La storia della politica estera italiana è la storia di una media potenza che quando decise di fare da sola si ritrovò costretta, per la sua non robusta costituzione fisica (assenza di risorse “combustibili” per fare la guerra) a scegliersi obtorto collo un alleato.
I nazisti furono una scelta sbagliata, Francia e Gran Bretagna nella Grande Guerra, una scelta così così, gli Stati Uniti, dopo il 1945, per quanto obbligata dalla sconfitta, fu invece un’opzione giusta. Ma come Presidente del Consiglio avevamo un certo Alcide De Gasperi.
Allora, dall’altra parte del reticolato internazionale, si allungava l’ombra del comunismo russo, il “diversamente” gemello del nazifascismo, una scelta, anche all’epoca, assai lontana dall’Italia per valori e interessi.
Cosa vogliano dire? Che l’Italia da solo non ce la farà mai. Sotto questo aspetto la scelta europea fu una scelta giusta, per storia, valori e comunità di interessi. Nel quadro geopolitico mondiale – non si dia retta alle mitomanie degli scemi della terza via rosso-bruna – l’Italia è Occidente. Il che è cosa buona e giusta. Il pericolo invece proviene dalle autodistruttive simpatie per i regimi autoritari (si legga: Cina e Russia).
Pertanto il viaggio di Giorgia Meloni a Washington va inquadrato in questa precisa ottica. Non siamo alleati alla pari? Nessuna alleanza tra una media e una grande potenza può essere alla pari. Per fare un esempio, la stessa Albania comunista, affetta da sindrome autarchica, che aveva rotto con i confratelli russi, fu costretta a trovare riparo sotto l’ombrello della Cina.
Se l’Italia, rompesse con Occidente, sarebbe costretta a trovarsi un alleato tra russi o cinesi. Non esiste il non allineamento, come del resto prova la storia della seconda metà del Novecento (India, Pakistan, Jugoslavia, Albania, Corea del Nord, solo per fare qualche esempio).
Qui si tratta di capire, se ci si perdona l’espressione, ciò che frulla nella mente politica di Giorgia Meloni, una donna che proviene da un partito, il Movimento Sociale, dalle spiccate simpatie antiamericane e antieuropee (nel senso del mantra sulla cultura antiplutocratica).
La prima impressione è che si sia avvicinata agli Stati Uniti per controbilanciare i poteri dell’Unione Europea. Per capirsi, se ci si perdona la metafora: l’Italia, come il piccoletto della classe che si fa amico, il ripetente grande grosso quello che picchia tutti. Ovviamente, Biden, che non è uno stupido, avrà chiesto contropartite in Ucraina e in Cina. Nel senso di un sostegno dell’Italia alla politica estera americana. Per contro l’Italia si sarà proposta come alleato preferenziale americano in Europa in cambio di un via libera – sintetizzando – al “Piano Mattei”, infiocchettato con il filo spinato.
Va però precisato che mentre gli Stati Uniti non hanno bisogno dell’Italia, né sul piano economico, né su quello militare, l’Italia ha comunque bisogno di un alleato, in particolare una grande potenza. E gli Stati Uniti possono servire allo scopo.
Pertanto, visto che siamo solo agli inizi, bisognerà capire fino a che punto Giorgia Meloni voglia spingersi. Non essendo filoamericana ma nazionalista, pardon sovranista, c’è da dubitare sulla continuità della sua scelta di restare dalla parte dell’Occidente. Però la Meloni non sembra neppure essere filorussa. Più fluido sembra invece l’atteggiamento verso la Cina. Va sottolineato che gli Stati Uniti non apprezzano neppure possibili intrusioni (così sono viste) dell’Italia verso l’India. Per contro, un’Italia decisamente filoamericana all’interno dell’Ue e della Nato sarebbe molto apprezzata da Washington.
Come si può intuire si tratta di un equilibrio complesso, che però certa destra neofascista continua a inquadrare impropriamente all’interno della caricatura politologica del “badoglismo”.
In realtà, il problema dei problemi è uno solo: Giorgia Meloni ha le capacità politiche e la levatura internazionale per trovare il bandolo della matassa?
Ne dubitiamo.
Carlo Gambescia
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