppure, altra ideona, chiedere ai controllori – stato e cartelli – che controllino se stessi?

Hayek, lettura sgradita a non pochi liberali italiani, nel suo capolavoro, Legge, legislazione e libertà, parla di “regole”, ma di regole astratte e generali. Non di regolamenti minuziosi, eccetera, eccetera.

Per fare un esempio, Hayek, nella Costituzione italiana – che avrebbe preferito brevissima – al primo articolo, invece di scrivere, l’Italia e una Repubblica “fondata sul lavoro”, principio socialista, avrebbe scritto “fondata sulla libertà”, principio liberale.

Il che, sul piano delle regole, quelle vere, sarebbe bastato e avanzato.

Carlo Gambescia

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