L’omicidio politico è uno degli strumenti della lotta politica e in particolare del ciclo politico, che è una precisa regolarità metapolitica. Il ciclo politico rinvia alla conquista, conservazione e perdita del potere.
Si uccide un avversario, anzi un nemico, per conquistare, conservare, quindi evitare di perdere il potere. L’Impero Bizantino, cioè quel che rappresentava storicamente lo sviluppo dell’Impero Romano d’Oriente, di cui la Russia, anche quella post-sovietica si dichiara erede, fu una monarchia assoluta molto accentrata. Che, a detta degli storici, fu temperata dall’omicidio politico: due terzi degli imperatori, parliamo di un ciclo storico durato più di mille anni, furono eliminati in modo violento. Un attivismo omicida esteso agli avversari politici sfortunati, aspiranti eredi al trono, avventurieri, generali, ministri ambiziosi, eccetera. Un’ecatombe. Tuttavia, il sistema funzionava. A suo modo, anche per altre concause, forniva, pur tra alti e bassi, stabilità politica, come del resto prova la sua durata.
Perciò se in Russia, come pare, si usa ancora il “metodo bizantino”, non c’è da meravigliarsi. La politica, anzi la metapolitica è contrassegnata da regolarità di comportamento. Cioè da comportamenti che tendono a ripetersi nel tempo. E qui parliamo, inclusa la Russia zarista e comunista, di un periodo “reiterativo” di quasi millesettecento anni su cinquemila anni di storia umana documentata dal punto di vista metapolitico.
Si dirà, giustamente, che le democrazie liberali, che però rispetto all’Impero di Bisanzio ed eredi hanno poco più di duecento anni, hanno rinunciato all’eliminazione fisica dell’avversario politico.
Va riconosciuto che, principalmente nell’Occidente euro-americano, nonostante due guerre mondiali, le democrazie liberali, dotate di quella pubblica camera di compensazione dei conflitti politici che si chiama parlamento, hanno limitato il fenomeno. Anche se i parlamenti sono stato assaltati, in alcune fasi soppressi, re, presidenti e ministri uccisi, diciamo che, ufficialmente, esiste il rifiuto di ridurre la lotta politica all’eliminazione fisica dell’avversario. E in qualche modo lo si è interiorizzato. Cioè, per far un esempio, nessun membro dell’opposizione pensa di avvelenare Giorgia Meloni. Insomma, al Quirinale e Palazzo Chigi, non esiste, semplificando al massimo, come al Cremlino, un assaggiatore ufficiale di cibo.
Oggi nell’ Occidente euro-americano, il ciclo politico fa il suo corso, senza ricorrere, in linea di massima, all’omicidio politico. Il che non significa che non si registrino attentati, scontri di piazza, eccetera, ma che l’omicidio politico dell’avversario non è tra le principali opzioni. Anche perché a differenza della Russia, nell’ Occidente euro-americano, il potere politico non è particolarmente accentrato: cosa fondamentale. Quindi basta avere pazienza. E questo – la promessa quasi sempre mantenuta dell’alternanza – è uno dei principali meriti della liberal-democrazia. Che però, ripetiamo, ha appena due secoli di vita. Dal punto di vista metapolitico, è poco più di un neonato, nella fase di svezzamento.
Concludendo, nonostante i piagnistei degli eterni scontenti, dei disfattisti e le accuse dei mitomani politici, il modello occidentale, rispetto a quello russo-bizantino, è più equilibrato, soprattutto verso l’uso della violenza come strumento di lotta all’interno del ciclo politico. Il che promette un mondo migliore per tutti e una lunga vita a chi in particolare desideri occuparsi di politica.
Anche se, ripetiamo, la liberal-democrazia, dal punto di vista metapolitico, è solo agli inizi. Altro che pensiero unico...
Per capirsi: se fosse una pianta sarebbe ancora piccola e fragile.
Carlo Gambescia
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